I test sull’acqua di mare vicino alla centrale nucleare non hanno rilevato alcuna radioattività, ha fatto sapere il governo giapponese. Ma la Cina insiste. A prescindere dai dati scientifici sull’argomento, Pechino cerca un’apertura diplomatica nel Pacifico, secondo Mihai Sora (Lowy Institute)
I test sull’acqua di mare vicino alla centrale nucleare giapponese di Fukushima non hanno rilevato alcuna radioattività. Lo ha dichiarato ieri il ministero dell’Ambiente, giorni dopo che le autorità locali hanno iniziato a scaricare in mare l’acqua trattata utilizzata per raffreddare i reattori danneggiati.
IL PROCESSO INIZIATO GIOVEDÌ
Giovedì scorso il Giappone ha iniziato a scaricare l’acqua dall’impianto distrutto di Fukushima nell’Oceano Pacifico, scatenando proteste in Giappone e nei Paesi vicini e in particolare in Cina, che ha vietato l’importazione di prodotti acquatici da Tokyo. Il Giappone e le organizzazioni scientifiche affermano che l’acqua è sicura, dopo essere stata filtrata per rimuovere la maggior parte degli elementi radioattivi a eccezione del trizio, un isotopo radioattivo dell’idrogeno. Poiché il trizio è difficile da separare dall’acqua, l’acqua di Fukushima viene diluita fino a quando i livelli di trizio scendono al di sotto dei limiti normativi.
SERVIRANNO 30 ANNI
L’operatore dell’impianto Tokyo Electric Power Co (Tepco) sta immagazzinando nei serbatoi del sito circa 1,3 milioni di tonnellate di acqua contaminata, sufficienti a riempire 500 piscine olimpioniche. Il rilascio dei primi 7.800 metri cubi – equivalenti a circa tre piscine olimpioniche – richiederà circa 17 giorni. Si stima che ci vorranno circa 30 anni per rilasciarlo tutto.
LA REAZIONE DI PECHINO…
La Cina, subito dopo l’annuncio di giovedì dell’avvio delle operazioni, ha duramente contestato Tokyo, mettendo in dubbio autenticità e accuratezza dei dati sui liquidi contaminati, nonché l’assenza di chiarezza sull’impatto a lungo termine per sicurezza alimentare e salute delle persone. Pechino ha bloccato sine die l’import di tutti i prodotti ittici dal Sol Levante. Il governo di Tokyo sta valutando ulteriori misure per sostenere l’industria della pesca del Paese, la cui reputazione è già fortemente penalizzata nell’immaginario collettivo: al vaglio strutture di produzione in Giappone e stabilire canali di vendita. Inoltre, gli uffici giapponesi hanno ricevuto una raffica di telefonate, apparentemente dalla Cina, che lamentavano il rilascio di acqua, ha detto il ministero degli Esteri, aggiungendo di aver chiesto all’ambasciata cinese in Giappone di invitare i cittadini cinesi a mantenere la calma. In un avviso postato sul suo sito, non escludendo la possibilità di “circostanze impreviste”, si leggono due raccomandazioni: “(1) Quando uscite, fate attenzione ed evitate di parlare giapponese ad alta voce inutilmente. (2) Nel caso in cui sia necessario visitare l’ambasciata, prestate molta attenzione alle circostanze che vedete intorno”.
… OLTRE I DATI SCIENTIFICI
A prescindere dai dati scientifici sull’argomento, lo scarico di acqua triziata da Fukushima potrebbe offrire a Pechino un’apertura diplomatica nel Pacifico, secondo Mihai Sora, ex diplomatico australiano che ora lavora al Lowy Institute di Sydney. Il Giappone ha “fatto molto lavoro diplomatico per convincere il maggior numero possibile di leader del Pacifico”, ha detto, ma “quasi universalmente, questa decisione sarà impopolare tra le comunità del Pacifico”. Pechino potrebbe “incoraggiare alcuni dei suoi partner ad esprimersi con forza su questo tema, in quanto ciò serve ai suoi interessi”. Soprattutto perché la questione nucleare è molto delicata nel Pacifico, dove Stati Uniti, Regno Unito e Francia hanno condotto esperimenti atomici per decenni nel XX secolo.
DA SEUL A HONIARA
Migliaia di persone sono scese in strada sabato a Seul, in Corea del Sud, per protestare contro il rilascio di acqua radioattiva dalla centrale nucleare giapponese. Ma il governo della Corea del Sud (sempre più vicino a quello giapponese e a quello statunitense dopo il trilaterale di Camp David), così come le autorità di Taiwan, Australia e Isole Fiji e Cook, hanno espresso fiducia nella sicurezza del processo avviato a Fukushima. Invece, le Isole Salomone, alleate della Cina nel Pacifico, si sono espresse contro lo scarico in mare dell’acqua della centrale nucleare.
WASHINGTON AL FIANCO DI TOKYO
Dopo il disastro di Fukushima, “il Giappone è stato aperto e trasparente nel cercare di gestire in modo responsabile il sito di Fukushima Daiichi e l’eventuale rilascio di acqua trattata, coordinandosi in modo proattivo con scienziati e partner di tutta la regione dell’Indo-Pacifico e con l’Organizzazione internazionale per l’energia atomica (Aiea)”. È quanto affermato dal portavoce del dipartimento di Stato americano, Matthew Miller. L’Aiea, ha aggiunto, “ha concluso che il processo del Giappone è sicuro e coerente con gli standard di sicurezza nucleare accettati a livello internazionale”. Quindi, ha concluso Miller, “gli Stati Uniti sono soddisfatti del processo sicuro, trasparente e fondato sulla scienza” da parte del Giappone.
I GIAPPONESI CON KISHIDA
Il tasso di approvazione del governo giapponese guidato dal primo ministro Fumio Kishida si è mantenuto al 42 per cento nell’ultimo sondaggio effettuato da Nikkei e dall’emittente televisiva Tv Tokyo. Il dato è invariato rispetto alla consultazione analoga effettuata il mese scorso, mentre il tasso di sfiducia è calato di un punto, mantenendosi però sulla soglia del 50 per cento. La maggioranza (67 per cento) degli 847 cittadini che hanno preso parte al sondaggio, effettuato lo scorso fine settimana, si è espressa a favore del controverso piano del governo per lo scarico dell’acqua decontaminata di Fukushima nell’Oceano Pacifico. Il 55 per cento dei partecipanti al sondaggio è favorevole all’intenzione espressa dal premier Kishida di rafforzare ulteriormente la cooperazione con Stati Uniti e Corea del Sud sui fronti della sicurezza nazionale e dell’economia. In cima alle priorità citate dai cittadini figura il contenimento dell’inflazione, seguito dalla crisi demografica e dal sostegno alle famiglie con figli, e dall’economia nel suo complesso.