Uscendo dall’accordo sul grano e bombardando i centri di esportazione ucraini, la Russia continua a indebolire la sicurezza alimentare globale. Alla vigilia del forum Russia-Africa, il presidente scarica la colpa sui Paesi occidentali e dipinge la Russia come potenza salvifica. Ma i numeri lo smentiscono
Lunedì un bombardamento di droni kamikaze ha distrutto un deposito di grano sul Danubio, a pochi metri dal confine con la Romania. È solo l’ultimo sviluppo della lunga offensiva del Cremlino contro l’industria agricola ucraina, uno dei principali canali di finanziamento del Paese invaso. Dopo essere uscita dall’accordo sul grano, mettendo in grave difficoltà l’esportazione di cereali ucraini attraverso il Mar Nero, Mosca ha proceduto a bombardare i porti nottetempo, per poi volgere lo sguardo verso il secondo canale di trasporto per importanza: quello fluviale, verso l’Europa.
L’aggressione sull’hangar ucraino ha gettato i trasportatori nell’incertezza. Non solo stanno diminuendo le opzioni per caricare e trasportare in sicurezza il grano ucraino sui mercati globali, ma ci si aspetta che i bombardamenti rendano proibitivi i tassi di assicurazione e ancora meno conveniente per gli operatori lavorare con l’Ucraina, fonte di 10% del grano e 15% del mais nel mondo. Occorrono venti chiatte fluviali per trasportare un carico equivalente via mare, a causa della profondità inferiore del Danubio, e ci sono Paesi nell’Est dell’Ue per cui questo canale è una minaccia economica.
Da quando la Russia ha chiuso all’accordo sul grano (cosa che secondo il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, sancisce la scomparsa di “un’ancora di salvezza” per centinaia di milioni di persone in tutto il mondo), il prezzo globale del grano è aumentato del 17%. La ripercussione più grave, naturalmente, si sentirà nei Paesi dove la sicurezza alimentare non è garantita – con l’esempio classico dei Paesi nordafricani, una delle destinazioni principali del grano ucraino e tra i luoghi in cui l’inflazione alimentare, un decennio fa, contribuì allo scoppio delle cosiddette primavere arabe.
Non mancherà il grano a stretto giro, grazie ai raccolti robusti in Brasile e Australia. Ma l’impennata di prezzo, che risente anche del divieto indiano di esportare riso e che potrebbe peggiorare in caso di carenza prolungata di grano ucraino, pone una minaccia molto prossima alla stabilità di quei Paesi africani, a loro volta oggetto delle mire russe. Per Mosca, il continente africano rappresenta un luogo dove far prevalere la propria influenza (ponendosi come alternativa alle potenze occidentali) e sfruttare le risorse. Ma anche un’arma ibrida da puntare contro l’Europa, favorendo l’instabilità per aumentare la pressione migratoria.
Naturale, dunque, che il Cremlino abbia messo subito al lavoro i suoi mezzi di propaganda per scaricare la colpa sulle esportazioni di grano e indicare l’Occidente come il vero responsabile di un’eventuale crisi alimentare. Operazione non facile, visto che una schiera di governi africani e la stessa Unione africana ha criticato l’uscita dall’accordo sul grano. Questa la ratio dietro all’articolo firmato dal presidente russo Vladimir Putin e apparso sul sito del Cremlino alla vigilia del vertice russo-africano di San Pietroburgo.
La Russia, reitera lo zar nel pezzo, è sempre stata intenzionata a garantire la sicurezza alimentare globale, ma l’Occidente “ha spudoratamente utilizzato [l’accordo] per arricchire le grandi imprese statunitensi ed europee che hanno esportato e rivenduto il grano dall’Ucraina”. Oltre il 70% delle esportazioni ucraine attraverso l’accordo, continua, “sono finite in Paesi ad alto e medio reddito, tra cui l’Unione Europea, mentre Paesi come l’Etiopia, il Sudan e la Somalia, così come lo Yemen e l’Afghanistan, hanno ricevuto meno del 3% delle forniture”.
Naturalmente, i dati forniti dalle Nazioni Unite raccontano tutt’altra storia: il 57% di tutte le esportazioni nell’ambito dell’accordo sono state destinate ai Paesi in via di sviluppo, Inoltre, il semplice fatto di far arrivare il grano ucraino sul mercato contribuisce ad alleviare la pressione ed abbassare i prezzi (del 23% da marzo dell’anno scorso). Per non parlare delle organizzazioni internazionali, che pur non essendo basate nei Paesi a rischio indirizzano il grano dove serve: a luglio 2023 il World Food Programme dell’Onu – che è direttamente impegnato sul fronte della sicurezza alimentare nei Paesi africani – ha acquistato l’80% del grano dall’Ucraina nell’ambito dell’accordo.
Nulla di tutto questo impedisce a Putin di sfruttare cinicamente la crisi artificiale come un’opportunità. Dopo aver incolpato le sanzioni occidentali per la crisi alimentare globale (senza però ricordare che dette sanzioni non toccano minimamente il commercio di alimenti tra la Russia e Paesi terzi), lo zar passa a corteggiare i leader africani. “Voglio assicurare che il nostro Paese è in grado di sostituire il grano ucraino sia su base commerciale che gratuita, soprattutto perché quest’anno ci aspettiamo un altro raccolto record”, ha scritto nell’articolo. Ed effettivamente c’è chi ha motivo di rallegrarsi: gli agricoltori russi, che vedono i prezzi di mercato per i loro cereali aumentare vertiginosamente.