In più occasioni il presidente russo si è scagliato contro Varsavia e il suo “atteggiamento imperialistico” adottato lungo tutto il secolo scorso. Ma dietro gli attacchi di Putin si nasconde l’intenzione di rompere l’unità europea, causando una frattura da sfruttare al momento giusto. La lettura dello storico Giovanni Savino (Università Federico II)
La passione di Vladimir Putin per la storia patria spesso lo porta a utilizzare episodi e momenti del passato come elementi per criticare o sollevare questioni di politica estera, anche quando non riguardano direttamente la Russia. Già qualche anno fa, nel 2020, nell’articolo The Real Lessons of the 75th Anniversary of the Second World War, pubblicato dalla rivista statunitense d’orientamento conservatore The National Interest, il presidente russo aveva dedicato spazio alle “mire espansionistiche” della Polonia, che si era annessa come risultato degli accordi di Monaco la zona di Teschen/Cieszyn/Těšín, di cui una parte era sotto controllo cecoslovacco, e di aver rifiutato accordi con l’Unione Sovietica, consentendo così l’inizio della Seconda guerra mondiale.
Dopo l’aggressione militare all’Ucraina e il convinto sostegno del governo polacco nel fronteggiare ad ogni livello le attività russe, non deve sorprendere quindi quanto affermato da Putin nel corso della riunione del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa lo scorso 21 luglio, dove denunciava le intenzioni di Varsavia nel voler intervenire nel conflitto per poter prendere sotto il proprio controllo quei territori dell’Ucraina occidentale considerati come storicamente polacchi. Non una novità, già nel corso del 2022 più volte sono circolate carte geografiche sui media ufficiali russi dove l’Ucraina del futuro veniva divisa tra Russia, Polonia, Ungheria e Romania, e l’idea che il sostegno del governo di Mateusz Morawiecki e del suo partito Diritto e Giustizia nasconda interessi legati a un ampliamento dei confini polacchi viene diffusa a spron battente dalla propaganda del Cremlino. Le regioni orientali, secondo Putin, avevano subito una forte politica di polonizzazione a discapito delle minoranze nazionali, e il loro assetto statale era stato frutto della guerra civile russa, non menzionando però il conflitto polacco-sovietico del 1920, dopo il quale Varsavia aveva ratificato il proprio dominio su quei territori.
Putin ha poi aggiunto che gli “amici polacchi” dovrebbero essere grati a Stalin, per aver ottenuto le regioni occidentali del paese, fino al 1945 parte della Germania: un’annessione volta a compensare la perdita dei territori orientali, abitati in maggioranza da ucraini, lituani, bielorussi ed ebrei prima della guerra, e passati definitivamente all’allora Unione Sovietica già nel 1939 come conseguenza del patto Molotov-Ribbentrop. “Il Cremlino prova a falsificare la storia e il presente”, ha replicato il viceministro degli Esteri polacco Pawel Jablonski, dopo aver convocato l’ambasciatore russo Sergej Andreev per protestare contro le parole di Putin. In realtà, l’obiettivo del Cremlino non è di ottenere lettere o monumenti di ringraziamenti per Stalin, né tantomeno coinvolgere Varsavia in una ridefinizione dei confini europei, la ragione delle dichiarazioni del presidente russo sono da ricercare nel tentativo di creare tensioni, provando a far pressioni su fratture e contraddizioni presenti tra i paesi sostenitori dell’Ucraina.
Il governo polacco dal 2015, da quando i conservatori di Diritto e Giustizia sono al potere, avanzano periodicamente alla Germania la richiesta di riparazioni di guerra per i danni subiti dall’occupazione nazista; la posizione di Berlino si richiama agli accordi del dopoguerra, contestati da Morawiecki perché ritenuti frutto delle pressioni sovietiche, e al trattato sullo stato finale della Germania, firmato nel 1990 dalle quattro potenze alleate e dai governi della RFT e della RDT, dove si riconoscevano le decisioni prese a Potsdam nel 1945, tra cui i confini con la Polonia. Si tratta della riapertura di momenti terribili della memoria comune dei due paesi, che però hanno visto anche gesti di enorme importanza, come l’omaggio, nel 1970, del cancelliere tedesco Willy Brandt, fiero oppositore del regime nazista, al monumento alla rivolta del ghetto di Varsavia durante i giorni in cui venne firmato il trattato in cui anche la Germania federale riconosceva la linea Oder-Neisse come confine con la Polonia, gesti non considerati dalle attuali autorità polacche come espressione, forse, di un vero pentimento.
Anche l’attenzione mostrata da Mosca verso le complesse relazioni polacco-ucraine, con il periodico riemergere di episodi di pulizia etnica come i massacri delle comunità polacche ad opera dei nazisti e delle formazioni ucraine durante il 1943, hanno come obiettivo non l’apertura di una discussione storica sui conflitti in Europa orientale, ma provare a frantumare l’unità dei governi europei. Dichiarazioni e azioni che, in vista delle prossime elezioni europee del 2024, potranno solo aumentare, per dare spazio a recriminazioni e utilizzare le rivendicazioni di queste o quelle forze politiche a favore del regime di Putin, per poter far passare tra l’opinione pubblica europea il messaggio di uno scenario internazionale dove chiunque, chi più chi meno, avanza pretese, legittime o pretestuose che siano, così da poter rendere accettabile il revisionismo geopolitico di Mosca.