Il primo auspicabile risultato della nuova strategia del governo Meloni è quello di un nuovo approccio culturale all’Africa, in grado di superare i molti preconcetti ideologici che hanno a lungo ostacolato un dibattito sano, costruttivo e definito per perseguire gli interessi nazionali. Bisogna scardinare il paradigma che per molto tempo ha abbinato la cooperazione allo sfruttamento, scrive Nicola Pedde, direttore dell’Institute for global studies e professore di Geopolitica dell’energia
La definizione di una strategia italiana per lo sviluppo delle relazioni con l’Africa ha origini lontane, ma ha sofferto nel corso degli ultimi decenni di una cronica assenza di iniziative rilevanti, limitando in tal modo il piano delle relazioni a poche aree di interesse strategico, soprattutto sotto il profilo degli approvvigionamenti energetici. Un nuovo impulso per ridefinire la strategia africana dell’Italia, e per affiancare al tradizionale interesse energetico anche una dimensione politica e culturale, è stato dato dal presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che proprio il giorno dell’insediamento del governo ha annunciato l’intenzione di varare un Piano Mattei per rilanciare la politica africana dell’Italia su nuove e più solide basi. Iniziativa certamente eccellente, attesa da tempo e che consente di ampliare rispetto alle tradizionali aree di prossimità del Paese, e quelle di proiezione degli interessi energetici dell’Eni, il margine di intervento della diplomazia, dell’economia e della cooperazione culturale italiana.
Sebbene largamente atteso e accolto con favore, l’annuncio del Piano Mattei non è ancora stato articolato in modo più preciso; verrà ufficializzato il prossimo ottobre, in occasione della conferenza Italia-Africa. In questi mesi, pertanto, diversi dicasteri sono stati coinvolti nella definizione generale del Piano, con lo scopo di strutturarlo secondo una molteplicità di linee d’azione che dovrebbero idealmente consentire all’Italia di rilanciare e potenziare le relazioni con il continente africano secondo criteri di interesse anzitutto politici e in subordine economici, culturali e di sicurezza. In attesa di conoscere i dettagli definitivi del documento programmatico, l’occasione si presenta propizia per formulare alcune considerazioni generali sulla politica africana dell’Italia e la sua possibile futura strutturazione nell’ambito del più ampio Piano Mattei.
Il primo auspicabile risultato della nuova strategia è quello di un nuovo approccio culturale all’Africa, in grado di superare i molti preconcetti ideologici che hanno a lungo ostacolato un dibattito sano, costruttivo e soprattutto definito per perseguire gli interessi nazionali. Bisogna scardinare il paradigma che per molto tempo ha abbinato la cooperazione allo sfruttamento, transitando invece all’interno di una nuova cornice che consideri la cooperazione come una necessaria e ineludibile azione di vantaggio reciproco. Sarà di fondamentale importanza anche definire un piano commisurato tanto alle esigenze quanto alle reali capacità di proiezione dell’Italia nel continente africano. Mentre da una parte gli interessi economici riescono a delineare in modo alquanto puntuale e preciso la mappatura delle priorità di proiezione nel continente, sul piano della politica e della sicurezza questa operazione risulta più complessa e non deve cedere alla tentazione di sovraesporsi.
L’Italia deve individuare e promuovere la propria azione in una ben definita serie di Paesi, selezionati in base ai possibili effetti e alla reale capacità d’intervento della proiezione nazionale. In tal modo, sul piano della politica e della sicurezza, le aree del Nord Africa e del Corno d’Africa assumono una rilevanza prioritaria per l’Italia, dove è necessario concentrare energie e sforzi investendo in una pluralità di iniziative di carattere diplomatico, culturale, economico e securitario. Al tempo stesso, tuttavia, e soprattutto sul piano della sicurezza, bisognerebbe evitare di espandere la capacità di proiezione nazionale nella vasta e ingestibile area del Sahel, dove qualsiasi sforzo dimensionale, tanto nazionale quanto collettivo attraverso l’Unione europea, risulterebbe vano. Ultimo, ma non certo per ultimo, l’Italia deve vincere la sua tradizionale ritrosia ad adottare strategie di soft power in Africa, investendo in modo concreto e non simbolico sulla proiezione culturale e linguistica italiana.
Al pari di quei Paesi che hanno una solida strategia continentale, l’Italia deve incrementare il numero di studenti africani cui offre l’opportunità di studiare in Italia, deve promuovere lo sviluppo di istituti di formazione scolastica e universitaria in lingua italiana e investire per formare e specializzare i quadri amministrativi e dirigenti delle aree di interesse primario così da creare solidi legami bilaterali. In tale contesto, il Piano Mattei si presenta come un’opportunità di eccezionale importanza per l’Italia. Un appuntamento che non può essere mancato per nessuna ragione e che deve condurre a una nuova e più proficua concezione delle relazioni con l’Africa. Sul tema, la recente crisi politica e militare che ha interessato la regione settentrionale etiopica del Tigrai ha determinato profonde fratture politiche e generato ingenti flussi di profughi, che potrebbero in un prossimo futuro abbandonare la dimensione regionale a causa della mancanza di risorse per ripristinare la stabilità nelle regioni interessate dal conflitto.
Il controverso ruolo dell’Eritrea nella crisi del Tigrai ha ulteriormente esacerbato le relazioni all’interno dell’eterogenea e sempre più polarizzata società etiopica, con il rischio di perduranti tensioni soprattutto in conseguenza del ruolo svolto al fianco delle truppe federali di Addis Abeba nel corso del conflitto, che le ha contrapposte alle milizie regionali di Macallè. Il primo ministro etiopico Abiy Ahmed ha annunciato di voler sciogliere le milizie regionali dei singoli Stati federali e di volerle assorbire nell’ambito dell’esercito nazionale. Questo però rischia di innescare tensioni sul piano interno andando a colpire la consolidata struttura del federalismo etnico. È nell’ambito di tale contesto che si è svolta lo scorso aprile la missione del presidente del Consiglio italiano nel Corno d’Africa, che tuttavia non ha previsto alcuna tappa in Eritrea, evidenziando quanto sia urgente una revisione delle relazioni tra Roma e Asmara. Relazioni in parte rilanciate poi dalla recente visita dello scorso luglio a Roma del ministro degli Esteri eritreo Osman Saleh, che con il suo omologo Antonio Tajani ha discusso della possibilità di ridefinire le relazioni economiche.
Non meno rilevante è la questione della Somalia, dove la crisi economica e della sicurezza resta una priorità, sebbene evidenti siano i progressi del governo nel ripristinare una graduale forma di stabilità, grazie al sostegno di numerosi partner internazionali che hanno investito generosamente in favore del Paese nel corso dell’ultimo decennio. La costante minaccia rappresentata dalle formazioni jihadiste dell’al-Shabaab si accompagna in Somalia all’assenza di un piano di sviluppo economico di ampio respiro e lungo periodo. Questo determina un avvitamento della politica somala intorno a una perpetua emergenza dell’economia – impostata ancor oggi fortemente sull’assistenzialismo – e della sicurezza. Il Paese lotta contro le organizzazioni jihadiste e le reti criminali con scarsi strumenti militari e finanziari. Ciò di cui ha urgente necessità la Somalia, oltre al costante sostegno sul piano della sicurezza e del rafforzamento della governance politica, è un piano di supporto economico costruito sulla riprogettazione di filiere produttive capaci di generare un volano economico nel medio e lungo periodo.
Interventi strutturati sull’industria dell’agricoltura, della pesca e dell’allevamento potrebbero rappresentare in questa fase una concreta opportunità per consolidare l’economia locale. Sono iniziative che, tuttavia, necessitano di ampio sostegno finanziario internazionale per poter essere realizzate. Sebbene siano trapelate alcune indiscrezioni sulla fisionomia complessiva del Piano Mattei, la sua definizione è ancora in corso e i più recenti sviluppi delle dinamiche del Corno d’Africa potrebbero in tal modo trovare una più puntuale integrazione nella stesura definitiva del documento. La recente missione del presidente del Consiglio nella regione, tuttavia, indica in modo chiaro come gli aspetti della stabilità politica e della sicurezza costituiranno una componente rilevante della complessiva struttura del Piano Mattei, non in subordine rispetto ai pur preminenti interessi economici e di supporto alla politica industriale italiana nel continente.
*Questo articolo è stato pubblicato sul numero 194 di Formiche rivista