Se ambiente e salute saranno le parole-chiave per un nuovo rapporto tra il nostro continente e l’Africa, il Mediterraneo diventerà nuovamente un mare di scambi, prosperità e pace. L’intervento di Marco Mayer e Valeria Fargion
La decisione di destinare all’Africa 3 miliardi di euro in 5 anni (il 70% dei fondi a disposizione) per contrastare il cambiamento climatico é una scelta politica lungimirante di Giorgia Meloni e fa onore ai suoi sherpa G20.
Tuttavia è fondamentale che gli interventi previsti rispondano alle esigenze reali delle popolazioni. L’Africa – basti pensare agli avanzati processi di desertificazione – paga il prezzo più alto nonostante contribuisca con soltanto il 4% delle emissioni globali.
Sinora la Global Gateway dell’ Unione Europea non ha tenuto conto delle necessità del continente africano. Non lo ha fatto per due ragioni.
La prima è che ha deciso le priorità senza consultare nessuno – tanto meno la società civile africana.
La seconda è che leggendo in dettaglio le prime iniziative previste si può osservare che esse hanno uno scarso impatto ambientale. L’impressione é che più che favorire un adattamento dell’Africa (in particolare della sua agricoltura) ai cambiamenti climatici, esse puntino a favorire le aziende europee che intendono investire in campo energetico, infrastrutturale e dei trasporti.
Come già sottolineato in riferimento ai recenti colpi di stato, l’Italia deve spingere l’Europa a cambiare il suo approccio verso l’Africa.
Sinora per i cittadini africani l’immagine dominante dell’Unione Europea è stata quella di una “Fortezza Postcoloniale” interessata a sfruttare le risorse minerarie (l’uranio del Niger, il petrolio e il manganese in Gabon solo per fare alcuni esempi) e a mettere in atto misure securitarie tese a bloccare, respingere e rimpatriare i migranti.
Sotto questo profilo il ruolo della Ue in Africa é rimasto in un cono d’ombra per la presenza dominante della Francia soprattutto nell’Africa centro-occidentale dove per l’appunto sono avvenuti tutti i recenti colpi di Stato.
Se vuole essere davvero credibile l’Unione Europea deve innanzitutto partire dai bisogni della popolazione locale, gravemente peggiorate negli ultimi anni, per le drammatiche conseguenze del cambiamento climatico su cui si sono agevolmente innestati conflitti e minacce terroristiche.
Tutti parlano dei viaggi a Tunisi del presidente del Consiglio per il memorandum sull’ immigrazione, ma nessun giornale scrive che la Tunisia nel 2023 ha visto una riduzione di più del 60% della produzione di cereali.
Nel 2022 per l’espansione delle monoculture destinate all’esportazione l’Africa ha perso 3, 6 milioni di ettari di foreste. La deforestazione e i rapidi processi di urbanizzazione hanno costretto gli elefanti ad avvicinarsi sempre piu ai villaggi e perfino alle metropoli e alle grandi discariche africane.
È difficile capire se l’Europa sarà in grado di cambiare il suo approccio all’Africa, ma è certo che su un reale cambio di impostazione si gioca la durata della credibilità internazionale recentemente conquistata da Giorgia Meloni e rafforzata dal G20 che si tiene in questi giorni in India.
Oltre alla lotta contro le ricadute del cambiamento climatico, l’altro aspetto su cui l’Italia e l’Europa potrebbero avere un ruolo è il supporto alla realizzazione di sistemi sanitari degni di questo nome.
In un rapporto pubblicato pochi giorni fa la prestigiosa rivista Lancet descrive con grande chiarezza la rilevanza e l’urgenza politica del rafforzamento dei sistemi sanitari in Africa.
Per una riflessione approfondita sulle ragioni che rendono necessaria e urgente una svolta politica nelle relazioni tra Africa e Europa nonché su nuove proposte suggerite all’attenzione dei decisori si può fare riferimento al volume Revisiting EU-Africa Relations in a Changing World.
Oltre a superare un approccio prevalentemente securitario è fondamentale che la Ue sappia collegare gli interventi di emergenza a progetti strategici.
Per restare in campo sanitario basti pensare al Sudan. Il Centro di eccellenza cardiochirurgica di Karthoum ha realizzato in poche di settimane due nuovi reparti di traumatologia e di chirurgia di urgenza per far fronte ai tanti feriti dei violentissimi scontri armati iniziati il 15 Aprile scorso.
Il centro ospedaliero Salam (che ha circa 500 dipendenti in grande maggioranza locali) non è solo un modello di eccellenza sanitaria per il Sudan e per i paesi confinanti, ma si configura anche come modello paradigmatico su come intervenire in Africa con grande serietà ed efficacia.
Europa e India devono inserirsi nel nuovo che caratterizza la politica internazionale bipolarismo politico ancora fluido e imperfetto di cui parla oggi Nathalie Tocci. Se ambiente e salute saranno le parole-chiave per un nuovo rapporto di cooperazione tra la Ue, le strutture sanitarie tra il nostro continente e l’Africa, il Mediterraneo diventerà nuovamente un mare di scambi, prosperità e pace.
Non è più accettabile che esso sia insanguinato da migliaia di morti in mare per la miopia dell’Europa e per l’avidità delle élite politico-amministrative presenti in tanti Paesi africani che si arricchiscono talvolta con i proventi del traffico dei migranti e molto spesso con accordi al ribasso con le multinazionali del business estrattivo. Élite che appena ne hanno bisogno vengono a curarsi nelle migliori cliniche europee con i loro lussuosi jet privati.