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La Via della Seta passerà dal Parlamento. La mossa di Meloni (per testare il Pd)

Di Gabriele Carrer ed Emanuele Rossi

“Non prevedo che il nostro rapporto con la Cina diventi complicato”, dice la presidente del Consiglio a pochi giorni della missione del ministro Tajani a Pechino. “Le scelte andranno meditate e discusse in Parlamento”, aggiunge. Probabilmente tramite un voto che metta anche l’opposizione, a partire dal Partito democratico, davanti a una scelta e a un’assunzione di responsabilità

“Non prevedo che il nostro rapporto con la Cina diventi complicato”. A spiegarlo è Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, in un’ampia intervista con Il Sole 24 Ore, la prima dopo il suo rientro dalle vacanze.

“Tra Roma e Pechino le relazioni sono antiche e ci sono grandi e reciproche convenienza, non solo in ambito commerciale. Penso, ad esempio, che la Cina possa essere un ottimo partner per il lusso italiano”, dice. “Al di là dell’accordo sulla Via della Seta, su cui le scelte andranno meditate e discusse in Parlamento, non c’è una relazione diretta tra quella firma e le relazioni commerciali”, continua. Poi riutilizza l’espressione “paradosso”, diventata ormai un mantra nel suo governo quando si parla del futuro del memorandum d’intesa firmato dall’esecutivo gialloverde presieduto da Giuseppe Conte nel 2019. “Il paradosso”, spiega Meloni, “è che siamo l’unico Paese del G7 ad aver aderito alla Via della Seta ma non siamo affatto il Paese del G7 o il Paese europeo col maggior interscambio con la Cina. Il che dimostra come non ci sia un nesso tra le due cose. Ne parleremo con serenità e amicizia col governo cinese e sono convinta che i nostri rapporti continueranno a essere solidi”, aggiunge.

Le missioni cinesi

Meloni non cita la sua missione a Pechino che, aveva spiegato un mese fa a Washington, è una delle “prossime” in agenda. Anche per questo Antonio Tajani, vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri, sarà il 4 settembre prossimo in Cina per una visita “importante e difficile”, come l’ha definita lui stesso nei giorni scorsi. Al leader di Forza Italia spetteranno i compiti di parlare a Pechino affinché sia “parte attiva presso Mosca per il ritiro delle truppe” dell’Ucraina ma anche di organizzare le prossime visite di Meloni e di Sergio Mattarella, presidente della Repubblica.

Se sull’obiettivo organizzativo il ministro italiano sarà certamente ascoltato, per quanto riguarda la questione ucraina la Cina potrebbe continuare a giocare di ambiguità. Secondo Bloomberg, Vladimir Putin ha per esempio già accettato l’invito per partecipare di persona al Belt and Road Forum ospitato dal governo cinese a ottobre: il presidente russo si sente abbastanza tranquillo a viaggiare in Cina nonostante su di lui penda una condanna per crimini di guerra (commessi anche contro i bambini ucraini) emessa dalla Corte penale internazionale — ma la Cina non riconosce l’autorità della corte, dunque non ha obbligo di arrestare il leader russo.

Memorandum e non solo

L’agenda delle missioni da Roma sarà importante per gli aspetti cerimoniali della decisione italiana di non rinnovare il memorandum d’intesa, che appare piuttosto certa. Se quella di Meloni non ha ancora una data, per quella di Mattarella si lavora per l’inizio di gennaio, in occasione dei 700 anni dalla morte di Marco Polo e per ribadire l’importanza del rapporto bilaterale, basato su una storica partnership strategica. Pechino sembra conoscere le intenzioni di Roma e appare alla ricerca di un’uscita morbida per evitare contraccolpi: anche la Cina, infatti, ha interesse a ciò, visto che tra poche settimane, quando si terrà il terzo Belt and Road Forum per celebrare i primi dieci anni dell’iniziativa-faro lanciata dal leader Xi Jinping e l’uscita dell’unico Paese G7 ad avervi aderito non è certamente una buona notizia da alimentare seppur tramite reazioni dure contro l’Italia.

Meloni ha ribadito oggi la volontà di coinvolgere il Parlamento nel processo, probabilmente tramite un voto che metta anche l’opposizione, a partire dal Partito democratico, davanti a una scelta e a un’assunzione di responsabilità. Ecco cosa scrivevamo a tal proposito a inizio mese.

È per evitare di alzare eccessivamente il livello del confronto che l’Italia può porre la questione sul piano commerciale. Rivendicare quanto sostiene il governo sul mancato aumento dell’export può essere utile per evitare strambate politiche eccessive contro la Cina e riportare la decisione di uscita sullo stesso piano in cui (forse anche nascondendo altre ragioni) si era entrati: le esportazioni. Anche per questo in Parlamento sta emergendo l’idea di muovere il dibattito parlamentare, auspicato anche da Meloni, dalle commissione Attività produttive evitando di dare alla questione un imprinting eccessivamente politico (almeno nella forma).

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