Malgrado le profonde trasformazioni che hanno caratterizzato la società italiana in questi ultimi decenni, tocca ancora una volta a tutti coloro che non hanno una concezione dogmatica della politica e deterministica della storia, far valere la bontà e l’importanza del pluralismo e della sincera e trasparente dialettica democratica
Passano gli anni, scorrono le fasi stoiche e mutano le stagioni politiche eppure permangono vecchi vizi e antichi tic. È appena sufficiente osservare cosa dicono i cattolici attualmente militanti nel Pd – penso a vari parlamentari, ex ministri e dirigenti vari – su altri cattolici che militano o si riconoscono, legittimamente, in altri partiti e movimenti, per rendersi conto che c’è una straordinaria somiglianza tra ciò che sostenevano i cosiddetti “cattolici indipendenti” eletti nelle fila del Pci negli anni ‘70 e ‘80 con ciò che dicono oggi nel Pd di Schlein i cattolici popolari rimasti. Cioè in un partito di sinistra che, a differenza di quello storico e comunista, oggi si caratterizza per il suo indubbio ed oggettivo, noncheé platealmente sbandierato, profilo massimalista, estremista, radicale e libertario. Un profilo politico, culturale e valoriale, com’è evidente a quasi tutti, distinto, distante se non addirittura alternativo rispetto a tutto ciò che è riconducibile seppur lontanamente alla tradizione e al pensiero del cattolicesimo popolare e sociale.
Ma, al di là di questo fatto, quello che colpisce maggiormente è la quasi identica valutazione che viene puntualmente sfornata nei confronti di tutti coloro – cioè i cattolici di varietà provenienza ed estrazione – che non aderiscono al progetto politico e culturale della sinistra. Nello specifico, dei moltissimi cattolici che non aderivano al Pci di Berlinguer ieri e al Pd della Schlein oggi. Ora, senza fare confronti impropri e del tutto fuori luogo e fuori tempo, è indubbio che il vizio della delegittimazione morale da un lato e della radicale svalutazione politica dall’altro campeggiano in modo persino enfatico nell’un come nell’altro caso. Due elementi che, se uniti, diventano un impasto nocivo e nefasto per la stessa correttezza dei rapporti politici. Non a caso, basta scorrere le dichiarazioni dei cosiddetti cattolici vicini a Schlein, o comunque della sinistra radicale e massimalista contemporanea – legata a doppio filo con il populismo demagogico e qualunquista dei 5 Stelle e i vari gruppi dell’estrema sinistra – per arrivare alla conclusione che tutto ciò che è presente nell’universo del centro o del centro destra è semplicemente squalificante, da contestare senza appello e da ridicolizzare. Sotto il profilo personale, cioè di tutti coloro che intraprendono altre strade rispetto alla sinistra e, sotto il versante politico, che viene dipinto come il regno del trasformismo o dell’ opportunismo o dell’ipocrisia o, nel migliore dei casi, della ingenuità.
Insomma, politicamente, culturalmente e moralmente da bocciare senza appello. Del resto, la storica categoria del “catto comunismo” resta una delle peggiori derive della storia democratica del nostro Paese. Un misto di moralismo di bassa lega coniugato con una sorta di permanente “tribunale della coerenza” che condanna all’irrilevanza e alla gogna chiunque si dissoci. Il, tutto, infine, viene riassunto con l’altro dogma laico della sinistra post ed ex comunista rappresentato dal cosiddetto “politicamente corretto” o, per essere più in sintonia, con il “politically correct”.
Ecco percheé, malgrado le profonde trasformazioni che hanno caratterizzato la società italiana in questi ultimi decenni, tocca ancora una volta a tutti coloro che non hanno una concezione dogmatica della politica e deterministica della storia, far valere la bontà e l’importanza del pluralismo e della sincera e trasparente dialettica democratica. Categorie, queste, non sempre così frequenti dalle parti di coloro che pensano di incarnare, quasi in via ereditaria ed esclusiva, le categorie del progresso, della civiltà, della democrazia e della modernità.