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Come cambia la disinfo russa, anche in Italia. Parla Caniglia (Atlantic Council)

Con operazioni più piccole di quelle orchestrate in passato, Mosca sfrutta le finestre di opportunità offerte dal dibattito pubblico su temi divisivi come l’invio delle armi all’Ucraina, spiega Caniglia (Digital Forensic Research Lab). Il nostro Paese “rimane un obiettivo importante per queste operazioni di disinformazione a causa del suo ruolo in Europa e nel mondo”. Antidoti? “Media literacy e Osint”

“La disinformazione russa sta facendo sempre più ricorso a campagne più piccole di quelle adottate in passato, che spesso erano accompagnate da attacco informatici, come nel caso info-ops lanciata dai russi in occasione delle elezioni presidenziali statunitensi del 2016”. A spiegarlo, all’indomani del tentativo della diplomazia russa di cavalcare le polemiche italiane legato al generale Roberto Vannacci e all’uranio impoverito, è Mattia Caniglia, associate director for capacity building del Digital Forensic Research Lab dell’Atlantic Council.

Com’è cambiata la disinformazione russa in questi anni, dopo il Covid-19 e con la guerra in Ucraina?

Ora la disinformazione russa preferisce sfruttare le finestre di opportunità offerte dal dibattito pubblico su temi divisivi come l’invio delle armi all’Ucraina, internazionalizzando le sue campagne rilanciandole anche in diverse aree geografiche.

Un esempio?

Un esempio sono le information operations collegate alla diffusione di narrative russe che insistono sul ruolo neocoloniale delle potenze europee in Africa o sull’addossare le responsabilità della crisi del grano sull’Ucraina che hanno come audience principale gli africani ma che vengono puntualmente rilanciate in altri contesti.

Com’è cambiata la diffusione della disinformazione russa?

Un altro elemento di cambiamento è che la disinformazione russa è oggi multistrato, sfrutta cioè la diffusione su più social media, messaging-app, organi di stampa creando un effetto di cross-contamination tra varie piattaforme e sfruttando anche i canali ufficiali della diplomazia e del governo di Mosca che fungono ormai da vero e proprio ripetitore.

E quanto alla disinformazione cinese?

Assistiamo a qualcosa di molto simile. L’obiettivo, infatti, anche in questo caso è creare campagne di disinformazione per creare information pollution, saturando lo spazio informativo creando confusione e polarizzazione.

E in Italia?

Per quello che abbiamo osservato negli ultimi anni le information operation, le operazioni di influenza condotte da attori esterni in Italia sono meno sofisticate, ma l’Italia rimane un obiettivo importante per queste operazioni di disinformazione a causa del suo ruolo in Europa e nel mondo. Sono molti gli attori interessati a influenzare il nostro elettorato e le decisioni della nostra politica. Il problema principale però è quello delle narrazioni, come racconta anche un recente report dello European Council on Foreign Relations (di cui l’intervistatore è co-autore, ndr). L’opinione pubblica è fortemente frammentata e ci sono tanti personaggi ospiti dei media che alimentano il dibattito con temi divisivi e identitari, spesso con argomenti molto simili a quelli della disinformazione russa.

Qual è il risultato di questa situazione?

Quello che ne risulta è uno spazio informativo e digitale sempre più polarizzato. E dove c’è polarizzazione scarseggia il buonsenso e diventa difficile per i cittadini informarsi davvero, si tende invece a tifare per una parte o per l’altra alimentando un fenomeno molto diffuso nel mondo di oggi e deleterio per la qualità della democrazia: la fandom politics.

C’è un antidoto alla disinformazione?

Ce ne sono diversi, ma forse l’antidoto fondamentale alla disinformazione sono la media literacy e l’Osint (intelligence delle fonti aperte). Ciò non significa che tutti dobbiamo diventarne esperti di Osint o investigatori online. La qualità della nostra democrazia dipende però dalla capacità dei cittadini di accedere ad un informazione veritiera e libera, di saper discernere. Per salvaguardare questo aspetto fondamentale in un’epoca in cui sia lo spazio informativo che quello digitale sono fortemente contesi e contaminati è importante compiere sforzi per aumentare il livello di media-literacy della popolazione. Da questo punto di vista le abilità Osint sono lo strumento par excellence per combattere la disinformazione e apprendere a verificare le informazioni che reperiamo online.  Più persone sapranno usare questi strumenti più sicuro diventerà lo spazio digitale. Questa è la scommessa sulla quale nel 2019 il Digital Forensic Research Lab dell’Atlantic Council ha lanciato il programma Digital Sherlocks che è diventato il programma di formazione online gratuito più grande al mondo su contrasto alla disinformazione e tecniche Osint.

Sta per partire la nuova edizione. Che cosa c’è in agenda?

Le iscrizioni per l’edizione autunnale 2023 sono aperte: sono previste 35 sessioni che spaziano da geolocalizzazione ad analisi di social media, incontri con policymaker e forensica digitale. La nostra comunità conta circa 3.000 Digital Sherlock da 140 Paesi. È un’occasione di sinergie e contatti tra studenti, ricercatori, accademici, giornalisti e ong, ma soprattutto per creare una rete di esperti capaci di monitorare meglio lo spazio digitale in tutto il mondo. In fondo quella della disinformazione è una minaccia globale e richiede pertanto un approccio globale nel creare gli anticorpi che servono a sconfiggerla.

Un esempio di collaborazione di successo con i Digital Sherlocks?

Grazie alla segnalazione di un Digital Sherlock siamo riusciti a dimostrare a fine 2017 che il gruppo Wagner era impegnato al fianco del regime sudanese di Omar al-Bashir per reprimere il nascente movimento pro-democrazia. La presenza degli uomini di Yevgeny Prigozhin era stata poi confermata dalla diplomazia russa oltre un anno più tardi, a inizio 2019. La presenza della Wagner in Sudan ha aperto poi le porte all’espansione del gruppo in Repubblica Centrafricana e poi in Libia e in altre parti dell’Africa.



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