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Riad vuole volare con Roma, Londra e Tokyo sul nuovo jet

Di Gabriele Carrer e Emanuele Rossi

L’Arabia Saudita punta a entrare nel progetto Gcap, quello con cui Italia, Giappone e Regno Unito daranno vita al caccia del futuro. I sauditi hanno da offrire la potenza di fuoco economica, ma Tokyo sta sollevando diversi dubbi. Se ne discuterà approfonditamente nella riunione di settembre tra inglesi, italiani e giapponesi

Cinque “alti funzionari” dei governi di Italia, Giappone e Regno Unito hanno confermato al Financial Times che l’Arabia Saudita sta spingendo per diventare un partner a pieno titolo nel Global Combat Air Programme (Gcap) — il progetto strategico che ruota attorno allo sviluppo di un jet da combattimento di sesta generazione. Progetto che i tre Paesi hanno firmato a dicembre segnando un passo storico nelle relazioni dell’industria bellica del blocco Nato con l’Asia. Riad, che da tempo ambisce nell’essere un hub di interconnessione tra Occidente e Oriente, e che sta cercando nuove forme per assicurare la propria sicurezza e nuovi approvvigionamenti militari, è naturalmente interessata a tale progetto.

Mentre il Regno Unito e l’Italia sarebbero più aperti all’idea dell’adesione saudita, il Giappone sarebbe fermamente contrario e ha chiarito la sua posizione agli altri due, stante alle informazioni diffuse. Probabilmente Tokyo teme di perdere il peso della sua eccezionalità extra-occidentale, ma non solo. Il Giappone finora non aveva mai collaborato a progetti internazionali di tale valore strategico e utilizzava l’industria bellica per produzioni a sostegno delle Forze di autodifesa — così vengono ancora definite le forze armate nipponiche secondo le direttive costituzionali post Seconda guerra mondiale.

L’Arcipelago è davanti a uno sconvolgimento del proprio pensiero strategico, anche legato all’uso e all’interpretazione dello strumento militare. L’ingresso saudita è un’alterazione di una dinamica molto delicata, guidata dalle visioni del defunto premier Shinzo Abe e interpretata in continuità dal primo ministro Fumio Kishida, ma anche oggetto di discussioni politiche tra le forze interne al Paese. Secondo le informazioni del FT, gli sforzi di convincimento saudita hanno incluso anche una richiesta diretta arrivata a luglio, quando Kishida ha incontrato il principe ereditario Mohammed bin Salman a Gedda.

La città saudita sul Mar Rosso sta diventando un simbolo degli sforzi del regno di accrescere il proprio standing internazionale: da lì è passata anche la riunione che ha avvicinato Nord e Sud del Mondo sull’Ucraina; sempre a Gedda si svolgeranno le partite dalla Coppa del Mondo per Club che l’Arabia Saudita ospita nel flusso di crescita esponenziale del suo settore calcistico. Anche lo schema in cui si inserisce la richiesta saudita sul Gcap segue il flusso: Riad sa che sta vivendo una stagione rosea a livello di extra-guadagni legati agli idrocarburi (complice anche lo scombussolamento del mercato energetico prodotto dall’invasione russa dell’Ucraina). Su questa poggia il trampolino per la transizione verso il futuro: transizione che potrebbe passare anche dall’essere un partner di progetti come quello italo-nippo-britannico. Sotto una simile logica, le cooperazioni con la Cina risultano altrettanto fondamentali per questa transizione che dovrebbe trasformare il regno petrolifero in un Paese simbolo della tecnologizzazione – con effetti diretti sul contesto sociale – sebbene sono più problematiche.

L’Arabia Saudita ha delle carte a suo favore davanti alle ritrosie giapponesi. Per primo, è (con gli Emirati Arabi Uniti) il più grande fornitore di petrolio a Tokyo – usato ancora per la produzione del 31,6% dell’elettricità del Paese. E inoltre Riad ha la possibilità di muovere liquidità in un progetto che ha stime da diverse decine di miliardi di dollari. Il Giappone però teme che l’inclusione di un nuovo membro possa rallentare il percorso, che ha già tempi stretti (i primi aerei dovrebbero essere consegnati entro il 2035). Inoltre, c’è un aspetto che riguarda le future esportazioni: il Gcap apre a questo scenario, ma la discussione politica a Tokyo riguarda quali potranno essere i Paesi importatori di armamenti Made in Japan. La presenza saudita nel progetto, visto il discutibile track-record in termini di diritti umani e azioni di guerra (in Yemen), che ha bloccato anche vendite da parte americana ed europea, può complicare le cose a livello di dibattito interno.

C’è poi un aspetto pratico: mentre tutti e tre i partner hanno expertise e capacità tecniche e tecnologiche di primissimo livello, i sauditi ne sono privi. In più stanno già emergendo preoccupazioni per la sicurezza delle informazioni ipersensibili del progetto: l’inserimento di un quarto membro aumenterebbe la diffusione di dati – e per altro in un Paese dove la componente cyber è molto penetrata da aziende cinesi come Huawei, accusata di attività di spionaggio per conto della Difesa di Pechino. Tanto per chiarire: il Regno Unito ha spinto il Giappone a migliorare la sua sicurezza informatica e introdurre un quadro più rigoroso per il controllo della sicurezza delle persone coinvolte nel progetto, ricorda il Financial Times.

A settembre, una riunione operativa del formato – ancora a tre – del Gcap si terrà nel Regno Unito, naturale destinazione dopo che altri due incontri sono ruotati dal Giappone all’Italia. In quell’occasione si discuteranno i successivi passi per l’implementazione del progetto. E con ogni probabilità si parlerà in modo deciso della possibilità di inclusione dell’Arabia Saudita. Alla riunione si sa già che non parteciperà Yasukazu Hamada, perché il ministro della Difesa giapponese non vola e sarà sostituto dal suo vice.

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