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Chi c’è dietro No Labels, l’organizzazione che punta a un terzo candidato nel 2024

“Gli americani vogliono più scelte piuttosto che una ripetizione della corsa presidenziale del 2020”. Con un grande budget, e poche idee concrete sull’agenda elettorale, l’organizzazione “terzista” vuole scompaginare il duopolio di Democratici e Repubblicani, considerati in balì delle fazioni estremiste. Ecco i piani (che andrebbero a danno di Joe Biden)

No Labels è un’organizzazione politica senza scopo di lucro. Si definisce un movimento di base che riunisce tutti gli americani “stanchi degli estremi di sinistra e di destra”. È guidata dall’ex senatore democratico Joe Lieberman, dall’ex direttore esecutivo del National Association for the Advancement of Colored People, Benjamin Chavis e dall’ex governatore repubblicano del Maryland, Larry Hogan.

Il gruppo è stato lanciato nel 2010, quando i repubblicani al Congresso si sono uniti nel tentativo di bloccare tutte le iniziative legislative del presidente Obama. Ma la fondatrice e amministratore delegato del gruppo, Nancy Jacobson, ex presidente delle finanze del Comitato nazionale democratico, insieme al suo co-fondatore Mark McKinnon, stratega repubblicano, hanno sostenuto che lo stallo del Congresso derivava dalla cattura di entrambi i partiti da parte di politici alle due estremità dello spettro ideologico che non avevano interesse al compromesso. “No Labels ha promesso di sostenere i parlamentari disposti a incontrarsi nel mezzo, indipendentemente dalla loro affiliazione di partito”, ricorda il New Yorker. Secondo Chavis, “gli americani vogliono più scelte piuttosto che una ripetizione della corsa presidenziale del 2020”.

All’inizio del 2023 l’associazione ha annunciato di voler lanciare un candidato “terzo” in caso di rivincita Trump-Biden nel 2024. Per finanziare questo obiettivo, No Labels ha coinvolto un gruppo di miliardari politicamente diversi, tra cui David Koch, Peter Thiel, Reid Hoffman, Mark Cuban, George Soros e Michael Bloomberg. Pochi di loro però hanno firmato ufficialmente l’impegno e ad oggi No Labels si rifiuta di rivelare chi sono i suoi sostenitori. “Viviamo in un’epoca in cui agitatori e agenti partigiani cercano di distruggere e intimidire le organizzazioni che non piacciono attaccando i loro singoli sostenitori”, si giustifica il gruppo sul sito web.

Alcuni documenti visionati da The New Republic suggeriscono che negli ultimi anni hanno donato a No Labels alcuni miliardari come Harlan Crow, amico del giudice della Corte Suprema Clarence Thomas (avrebbe donato 130.000 dollari tra il 2019 e il 2021, portando con sé quasi due dozzine di altri donatori). “No Labels ha finanziato le campagne attraverso una rete di super PAC, tra cui United for Progress Inc., Citizens for a Strong America, United Together, Govern or Go Home e Forward Not Back”, scrive il New Yorker.

Come sottolinea il Wall Street Journal, No Labels non ha alcuna posizione sui grandi temi che dividono i due partiti principali, come l’accesso all’aborto: “Rivendica il bipartitismo e il centrismo come i suoi valori principali e afferma che questo mese è in arrivo un’agenda più specifica […] No Labels sta allontanando le preoccupazioni e andando avanti”.

No Labels dice di avere in mano dati che dimostrano che il 59% degli elettori americani sarebbe disposto a sostenere un candidato indipendente moderato. Ancora non ha candidati specifici, ma presto comunicherà quali saranno i criteri di selezione e chi ci parteciperà. Il processo, dicono, sarà definito il mese prossimo. Un eventuale candidato sarebbe presentato dopo il Super Tuesday del marzo 2024: se i ticket non saranno di gradimento per il movimento politico, ad aprile ci sarà l’annuncio in una convention a Dallas. Per ora ha un budget a disposizione di oltre 70 milioni di dollari, e si è registrato per le elezioni in Arizona, Alaska, Colorado, Oregon e Utah.

Il partito democratico dell’Arizona ha fatto ricorso per escludere No Labels, mentre nel Maine il segretario di Stato ha accusato il gruppo di aver indotto gli elettori a pensare che stessero semplicemente firmando una petizione, mentre in realtà si stavano iscrivendo al suo partito (negli Usa serve un certo numero di iscritti per poter presentare candidati negli Stati per le presidenziali).

Per No Labels “non c’è differenza tra i partiti repubblicano e democratico, sostengono che entrambi favoriscono gli estremisti”, sostiene il New Yorker. Negli Usa la storia dei candidati “terzi”, nell’ultimo secolo, è costellata da insuccessi. Ross Perot nel 1992 è quello che ottenne di più (il 19% del voto popolare) e probabilmente costò la rielezione a George H.W. Bush. Il “rosso-verde” Ralph Nader, nel 2000, tolse voti fondamentali alle speranze di Al Gore, all’epoca vice-presidente di Clinton. Per il 2024, a essere maggiormente danneggiato da un moderato potrebbe essere Joe Biden.


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