Skip to main content

C’è il fondo sovrano cinese negli acquisti di Goldman Sachs. La rivelazione di FT

Il Financial Times rivela che la banca d’affari statunitense ha acquisito sette società (alcune rilevanti in settori altamente strategici) utilizzando un fondo messo in piedi con i soldi della China Investment Corporation, il fondo sovrano di Pechino. È un modo per aggirare i controlli occidentali sugli investimenti cinesi? E il caso scoppia mentre Raimondo e Cleverly sono a Pechino

Bomba del Financial Times: Goldman Sachs avrebbe acquistato una serie di aziende statunitensi e britanniche utilizzando un fondo creato con il denaro statale cinese. Così facendo, la banca d’affari a stelle e strisce avrebbe di fatto garantito alle autorità di Pechino un certo grado di controllo, seppur indiretto, in queste società – alcune delle quali sono rilevanti in termini di sicurezza nazionale. E l’avrebbe fatto celando l’origine degli investimenti, scrive la testata britannica, perché pur avendo annunciato di aver investito nelle aziende in questione la banca “non ha detto che le operazioni sono state finanziate almeno in parte dal fondo cinese.”

I riflettori del FT si sono accesi su sette operazioni concluse grazie ai soldi di un “fondo di partnership” di private equity da 2,5 miliardi di dollari, che Goldman Sachs ha creato nel 2017 insieme alla China Investment Corporation (Cic), il fondo sovrano del Partito-Stato che gestisce anche parte delle riserve cinesi in valuta estera. Le acquisizioni di questo fondo, scrive la testata britannica, comprendono “una start-up che traccia le catene di approvvigionamento globali, una società di consulenza per il cloud computing, un’azienda di test per i farmaci e un produttore di sistemi utilizzati per l’intelligenza artificiale, i droni e le batterie dei veicoli elettrici”.

Tra le realtà in cui il fondo Goldman-Cic ha investito c’è LRQA, l’unità di ispezione e certificazione del gruppo di classificazione marittima britannico Lloyd’s Register che fornisce servizi nei settori dell’aerospazio, della difesa, dell’energia e della sanità. LRQA comprende anche il gruppo di sicurezza informatica Nettitude, fornitore di servizi approvato dal governo britannico che secondo a quanto scrive sul suo sito contribuisce a “rafforzare le organizzazioni governative e di difesa in tutto il mondo”. FT specifica che nell’operazione LRQA e in altre il fondo in questione “ha investito insieme ad altri fondi privati gestiti dalla banca, il che significa che il coinvolgimento finanziario dello Stato cinese è stato relativamente ridotto”. Ma, rimarca la testata, Cic “è più strettamente coinvolto nelle aziende che acquista rispetto agli investitori tipici della maggior parte dei fondi di buyout”.

La notizia è a dir poco esplosiva, data la tensione crescente tra Cina e Occidente (Usa in testa). C’è l’assertività cinese dietro la spinta occidentale verso il de-risking, che ha portato anche all’aumento dei controlli sugli investimenti diretti dall’estero, specie quelli provenienti dalla terra del Dragone, per proteggere i settori di interesse strategico. La mossa di Goldman Sachs va in senso contrario: in sostanza, scrive FT, le operazioni condivise con la Cic “evidenziano come i fondi di private equity abbiano aiutato i fondi sovrani ad accumulare partecipazioni indirette in aziende di settori critici”, aggirando di fatto i controlli più stringenti delle capitali occidentali.

Le rivelazioni di FT arrivano nel terzo e ultimo giorno dei dialoghi pechinesi tra la segretaria Usa al Commercio Gina Raimondo e l’omologo cinese Wang Wentao, definiti dagli organi del Partito comunita cinese come “razionali, schietti e costruttivi” e indicativi della volontà, da ambo le parti, di riavviare il dialogo in materia di economia e commercio. Nemmeno a farlo apposta, è anche il primo giorno della missione del segretario agli Esteri britannico James Cleverly in Cina per incontrare il suo omologo Wang Yi, con Londra che si dimostra aperta agli affari pur con tutte le cautele e i distinguo del caso.

Naturale, dunque, che la notizia del coinvolgimento cinese in aziende statunitensi e britanniche arrivi come un fulmine a ciel sereno – o meglio, un “cielo” di relazioni che Washington, Londra e Pechino vorrebbero rendere meno tetro, almeno dal punto di vista strettamente pratico. Le prime due capitali sono in odore di elezioni nel 2024 e le rispettive amministrazioni sono consapevoli dell’importanza dell’interscambio con la Cina. Che da parte sua è chiaramente spaventata dal suo affanno economico e sta agendo per tamponare la fuga di capitali esteri rendendo il suo mercato meno uninvestable (parole degli investitori americani riferite dalla stessa Raimondo durante il viaggio).

In risposta a FT, Goldman Sachs ha dichiarato che il fondo di cooperazione “è un fondo statunitense, gestito da un manager statunitense […] in conformità a tutte le leggi e i regolamenti” che “continua a investire in aziende statunitensi e globali, aiutandole ad aumentare le loro vendite nel mercato cinese”. Un portavoce di LRQA ha detto alla testata che la Cina “rappresenta il 40% del mercato globale della certificazione e noi siamo attualmente sottorappresentati, cosa che stiamo cercando di affrontare in parte con l’assistenza del fondo [Goldman-Cic]”. Nettitude, l’agenzia di cybersecurity, non ha attività in Cina, non ha intenzione di stabilirvisi e non ha avuto alcuna interazione con il Cic, ha specificato il portavoce.

Tuttavia, in questo clima diffuso di sfiducia e cautela, apprendere che il fondo sovrano cinese sta investendo in due mercati che si impegnano attivamente per proteggersi dalle interferenze estere – avvalendosi peraltro di una banca influente come Goldman Sachs – è vera dinamite per le relazioni commerciali. Tanto più se si ricorda che proprio il Ceo della banca d’affari David Solomon è tra i grandi nomi della finanza che si sono avvicendati a Pechino negli ultimi mesi per tendere la mano al mercato cinese e tentare di mantenere un ponte solido per gli investimenti, a dispetto del processo di de-risking.

×

Iscriviti alla newsletter