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Esercitazioni militari nell’Indo-Pacifico, si scalda il fronte sino-russo

Di Andrea Molle

Russia e Cina stanno cercando di imporsi come attori-chiave nel Pacifico, presentandosi come i “reali garanti di pace e stabilità” tramite la dimostrazione di un livello crescente di capacità militari e, soprattutto, coordinamento tra le Forze armate. Schieramenti, strategie e mosse future di questo blocco secondo Andrea Molle, ricercatore Start InSight

La contromossa sino-russa all’intensificarsi della diplomazia militare Nato nel Pacifico non si è certo fatta attendere. Dopo la notizia dell’apertura di un liaison office in Giappone, iniziativa volutamente omessa dalle dichiarazioni ufficiali dell’ultimo incontro dell’Alleanza a Vilnius, i due Paesi hanno immediatamente annunciato lo svolgimento di un’esercitazione navale comune, la Northern/Interaction, nel mar del Giappone. Lo specchio d’acqua su cui si affacciano, oltre al Giappone, anche le due Coree, la Russia e la Cina, è fondamentale per questi ultimi due Paesi. Gli stretti di Soya, Tsushima e Tsugaru, in particolare, sono punti-chiave per garantire la sicurezza nazionale sino-russa.

Le esercitazioni, della durata di quattro giorni, sono state pianificate dal comando del teatro settentrionale dell’Esercito popolare di liberazione (Pla). La Cina partecipa con i cacciatorpediniere missilistici Guiyang e Qiqihar (che ha ospitato il comando congiunto), le due fregate missilistiche Zaozhuang e Rizhao e la nave da rifornimento Taihu. La Russia ha inviato le unità antisommergibili Admiral Tribunts e Admiral Panteleev assieme alle corvette Gremyashy e Aldar Tsydenzhapov. Relativamente alle forze aeree, i due Paesi hanno schierato più di trenta velivoli, tra aerei da caccia, velivoli antisom ed elicotteri. Fonti cinesi riportano anche che Pechino avrebbe inviato a Vladivostok aerei da trasporto Y-20, velivoli Aewc KJ-500, caccia J-16 e, per la prima volta, l’elicottero multiruolo Z-20. Si tratta di una mossa molto significativa che dimostra l’alto livello di integrazione delle due Forze armate, soprattutto perché conferma che le forze aree cinesi sono già in grado di operare da basi russe. La capacità di operare indistintamente da più basi in ambo i territori, che si aggiunge all’attività di pattugliamento congiunto già in corso nel mar del Giappone e nel mare Cinese orientale, dimostra che il salto di qualità verso una completa integrazione delle due Forze armate è ormai avvenuto.

È un risultato abbastanza sorprendente, in quanto la convergenza tra Cina e Russia non è frutto di un percorso che parte da molto lontano. La Cina ha iniziato infatti a partecipare alle esercitazioni annuali russe solo nel 2018, con “Vostok 2018” cui hanno fatto seguito Tsentr 2019 e Kavkaz 2020. Dal canto suo, la Russia ha partecipato alle esercitazioni cinesi solo nel 2021 con la Western/Interaction, condotta nella regione autonoma dello Ningxia Hui, nella Cina nord-occidentale. Una tappa molto significativa di questo processo è stato l’invio, nel 2022, di diverse componenti delle forze terrestri, navali e aeree cinesi in Russia per partecipare alle esercitazioni Vostok 2022, che si sono svolte in tredici siti russi e in diverse aree di interesse strategico nel mar del Giappone.

Al momento dell’annuncio di Northern/Interaction, il ministero della Difesa cinese ha sottolineato come questa esercitazione abbia uno scopo operativo, cioè quello di approntare le capacità necessarie al mantenimento della sicurezza delle rotte marittime strategiche per ambo i Paesi, ma soprattutto geopolitico. Tramite lo sviluppo di più strette relazioni militari, Cina e Russia intendono infatti segnalare la propria volontà di imporsi come attori-chiave nel Pacifico che, nelle parole del governo cinese, ne siano i “reali garanti di pace e stabilità” tramite un livello ottimale di deterrenza. Queste attività addestrative complesse andranno inoltre ad aumentare grazie alla possibilità di rotazione tra i cinque i comandi strategici cinesi e potranno dunque interessare diversi teatri strategici e scenari di conflitto nel Pacifico, tra i quali ovviamente Taiwan.

Se la potenza navale di superfice russa è di per sé poco credibile, la crescita della Marina cinese sotto il profilo quantitativo e qualitativo desta invece una certa preoccupazione, sebbene non si configuri ancora come una minaccia tangibile. A questo bisogna aggiungere una riflessione sulla capacità di proiezione aerea di Pechino. Diverse fonti Osint suggeriscono come la Cina stia accelerando i piani di produzione del caccia J-20, caccia a decollo convenzionale che sarebbe stato prodotto fino ad oggi in circa cinquecento esemplari, equipaggiati da un sistema di propulsione notevolmente migliorato rispetto alle precedenti versioni. Anche la produzione di caccia Stovl FC-31, progetto basato sulla falsariga dell’americano F-35B e in dotazione alla Marina del Pla, sembra aver superato i problemi legati al peso eccessivo del bimotore di quinta generazione che ne limitavano l’impiego su unità anfibie dotate di sistemi di lancio skyjump, sebbene non si conosca ancora con precisione il numero di velivoli in servizio effettivo.

L’ipotesi di una convergenza sino-russa nel Pacifico ha indubbiamente spinto Stati Uniti e Giappone a intensificare i propri sforzi al fine di garantirsi la superiorità aerea nel teatro operativo, raggiungibile sia tramite l’acquisizione di velivoli di quinta generazione sia tramite lo sviluppo di un caccia di sesta generazione. In questo senso va vista la partecipazione del Giappone al Global combat air program (Gcap), il programma per lo sviluppo del caccia di sesta generazione Tempest nel quale, assieme al Regno Unito e all’Italia, il Paese ha un ruolo di punta.

Venendo al Pacifico, sotto il profilo aero-navale, gli Stati Uniti dispongono di una presenza importante che comprende, tra le altre, sette portaerei convenzionali – come la Uss Nimitz – che dal 2019 sono in grado di operare velivoli F-35C e le nuove unità anfibie di classe America, che possono a loro volta imbarcare fino a 13 F-35B garantendo al contempo un’efficace piattaforma di proiezione per le forze da sbarco. Per quanto riguarda il Giappone, da tempo Tokyo ha avviato un piano di ammodernamento delle proprie forze di difesa e il Paese ha recentemente deciso di aumentare il proprio lotto di F-35 prevedendo l’acquisto di 105 unità nella versione F-35A e 42 unità nella configurazione F-35B, che intende operare grazie alle due portaelicotteri di classe Izumo attualmente in via di conversione in assetto da portaerei leggere con capacità anfibia. Inoltre, come sappiamo, il Giappone ha appena siglato un partenariato strategico con l’Italia finalizzato proprio ad aumentare le sinergie operative per quello che è ormai stato soprannominato come il “caccia del mondo libero”.

Roma si è infatti impegnata ad acquisire sessanta velivoli nella configurazione convenzionale destinata all’Aereonautica militare (F-35A) e trenta velivoli nella versione a decollo e atterraggio verticale per la Marina (F- 35B) che andranno a formare il gruppo di volo delle navi Trieste e Cavour, che è attesa proprio nel Pacifico tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024. A ciò si aggiunge la ripresa, dopo circa vent’anni, delle esercitazioni congiunte tra la Marina militare italiana e la Forza marittima di autodifesa giapponese. Nel quadro di questa nuova attività addestrativa congiunta, il Ppa Morosini ha fatto scalo alla base navale di Yokosuka nell’ambito di un dispiegamento di cinque mesi nella regione che comprende sia attività operative che di supporto logistico, inclusa la manutenzione e le attività di riparazione navale.

Italia e Giappone spingono inoltre per un progressivo intensificarsi della cooperazione nei settori della difesa e della sicurezza che comprende meccanismi di sinergia nei settori dell’Intelligence e cyber-warfare. Ci auspichiamo che la sinergia si estenda anche alla forza da sbarco, coinvolgendo la nostra Forza di proiezione dal mare, visto l’alto numero di unità navali anfibie previste nel teatro. La convergenza delle due marine, che include anche il profilo della proiezione aerea, è comunque un’ottima aggiunta alla già assodata interoperatività tra i partner Nato e potrà garantire all’Alleanza livelli ottimali di readiness mettendola in grado di controbilanciare il profilo di deterrenza sino-russo.

Per l’Italia il Pacifico è un territorio per certi versi inesplorato. Ma va notato che Roma non è completamente nuova all’Asia orientale, dove da qualche anno ha avviato una strategia di consolidamento di vecchi e nuovi partenariati strategici. Questa svolta della diplomazia navale di Roma, tradizionalmente incentrata sul Mediterraneo, è iniziata nel 2007, quando l’Italia è diventata il primo Paese europeo a essere ammesso come partner di dialogo nel Forum delle isole del Pacifico, l’organizzazione internazionale che ha come obiettivo l’accrescimento della cooperazione tra i Paesi che si affacciano sull’oceano Pacifico. Lo sforzo di Roma è proseguito anche nel 2021, in occasione della costituzione della trilaterale Italia-India-Giappone che proprio quest’anno ha portato diversi frutti: oltre al rilancio della cooperazione con la Corea del Sud in stallo dal 2018, l’Italia ha formalizzato due partnership strategiche molto significative con Tokyo e New Delhi e un memorandum d’intesa con Manila nel settore delle relazioni industriali.

Il rinnovato interesse dell’Italia per il teatro asiatico, oggi considerato una sorta di Mediterraneo allargato, è coerente con la dottrina Nato e la posizione dell’Ue che considerano la sicurezza dell’Europa come inseparabile da quella dell’Asia orientale. Con il continuo aumentare del numero dei quadri di crisi, e soprattutto la necessità sempre più ovvia di contenere la Cina, l’Italia sembra aver finalmente compreso la necessità di diventare pienamente un attore-chiave nel contesto degli equilibri internazionali, anche e soprattutto per garantire la sicurezza e l’interesse nazionale del nostro Paese.

Resta infine l’incognita delle capacità sottomarina. L’imponente flotta di sottomarini russi, peraltro tecnologicamente molti sviluppati e con livelli di readiness ottimali, potrebbe rappresentare la vera minaccia per Giappone, Corea del Sud, Taiwan e gli interessi occidentali nel Pacifico. C’è sempre più interesse per la guerra sottomarina, come denotano i diversi progetti cinesi e indiani attualmente in corso o il recente accordo Aukus tra gli Stati Uniti, il Regno Unito e l’Australia. L’accordo comprende il trasferimento di un numero dai tre a cinque sottomarini di classe Virginia alla marina australiana a partire dal 2032, lo sviluppo congiunto da parte del Regno Unito e dell’Australia di un nuovo sottomarino di classe Aukus che entrerà in servizio intorno al 2040 e un impegno multimiliardario da parte di tutti e tre i Paesi per espandere la comune capacità industriale sottomarina. Vista la minaccia convenzionale e nucleare che può derivarne, o quantomeno con l’intento di contenere l’espansione di Pechino nel Pacifico, è ovviamente auspicabile che gli attori Nato attivi nel teatro, inclusa l’Italia, continuino ad investire nel settore della guerra sottomarina, incluso lo sviluppo di unità di superficie in configurazione antisom, e che il dispiegamento delle forze navali alleate nel pacifico divenga rapidamente avvicendabile e scalabile, seppure a costo di irritare oltre a Pechino e Mosca anche il regime di Pyongyang.



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