Il colosso americano ha annunciato la risoluzione dell’accordo di acquisizione della società israeliana. La missione dell’amministratore delegato a Pechino non ha portato al via libera dell’antitrust. L’intesa riguardava anche l’Italia, ecco perché
Intel e Tower Semiconductor hanno concordato la risoluzione dell’accordo di acquisizione della società israeliana da parte del colosso statunitense. L’affare 5,4 miliardi di dollari, annunciato a febbraio dell’anno scorso, è saltato a causa “dell’impossibilità di ottenere tempestivamente le approvazioni normative richieste dall’accordo di fusione”, ha comunicato Intel dopo che non ha ottenuto il via libera delle autorità cinesi entro la scadenza fissata il 15 agosto. Intel pagherà a Tower una commissione di 353 milioni di dollari. “Il nostro apprezzamento per Tower è cresciuto grazie a questo processo e continueremo a cercare opportunità di collaborazione in futuro”, ha dichiarato Pat Gelsinger, amministratore delegato del gruppo americano.
Come raccontato da tempo su Formiche.net, l’affare riguardava anche l’Italia visto che Tower, specializzata in produzione di chip e circuiti “on demand”, è presente negli stabilimenti del gruppo italofrancese StMicroelectronics ad Agrate Brianza, in provincia di Monza Brianza
Nelle scorse settimane Gelsinger era stato in missione in Cina per incontrare il governo e assicurarsi il via libera delle autorità di Pechino. Come spiegato su Formiche.net nelle scorse settimane, Intel poteva procedere all’acquisizione di Tower, che non ha fabbriche in Cina, anche senza il via libera di Pechino. Tuttavia, qualsiasi azienda che raggiunga una soglia di fatturato di circa 55 milioni di dollari in Cina è soggetta al vaglio dell’antitrust locale. I colloqui di Gelsinger non sembrano aver dato i frutti sperati da Intel. Il colosso statunitense potrebbe aver temuto che Pechino decidesse di limitare l’accesso al mercato cinese, che assorbe il 30% delle vendite.
Le ragioni dietro il fallimento dell’affare Intel-Tower riflettono il clima di tensione tra Stati Uniti e Cina, con i primi decisi a potenziare l’autonomia nei settori critici, a partire dalla tecnologia.
Qualcosa di simile era accaduto l’anno scoro. A novembre l’americana DuPont De Nemours aveva annunciato la risoluzione dell’accordo di acquisizione (dal valore di 5.2 miliardi di dollari) di Rogers Corp, azienda elettronica anch’essa americana e presente con fabbriche in Cina, dopo i ritardi nel processo di approvazione da parte delle autorità antitrust di Pechino.