Anche l’innovazione e le deep tech sono state al centro del Nato Public Forum in corso a Vilnius. La guerra in Ucraina ha riportato infatti al centro del dibattito l’utilizzo delle nuove tecnologie non solo da parte del settore militare, ma anche quelle fornite da aziende private
Gli avvenimenti in Ucraina hanno reso ancor più chiaro quanto sia rilevante l’incidenza della tecnologia sul campo di battaglia e di come stia cambiando la guerra in sé. Dalla competizione strategica, che passa anche per l’innovazione, al Defence innovation accelerator for the North Atlantic (Diana) sono stati numerosi i temi al centro del panel “Tech talk: sfruttare le tecnologie emergenti per ottenere vantaggi strategici”, moderato dalla reporter Teri Schultz e tenutosi in occasione del Nato Public Forum, che si tiene in concomitanza del vertice di Vilnius dell’Alleanza atlantica.
Sinergia più stretta con i privati
“Continuo a riferirmi alla guerra russo-ucraina come a una Prima guerra mondiale combattuta con la tecnologia del XXI secolo”, ha esordito la senior policy fellow dell’European council of foreign relations (Ecfr), Ulrike Franke (nella foto). E infatti insieme al ritorno di un conflitto di stampo novecentesco, si è assistito anche a una centralità senza precedenti delle tecnologie disruptive e delle minacce emergenti sul campo di battaglia. Secondo quanto ha raccontato l’esperta, le forze ucraine si stima che abbiano perso circa diecimila droni al mese. Mai nessun conflitto fino ad ora aveva registrato un simile record. Accanto a ciò Franke ha voluto sottolineare il ruolo che ha giocato “la tecnologia in questa aggressione russa all’Ucraina e il ruolo enormemente importante che le aziende private e le aziende civili private stanno continuando a svolgere”, di cui “la maggior parte americane”. Si è visto ad esempio Google mettere una sorta di “ombrello digitale” su numerosi siti ucraini, affinché non potessero essere colpiti da attacchi Dos, o Amazon che ha permesso all’Ucraina di spostare al sicuro sul cloud molte funzioni statali, e ancora Starlink e SpaceX che con i loro satelliti hanno assicurato la connessione internet nel Paese. Per questo per non farsi trovare impreparati in futuro “abbiamo bisogno di legami sempre più stretti tra le aziende private e lo Stato in tempo di pace, in modo che se succede qualcosa si possa intervenire subito”, ha aggiunto ancora l’esperta.
La competizione passa per il tech
“La Nato è stata davvero coraggiosa, in quanto organizzazione sovranazionale, a rendersi conto e a intervenire in questo divario e a guidare il Fondo [Nato Innovation] e l’attività Diana”, ha esordito invece Andrea Traversone, socio amministratore del Fondo per l’innovazione della Nato (Nif). Al Summit Nato di Madrid dello scorso anno infatti i leader dell’Alleanza avevano firmato una lettera d’intenti che impegnasse gli Stati a implementare l’Innovation fund, un fondo di un miliardo di euro che aiuterà nei prossimi 15 anni start up e realtà deep tech a innovare e migliorare la dotazione tecnologica dell’Alleanza Atlantica. L’obiettivo è mantenere il vantaggio tecnologico nella sfida posta da Russia e Cina a vantaggio della sicurezza transatlantica. Tale fondo, secondo Traversone, andrà a colmare un gap di investimento in deep tech che esiste da più di 25 anni. In ottica di competizione è dunque importante che la Nato e i suoi alleati abbiano implementato tale fondo multi-sovrano, per investire ancor più concretamente nell’innovazione e per rendere i cittadini alleati sempre più sicuri.
Tecnologie al servizio dell’innovazione
“Dovremmo essere in grado di ampliare la nostra definizione di tecnologia di sicurezza […] perché stiamo parlando di una tecnologia che ha un’ampia base nell’energia, nel clima […] e c’è una serie di soluzioni là fuori”, ha spiegato la presidente del Consiglio di amministrazione di Diana, Barbara K. McQuiston. Il progetto Diana mira infatti a creare una rete federata di centri di sperimentazione e acceleratori d’innovazione con il compito di supportare le start up innovative facilitando la cooperazione tra settore privato e realtà militari. “Per me la sicurezza economica e nazionale vanno mano nella mano”, ha proseguito McQuiston, secondo cui bisogna essere in grado di lavorare con gli imprenditori, accelerando i loro business nel dual-use, e allo stesso tempo studiare come queste tecnologie e soluzioni lavoreranno sul campo per molte attività portate avanti dalla Nato, ma anche per l’aiuto umanitario e l’emergenza migratoria. Diana il mese scorso ha aperto i primi uffici a Londra, ma in tale progetto è coinvolto anche il nostro Paese, sarà infatti Torino a ospitare l’acceleratore per il settore aerospaziale.