Fonti del governo britannico confermano la visita del principe ereditario in autunno. Sul tavolo il piano da mille miliardi di Riad per sganciare l’economia del Paese dal petrolio, l’accordo tra Regno Unito e Consiglio di cooperazione del Golfo e il possibile ingresso saudita nel Gcap. Sullo sfondo la questione dei diritti umani. Ma le urne si avvicinano e i tories di Sunak hanno bisogno di risultati
Il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman è atteso nel Regno Unito in autunno. Quella che sarà la sua prima visita a Londra dopo l’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi (operazione da lui autorizzata, secondo l’intelligence statunitense) era stata anticipata nelle scorse settimane dal Financial Times. Nelle ultime ore è stata confermata ai media da fonti del governo britannico. In agenda potrebbe esserci anche un incontro con re Carlo III, a conferma degli storici buoni rapporti tra le due famiglie reali.
Grandi obiettivi per un piano storico
Londra guarda al piano di investimenti da mille miliardi di dollari che Riad ha messo in campo con l’obiettivo di sganciare l’economia del Paese dal petrolio sperando di ottenere contratti per le imprese britanniche. Per questo a inizio anno Grant Shapps, ministro per la Sicurezza energetica, aveva avuto colloqui con il governo saudita per rafforzare la cooperazione in settori come space, tecnologia e minerali critici.
Inoltre, il Regno Unito è alla ricerca del sostegno dell’Arabia Saudita per un accordo commerciale con il Consiglio di cooperazione del Golfo. Nelle scorse settimane James Cleverly, ministro degli Esteri, è stato in missione in Qatar, Kuwait e Giordania. Il governo conservatore di Londra cerca risultati in vista delle elezioni in agenda entro l’inizio del 2025 ma più probabilmente alla fine dell’anno prossimo. Secondo l’esecutivo un accordo con il Consiglio di cooperazione del Golfo potrebbe portare a un aumento degli scambi commerciali da 1,6 miliardi di sterline per l’economia britannica ogni anno.
L’Arabia Saudita sta diventando sempre più un player protagonista dell’economia globale, attore interessati a prendere parte a dinamiche internazionali complesse, ago della bilancia degli equilibri regionali. Lo dimostrano l’attivismo diplomatico sulla guerra in Ucraina, la centralità nella stabilizzazione dei prezzi del petrolio e le prospettive di un accordo per normalizzare le relazioni con Israele. Nei giorni scorsi, sempre il Financial Times ha rivelato, citando cinque “alti funzionari” dei governi di Italia, Giappone e Regno Unito, che l’Arabia Saudita starebbe addirittura spingendo per diventare un partner a pieno titolo nel Global Combat Air Programme (Gcap) — il progetto strategico che ruota attorno allo sviluppo di un jet da combattimento di sesta generazione.
C’è da vincere le resistenza di Tokyo. Shigeto Kondo, ricercatore del Japanese Institute of Middle Eastern Economies, ha evidenziato come mentre il Regno Unito e l’Italia potrebbero essere favorevoli vista la loro tradizione di export militare verso l’Arabia Saudita, il Giappone ha obiettivo diversi. “Se ritardiamo la consegna dei jet da combattimento di uno o due anni, diamo un vantaggio a Paesi avversari come la Cina e la Russia, e questo potrebbe significare molto per le capacità di difesa del Giappone”, ha detto ad Al-Monitor. Inoltre, il Giappone sarebbe preoccupato di futuri problemi geopolitici con un eventuale veto dell’Arabia Saudita nel Gcap. “Se l’Arabia Saudita dice di voler vendere quel jet alla Russia o alla Cina, sicuramente porremo il veto”, ha detto. “Temiamo che l’Arabia Saudita faccia una sorta di ritorsione contro di noi se non votiamo a loro favore e che dica ‘se non possiamo esportare in Cina, porremo il veto anche alle vostre esportazioni’ verso Paesi di interesse” per il Giappone, come per esempio l’India.
Si è trattato di un ballon d’essai? Possibile. Qualche risposta potrebbe arrivare dalla prossima ministeriale Difesa tra Italia, Regno Unito e Giappone che si terrà a settembre, probabilmente su suolo britannico. Ma anche dalla missione di bin Salman nel Regno Unito.
Critiche, interessi, percezioni e narrazioni
Come facilmente prevedibile il viaggio ha già attirato criticato. Sullo Spectator, il più letto e anche ascoltato settimanale conservatore, Jawad Iqbal si è rivolto al primo ministro Rishi Sunak sostenendo che la visita del principe ereditario saudita “sa troppo di pragmatismo e troppo poco di solidità”, riguarda le ombre sul regno saudita ma anche la visione del mondo del governo britannico. Sarebbe meglio aspettare, perché bin Salman “deve fare molto di più per dimostrare di essere un alleato affidabile dell’Occidente e mostrare un certo rispetto per i valori della libertà e dei diritti umani”, scrive Ibqal. Ma le urne si avvicinano e i conservatori devono inseguire.
Come dimostrano queste critiche, per bin Salman c’è un lavoro molto profondo da fare. Il regno saudita che il principe ereditario sta di fatto guidando – visto le non buone condizioni di salute del suo anziano padre – produce due diverse percezioni. A livelli interno, il corso del potere incarnato dal principe è molto ben accettato, soprattutto dalla corposa componente demografica under 40: ci sono state dei sostanziosi allentamenti sulle prescrizione ultra rigide del salafismo wahhabita che guida le decisioni della monarchia – un esempio per restare sull’attualità è nel come è stato accolto il film “Barbie”, immagine dei cambiamenti socio-politici in atto a Riad. All’estero però, bin Salman viene visto come un sovrano non troppo illuminato, alla guida di un Paese dove diritti e libertà sono ancora molto contratte. Entrambe queste percezioni sono reali.
Il lavoro di bin Salman diventa allora quello di costruirsi un’immagine personale e del suo regno più solida. La capacità di investimento è un vettore, una forma di proiezione efficace, ma altrettanto discutibile – lo raccontano come viene accolto lo sviluppo della Saudi Professional League, considerata come un asse pigliatutto privo di cultura e tradizioni calcistiche. Essere parte di importanti passaggi dei dossier internazionali è parte di questo piano di sviluppo dalle dimensioni storiche, altrettanto lo è il creare collegamenti e relazioni sia istituzionali che tra i leader globali. La visita a Londra rientra in questo schema complesso in cui bin Salman sta operando nel tentativo di rendere il suo Paese – sia nei fatti che nelle percezioni –molto di più di un enorme reservoir d’idrocarburi in grado di comprare ciò che vuole con i proventi di una materia prima energetica inquinante e dunque in disuso.