La rilettura, alla luce di Derna, degli impegni per l’adattamento ai cambiamenti climatici di African Climate Summit dà la misura della distanza tra quanto è stato programmato e la domanda reale alla quale le strategie di adattamento devono rispondere: quali misure, quante risorse e come gestirle. L’analisi di Corrado Clini, già ministro dell’Ambiente
Poche ore dopo le conclusioni di African Climate Summit (“Driving Green Growth and Climate Finance Solutions for Africa and the World”) a Nairobi, l’uragano Daniel dopo avere devastato la Tessaglia nel centro della Grecia ha colpito con precipitazioni intense un territorio arido provocando il collasso di due dighe e la distruzione della città di Derna con migliaia di vittime.
Il Centro meteorologico della Libia ha stimato una quantità di pioggia attorno a 440 mm, ma secondo Christos Zerefos, segretario generale dell’Accademia di Atene, la quantità di pioggia ha raggiunto 1000 mm, ovvero 1 metro.
Le prime valutazioni dei climatologi dell’Università di Reading, confermate da altri climatologi di università europee e Usa, attribuiscono la responsabilità di Daniel alle elevate temperature raggiunte dalle acque superficiali del Mediterraneo in agosto (oltre 28°, superiori di 2°/3° rispetto agli anni precedenti ) che sono all’origine della formazione dei cosiddetti “medicanes”, uragani mediterranei fino ad oggi eventi rari e con intensità inferiore come ha rilevato Simon Mason, “chief climate scientist” della Columbia Climate School’s International Research Institute for Climate and Society.
Nel suo intervento in apertura di African Climate Summit a Nairobi, Akinwumi A. Adesina, presidente di African Development Bank Group, aveva affermato che “il cambiamento climatico sta cambiando l’Africa. La siccità e le inondazioni sono aumentate in tutto il continente. Se ci sforziamo abbastanza le orecchie, sentiremo le richieste di urgenza da parte degli agricoltori i cui colture e bestiame vengono distrutti; Le voci delle persone di pesca la cui cattura si riduce e i mezzi di sussistenza vengono messe in pericolo; Le voci dei giovani il cui futuro viene compromesso; Le voci di donne e bambini che sopportano il peso dei cambiamenti climatici; Le voci di economie che non sono in grado di far fronte ai costi in costante aumento degli shock indotti dal clima” .
Adesina faceva riferimento allo Stato del Clima in Africa 2022, presentato dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale durante l’African Climate Summit.
Il rapporto rileva che più di 110 milioni di persone sono state direttamente colpite dal eventi climatici estremi (siccità del corno d’Africa, ciclone Freddy, inondazioni dell’Africa occidentale ), con più di 5000 vittime e danni per oltre 8,5 miliardi di dollari.
Ma il rapporto riconosce che i danni reali sono sottostimati, perché non sono valutabili gli effetti “collaterali”: la siccità del Corno d’Africa è all’origine di una crisi alimentare che coinvolge almeno 25 milioni di persone; il ciclone Freddy ha provocato le migrazioni interne e verso l’Europa di centinaia di migliaia di persone da Malawi, Mozambico e Madagascar; le inondazioni in Africa Occidentale hanno distrutto le colture di 1,6 milioni di ettari in Ciad, Congo e Nigeria e provocato le migrazioni in 20 Paesi africani e verso l’Europa di almeno 3,2, milioni di persone.
Gran parte di questi eventi estremi ha colpito territori già vulnerabili, senza o con scarse protezioni, privi di organizzazioni e servizi per la prevenzione e scarsamente dotati di sistemi di early warning, spesso con governi precari e conflitti tra fazioni armate.
La devastazione di Derna mette in evidenza i dati “strutturali” della vulnerabilità dell’Africa ai cambiamenti climatici, che esaspera gli effetti degli eventi estremi in tutti i settori e moltiplica i danni: la scarsa efficienza di early warning in relazione agli effetti di precipitazioni intense in zone aride o semi aride, la mancata manutenzione delle dighe, l’assenza di vie di fuga, la precarietà dei sistemi di raccolta dell’acqua di pioggia e di difesa della costa, senza considerare la complicata situazione politica e istituzionale della Cirenaica.
L’adattamento ai cambiamenti climatici dell’Africa è la sfida più complessa, perché incrocia i rischi climatici con le infrastrutture urbane, l’agricoltura, le attività produttive e l’energia, la sicurezza, la coesione sociale.
La rilettura, alla luce di Derna, degli impegni per l’adattamento ai cambiamenti climatici di African Climate Summit dà la misura della distanza tra quanto è stato programmato e la domanda reale alla quale le strategie di adattamento devono rispondere: quali misure, quante risorse e come gestirle.
A Nairobi è stato annunciato l’impegno di African Development Bank per sostenere l’adattamento ai cambiamenti climatici con il finanziamento di 25 miliardi di dollari entro il 2025, in collaborazione con il Global Center on Adaptation, il più grande programma di adattamento climatico al mondo per dare attuazione ad Africa adaptation acceleration program (Aaap):
- Sicurezza alimentare, con l’obiettivo di consolidare entro il 2025 tecnologie applicate all’agricoltura (Climate Smart Digital Adaptation Technologies) e selezione di specie resilienti ai cambiamenti climatici in particolare nel Corno d’Africa e in Etiopia con investimenti entro il 2025 di circa 10 miliardi di dollari.
- Infrastrutture per la resilienza ai cambiamenti climatici, comprese le soluzioni basate sulla natura, con l’obiettivo di completare entro il 2025 investimenti per 12 miliardi di dollari in infrastrutture (acqua, trasporto, energia e sistemi urbani) per mettere in sicurezza almeno 100 milioni di persone.
- Sviluppo di competenze e imprese giovanili per le attività e i lavori necessari all’adattamento, con il finanziamento di programmi di formazione e investimenti nelle imprese giovanili per circa 2 miliardi di dollari.
È auspicabile che 25 miliardi di dollari della African Development Bank siano un “volano” per investimenti aggiuntivi. Altrimenti gli interventi programmati sono una goccia nell’acqua.
Aaap è anche finalizzato alla messa a punto di strumenti e meccanismi finanziari al fine di favorire la mobilitazione di finanziamenti pubblici e soprattutto privati per sostenere i progetti di adattamento.
Il sistema finanziario globale, compresi i governi e il settore privato, generalmente considera gli investimenti in Africa ad alto rischio, sia perché i costi sono superiori di 2 o 3 volte rispetto alla media globale, sia per la morsa del debito pubblico di molti Paesi dell’Africa sub-sahariana (1.100 miliardi $ nel 2022) che rende molto problematici se non impossibili finanziamenti privati ed anche prestiti da istituzioni finanziarie multilaterali.
Ursula von der Leyen ha annunciato il finanziamento fino al 2030 di 150 miliardi di euro del programma europeo Global Gateway per sostenere l’adattamento ai cambiamenti climatici, le produzioni agricole sostenibili e le energie rinnovabili in Africa.
I finanziamenti europei sono finalizzati anche a mobilitare finanziamenti privati, e a questo fine la Ue con la Banca Europea degli Investimenti ha annunciato a Nairobi lo stanziamento di 1 miliardo di euro per ridurre i rischi degli investimenti privati in Africa che potrebbe muovere fino a investimenti per 20 miliardi di dollari.
La presidente Giorgia Meloni ha annunciato che il 70% del Fondo Italiano per il Clima verrà destinato all’Africa (3 miliardi in 5 anni).
Sultan Al Jaber, president della Cop28 ha annunciato che gli Emirati Arabi Uniti hanno deciso di finanziare le “azioni climatiche” dell’Africa con 4.5 miliardi di dollari, che dovrebbero mobilitare 12.5 miliardi di dollari da fondi privati.
John Kerry, inviato speciale degli Usa sul clima, ha annunciato l’impegno di erogare all’Africa 3 miliardi di dollari all’anno nell’ambito del President’s Emergency Plan for Adaptation and Resilience (Prepare).
Il presidente del Kenya William ha ricordato che mentre non è rispettato l’impegno assunto nel 2009 dai Paesi sviluppati di destinare 100 miliardi di dollari all’anno ai Paesi in via di sviluppo, è necessario modificare le regole delle istituzioni finanziarie internazionali per il supporto allo sviluppo dei Paesi più poveri.
Ma alla fine Adesina ha affermato che “dobbiamo garantire che le risorse mobilitate non rimangano semplicemente negli uffici governativi ma raggiungano e proteggano la vita delle persone nei nostri villaggi, paesi e città.”
Ecco la sfida per i donatori: non solo annunciare e forse erogare finanziamenti, ma assicurare in collaborazione con i governi e con le istituzioni multilaterali che le risorse vengano impiegate per la realizzazione delle azioni programmate, anche attraverso un robusto lavoro di “capacity bulding” presso i governi, le autorità locali, le imprese.
La mia esperienza ultradecennale di cooperazione ambientale internazionale suggerisce che questo obiettivo potrebbe essere più raggiungibile se venisse assicurata una capacità di progettazione e monitoraggio condivisa tra donatori e riceventi, siano essi governi o privati.
Forse African Development Bank potrebbe essere il facilitatore di questo approccio finalizzato al “fare”. Con buona pace di chi sta già denunciando il neo colonialismo “green” dell’Europa.
(Foto: Social Africa Climate Summit)