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Né pace né sicurezza senza adeguate politiche per il clima. Scrive Medugno

Cosa dice la Comunicazione adottata dalla Commissione europea e dall’Alto Rappresentante il 28 giugno scorso e che illustra in che modo l’Ue affronterà il crescente impatto dei cambiamenti climatici e del degrado ambientale nei settori della pace, della sicurezza e della difesa. Scrive Massimo Medugno, direttore generale di Assocarta

Clima e sicurezza (e pace), diventano cardini della politiche europea di difesa (nel senso più ampio del termine, quindi non solo militare). Lo prevede la Comunicazione adottata dalla Commissione europea e dall’Alto Rappresentante il 28 giugno scorso e che illustra in che modo l’Ue affronterà il crescente impatto dei cambiamenti climatici e del degrado ambientale nei settori della pace, della sicurezza e della difesa. Si tratta della “Joint Communication to the European Parliament and the Council: A new outlook on the climate and security nexus: Addressing the impact of climate change and environmental degradation on peace, security and defence”.

La parte finale della Comunicazione è dedicata ad una alleanza strategica con l’Africa, tema particolarmente caro all’Italia con un nuovo Piano Mattei che dovrebbe andare a coprire anche gli aspetti della transizione energetica. Ma andiamo con un po’ di ordine.

Secondo la Comunicazione (ma questo è ormai evidente a tutti) il ripetersi di fenomeni climatici estremi, l’innalzamento delle temperature e dei livelli del mare, la desertificazione, la carenza idrica, le minacce alla biodiversità, l’inquinamento e la contaminazione dell’ambiente stanno minacciando la salute e il benessere dell’umanità. Essi accrescono gli sfollamenti, i movimenti migratori, le pandemie, i disordini sociali, l’instabilità e persino i conflitti.

L’ambizioso obiettivo è quello di integrare meglio il nesso tra clima, pace e sicurezza nelle politiche esterne dell’Ue, con una serie di azioni concrete a tutto campo sul fronte dei dati, delle politiche, delle missioni, della difesa e della cooperazione con i partner terzi per garantire che gli impatti vengano presi in considerazione a tutti i livelli del processo di elaborazione delle politiche, della programmazione e delle operazioni nel campo delle relazioni esterne.

Pertanto, la nuova Comunicazione offre una prospettiva diversa e fissa il quadro dell’Ue per rispondere a queste sfide, poiché riguardano la società europea e le relative operazioni di sicurezza, nonché l’intensificarsi della concorrenza geopolitica sulle risorse e tecnologie necessarie per la transizione ecologica.

Quattro le priorità su cui intensificare gli sforzi:

  • rafforzare la pianificazione, il processo decisionale e la messa in atto, attraverso analisi affidabili basate su dati concreti sul nesso tra clima e sicurezza;
  • rendere operativa la risposta alle sfide climatiche e alla sicurezza nell’azione esterna dell’Ue;
  • perfezionare le misure di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici nelle operazioni e infrastrutture civili e militari degli Stati membri per ridurre i costi e l’impronta ecologica, garantendo però l’efficacia operativa;
  • rafforzare le alleanze internazionali nelle sedi multilaterali e con partner come la Nato, in linea con l’agenda dell’Ue in materia di cambiamenti climatici e ambiente.

Per realizzare queste priorità, l’Ue attuerà circa 30 azioni, tra cui: la creazione di un polo di dati e analisi sulla sicurezza climatica e ambientale; l’invio di consulenti ambientali nelle missioni e operazioni della politica di sicurezza e di difesa comune (Psdc) dell’Ue; l’istituzione a livello nazionale ed europeo di piattaforme per la formazione, come la piattaforma dell’Ue per la formazione in materia di clima, sicurezza e difesa; la realizzazione di analisi e studi approfonditi delle politiche e azioni correlate, specie in aree geografiche vulnerabili come il Sahel o l’Artico.

Non sorprende che, secondo la Comunicazione, anche le forze armate dell’Europa dovranno ridurre le loro emissioni di gas a effetto serra e la loro dipendenza dai combustibili fossili sul campo passando gradualmente alle energie pulite. Ma senza compromettere la loro efficacia operativa e la resilienza delle infrastrutture critiche connesse alla difesa (!).

La parte finale della Comunicazione (pp. 21-24) è appunto dedicata ad una alleanza strategica con l’Africa. È questo un tema particolarmente caro all’Italia con un nuovo Piano Mattei che dovrebbe andare a coprire anche gli aspetti della transizione energetica.

È noto che nel 2022 in Italia sono stati installati 3,036 gigawatt di nuova potenza da fonti rinnovabili fra nuovi impianti (2,927 Gw) e potenziamento di quelli esistenti (0,109 Gw), così suddivisi:

  • 2,482 Gw di fotovoltaico
  • 0,526 Gw di eolico
  • 0,031Gw di idroelettrico (secondo l’Osservatorio FER realizzato da Anie Rinnovabili sulla base dei dati Gaudì di Terna).

Le bioenergie sono calate di 0,0032 Gw. Al 31 dicembre 2022 in Italia sono risultati installati complessivamente 60,7 Gw di fonti pulite.

Seppur le Fer registrino un incremento del 109% di nuova potenza installata nel 2022 rispetto al 2021, si è ancora lontani dall’obiettivo di 9 GW/anno previsti dallo scenario FitFor55 elaborato da Terna-Snam nel 2022.

Proprio nell’ambito del Piano Mattei, che ben si inquadra nella Joint Communication di cui sopra, vanno considerate delle iniziative di “diplomazia energetica” del governo nell’area del Mediterraneo, creando i presupposti per l¹accesso alle fonti rinnovabili da parte di tutte le imprese energivore e non solo per i campioni nazionali.

Il Pnrr e ogni altra misura verso la decarbonizzazione devono avere come riferimento non la produzione di rinnovabili, idrogeno e biometano in generale, ma l¹incentivazione e la promozione di gas verdi da utilizzare nell’industria: solo in questo modo si può accelerare nella decarbonizzazione.

L’area del Mediterraneo può costituire, inoltre, un’area di particolare interesse per le nostre imprese per diverse filiere produttive. Sostituire vecchie dipendenze fossili con quelle da rinnovabili? Un Piano ben impostato può evitare questo rischio e dimostrare che per difendersi dalle dipendenze, a volte, non vanno tagliati ponti ma ne vanno costruiti dei nuovi.

E vanno “lanciate” nuove connessioni.


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