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Ma quando finisce la litania “sull’onda nera”? Scrive Merlo

Al netto della legittima e del tutto scontata propaganda politica e giornalistica è sempre più evidente la difficoltà di elaborare un progetto politico, culturale e programmatico realmente alternativo al centrodestra da parte della sinistra radicale e massimalista di Schlein e di quella populista e anti politica dei 5 Stelle. L’analisi di Giorgio Merlo

Faccio subito una premessa. L’area cattolico popolare e cattolico sociale in cui mi riconosco è storicamente, culturalmente e politicamente antifascista. Fatta la promessa, nota e scontata di antifascismo, il che non è affatto una notizia per chi ha seppur una minima conoscenza della storia secolare del cattolicesimo politico italiano, c’è però una considerazione che non si può non fare adesso a fronte del comportamento della stragrande maggioranza della sinistra e degli organi di informazione che la sostengono.

Ovvero, persiste – un giorno sì e l’altro pure – una vulgata secondo la quale siamo sempre alla vigilia “dell’onda nera”, di un “ritorno della minaccia fascista” o, nella migliore delle ipotesi, di una imminente e quasi scontata “deriva illiberale” o “autoritaria”. Ora, al netto della legittima e del tutto scontata propaganda politica e giornalistica – anche se un po’ stantia, noiosa e ripetitiva – è sempre più evidente la difficoltà di elaborare un progetto politico, culturale e programmatico realmente alternativo al centro destra da parte della sinistra radicale e massimalista di Schlein e di quella populista e anti politica dei 5 Stelle.

Perché se il tutto si riduce, sempre e comunque, alla permanente minaccia del potenziale arrivo di una dittatura che poi non arriva mai, è persino banale arrivare alla conclusione che questo è un tema con le armi spuntate e che rischia di trasformarsi in un vero e proprio boomerang. Dopodiché, quando arriva un provvedimento dal governo che ha l’obiettivo di introdurre, ad esempio, una tassa sugli extra profitti delle banche, diventa anche imbarazzante replicare perché coglie una esigenza fortemente sentita dai ceti popolari e da quel ceto medio impoverito del nostro Paese che la sinistra non è più riuscita a rappresentare in questi ultimi tempi. Come sanno tutti gli analisti, commentatori ed opinionisti italiani.

Anzi, una scelta, questa, che è riconducibile direttamente ad una politica con una forte e marcata caratterizzazione sociale. E quindi, e di conseguenza, una scelta che al contrario evidenzia proprio l’atavica ed antica difficoltà della sinistra contemporanea nelle sue multiformi espressioni a proporre provvedimenti che sappiano intercettare le domande e le istanze che provengono dai ceti popolari. Provvedimenti che, però, vanno assunti quando si governa e non solo quando si reclamano qualunquisticamente ed irresponsabilmente dall’opposizione. Per questi semplici motivi conviene rifugiarsi strumentalmente negli anatemi, nei dogmi laici dell’ invettiva e nella scomunica morale e politica dell’avversario/nemico.

Ed è proprio su questo versante che si registra il ritardo della sinistra italiana, soprattutto nella sua ultima versione radicale ed estremista di Schlein, per non parlare di quella qualunquista e anti politica dei 5 Stelle. Ed ecco perché, forse, è giunto il momento di archiviare vecchie e camuffate dispute ideologiche per fare un passo in avanti e trasformare la politica da una persistente e consolidata lotta di delegittimazione morale e politica contro l’avversario/nemico in un confronto basato esclusivamente sul “merito” e sui “contenuti” della politica stessa.

E, su questo versante, la sinistra ideologica è ancora fortemente in ritardo. O meglio, ha subito un processo di progressiva involuzione perché ha semplicemente soppiantato il legittimo e fisiologico confronto politico tra i partiti con la categoria dell’anatema ideologico e del disprezzo dogmatico. Un modello che è funzionale ad un sistema caratterizzato da un “bipolarismo selvaggio” che poi scivola lentamente nella deriva degli “opposti estremismi” ma che era e resta semplicemente alternativo se si vuole rafforzare e consolidare una vera e propria democrazia dell’alternanza.

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