La giunta militare al comando del Paese africano resiste agli appelli internazionali e continua la “retata” di protagonisti del governo estromesso, mentre le sanzioni Ecowas fermano l’emissione di obbligazioni e tolgono ossigeno alla nazione. Si allunga l’ombra della Wagner, anche se c’è chi pensa che si tratti solo di opportunismo
La democrazia rimane sospesa in Niger, dove la giunta militare che settimana scorsa ha preso potere e imprigionato il presidente Mohamed Bazoum resiste agli appelli internazionali e non dà segni di voler fare un passo indietro. Anzi: nella giornata di lunedì sono stati arrestati altri tre politici di alto livello del governo estromesso, secondo quanto dichiarato dal loro partito e rilanciato da Reuters; si tratta dei ministri alle miniere e al petrolio, oltre che il capo politico del partito.
Nelle stesse ore, la banca centrale dello Stato africano ha cancellato l’emissione di obbligazioni per oltre 50 milioni di dollari. La decisione è stata registrata come una reazione alle sanzioni imposte dall’Ecowas, il blocco di nazioni dell’Africa occidentale che domenica ha minacciato l’uso della forza se la giunta guidata dal capo della guardia presidenziale, Abdourahamane Tchiani, non ripristinerà l’ordine costituzionale. Le sanzioni prevedono la chiusura delle frontiere con il Niger, il divieto per i voli commerciali, il blocco di transazioni finanziarie, il congelamento dei nazionali e l’interruzione degli aiuti finanziari su cui il Paese si appoggia per funzionare.
Misure simili sono state adottate anche dall’Unione europea e dalla Francia, già potenza coloniale, che tuttora mantiene una presenza militare sul territorio (come anche gli Stati Uniti ed altri) e verso cui è diretta una parte consistente del malcontento popolare. Negli scorsi giorni i manifestanti hanno dato alle fiamme e calpestato bandiere francesi; alcuni hanno tentato di dare l’assalto all’ambasciata di Parigi domenica, manifestando insofferenza per “l’interferenza della Francia negli affari del Niger” e provocando la condanna dell’esecutivo di Emmanuel Macron.
Questo e altri episodi – come gli stessi manifestanti che sventolavano bandiere russe e cartelli di inneggiamento a Mosca – hanno portato molti osservatori a sospettare lo zampino della Russia, personificata dai miliziani del Gruppo Wagner. Da San Pietroburgo, cornice del Summit Russia-Africa degli scorsi giorni, il loro leader (nonché mancato golpista) Yevgeny Prigozhin ha sostenuto di aver aiutato i ribelli nell’“ottenere l’indipendenza” e “sbarazzarsi dei colonialisti”. Dopodiché ha detto che gli eventi “dimostrano l’efficacia della Wagner”.
Tuttavia, c’è chi dubita che il golpe sia stato orchestrato da Mosca. Come Mark Galeotti, tra i massimi esperti di Russia; contattato da Politico ha commentato che gli sembra “una manovra opportunistica piuttosto che una pianificazione astuta”. Questo non diminuisce il pericolo dell’attrattività della Wagner, lo “sportello unico” per gli autocrati, i cui servizi vanno dalla sicurezza armata alla propaganda (in cambio di lucrose concessioni che vanno a beneficio sia delle élite locali, sia della presa russa sulle risorse africane).
Non è un caso che in queste ore si parli di materie prime. Tra le altre cose, dal Niger arriva un quarto dell’uranio necessario per le centrali nucleari e per una lunga serie di applicazioni mediche. Anche se non si può parlare di rischio agli approvvigionamenti, tra la scarsa quantità di materia necessaria, quella già stoccata e l’ampia disponibilità di altri Paesi.
Immagine: Arise News