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Senza trafori le Alpi rischiano di bloccare l’export

Di Miro Scariot

Un mese d’agosto infuocato per le infrastrutture che attraversano le Alpi, un motivo in più per tifare Torino -Lione e potenziare le merci su rotaia

Desta preoccupazione la situazione dei trafori alpini. Le vicissitudini agostane, è il caso dell’incidente nel San Gottardo, della frana che ha colpito il Frejus e del programma di lavori a quello del Monte Bianco, non devono lasciarci indifferenti e rappresentano un importante campanello d’allarme. La situazione attuale ricorda, ancora una volta, quanto siano fondamentali le grandi infrastrutture e come sia necessario avere una rete resiliente e capace di sopportare eventuali shock dovuti a fattori esogeni o ai naturali cicli di manutenzione.

Il governo si è subito mobilitato e il dialogo avviato, dal ministro Matteo Salvini, con la controparte francese, ha dato esito l’esito sperato: i lavori di manutenzione al traforo del Monte Bianco sono posticipati per non aggravare un quadro già critico. Una notizia positiva, che tuttavia non allontana i timori degli operatori della logistica di veder solamente rinviati dei veri e propri colli di bottiglia, con tutto ciò che consegue per l’economia del Nord e non solo.

Ci stiamo oggi rendendo conto dell’equilibrio instabile, delle croniche debolezze di una rete transfrontaliera che necessita di essere implementata, soprattutto nella componente ferroviaria. L’opportunità rappresentata dal Pnrr sta rendendo possibile il potenziamento dell’hardware all’interno dei nostri confini, con il Gruppo Ferrovie dello Stato che sta investendo un ingente quantitativo di risorse. Un impegno che si traduce in numeri importanti visto e considerato che l’80% dei circa 24 miliardi del Pnrr sono già in fase realizzativa.

Un piano di investimenti che favorirà lo shift modale e una progressiva decarbonizzazione del trasporto merci in una nazione che – per molti anni – ha ignorato la strategicità del trasporto su ferro. Allo stato attuale la quota di mercato del cargo ferroviario, in Italia, è dell’11-12% contro una media Ue del 19-20%, un divario notevole che si fa ancora più rilevante se guardiamo all’obiettivo europeo del 30% entro il 2030.  Questo obiettivo, così come le criticità di queste settimane, devono rappresentare un momento di seria riflessione su quanto tempo è stato perso a causa di posizioni ideologiche prive di logica che hanno portato a rallentare l’andamento dei lavori della Torino – Lione. Un’opera strategica – tanto quanto il Ponte sullo Stretto – che ora più che mai risulta necessaria per garantire il potenziamento del traffico e lo smistamento dei volumi tra le varie direttrici, senza causare strozzature.

Come dichiarato da Fermerci, in un comunicato stampa, il 60% di tutto l’import/export italiano passa dai valichi alpini, di questo il 34% viaggia su ferroviaria e attraversa i corridoi transalpini che collegano l’Italia al resto d’Europa passando per Germania, Francia, Svizzera ed Austria. Una quota notevole, che rappresenta anche la proiezione della capacità portuale della nostra penisola, punto d’attracco nel Mediterraneo e possibile grande piattaforma logistica verso l’Europa. Il permanere di queste criticità sull’arco alpino rischia di avere conseguenze rilevanti anche per le nostre aree portuali, le quali potrebbero temporaneamente perdere di competitività in favore degli approdi francesi.

La miopia che ha rallentato la Torino -Lione, che qualcuno – in particolare il fu ministro Toninelli – voleva addirittura depotenziare inventando “la mini-Tav”,    si sta rivelando una zavorra che mina la vocazione all’export di interi territori. L’assenza di una visione d’insieme attorno a un’opera diventata vero e proprio manifesto nimby, rischia di costringere le aziende del trasporto ferroviario a doversi ispirare ad Annibale per varcare le Alpi.

Un danno per l’Italia e uno smacco per le imprese che – da Nord a Sud – operano nel settore della logistica ferroviaria. Senza la Torino – Lione, l’Italia perde il passo con l’Europa e rischia di essere in ostaggio degli imprevisti che incidono in modo inesorabile sui ritmi serrati delle catene di approvvigionamento.   L’Italia che vuole essere hub strategico nel Mediterraneo, non può prescindere dal potenziamento – in corso d’opera grazie a Rete Ferroviaria Italiana – delle proprie reti ferroviarie, ma anche dalla concretizzazione del Corridoio Mediterraneo, uno dei 9 assi della Ten -T. Un sistema di trasporti efficiente necessita di affidabilità e piena integrazione, un tema sul quale l’Italia non può più permettersi fragilità se vuole mettere a profitto – gli investimenti del Pnrr – la capillarità della sua rete di porti e le opere di potenziamento in corso d’opera nei poli logistici.

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