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La forza della comunicazione e l’ethos dell’università. Morcellini su De Masi

Lo studioso si è anche rivelato con il tempo uno straordinario comunicatore culturale, con una retorica perfettamente compatibile con il formato del dibattito televisivo e mediale, anche quando poteva apparire divisivo. Ma non ha mai rinunciato alla docenza universitaria, una vera eccellenza nella facoltà di Scienze della Comunicazione, che io stesso ho avuto l’onore di presiedere, succedendogli alla fine del suo mandato. Il ricordo di Mario Morcellini

Con De Masi muore un intellettuale assolutamente originale, che ha saputo coniugare il rinnovamento della figura del docente universitario con una capacità di intervento sorprendente sulla politica, sul sindacato e, più in generale, nel dibattito pubblico anche e soprattutto sfruttando la capacità comunicativa della Tv e dei media. Primo aspetto straordinario di questa esperienza umana e professionale è che non ha mai rinunciato alla docenza universitaria, sempre coltivando un’innovazione didattica che rientra in quello che oggi viene chiamato insegnamento rovesciato, con una forte valorizzazione degli studenti e dei tutor. Una vera eccellenza nella facoltà di Scienze della Comunicazione, che io stesso ho avuto l’onore di presiedere, succedendogli alla fine del suo mandato.

Proprio del suo lavoro ho apprezzato profondamente, come tutti, la capacità di proiezione della facoltà sulla scena della comunicazione, che ha portato ad aperture serali nella bella sede di via Salaria a Roma, e ad eventi culturali che hanno davvero dato l’esempio di un’Università intesa come laboratorio formativo fondato su una forte integrazione fra studenti e docenti. È importante ricordarlo in un momento in cui i media tendono a sopravvalutare legittimamente la sovraesposizione pubblica di Mimmo De Masi.

Egli ha saputo infatti coordinare un impegno prima sindacale e poi politico, per lui irrinunciabile, con una notevole disponibilità alle Istituzioni accademiche, in forza di cui ha accettato, in un momento di transizione non facile, di assumere la carica molto assorbente di preside della facoltà. Tutto questo è stato possibile grazie ad un curriculum accademico che è riduttivo definire brillante, a partire dalla Sociologia del Lavoro, delle Organizzazioni e successivamente della trasformazione postindustriale.

Ma lo studioso si è anche rivelato con il tempo uno straordinario comunicatore culturale, con una retorica perfettamente compatibile con il formato del dibattito televisivo e mediale, anche quando poteva apparire divisivo. Proprio come suo successore nella presidenza e direttore del Dipartimento di riferimento più affine, sento il vincolo di riconoscere il suo coraggio civile intrecciato ad una sensibilità istituzionale che ho potuto riscontrare, come direbbe Andreotti, vista da vicino.

Tutto questo meriterà una più attenta e documentata riflessione sul ruolo e sull’impatto che egli ha avuto sulla cultura italiana, ma è difficile non notare quanto egli abbia fatto dell’empatia e dell’estroversione uno strumento per allargare letteralmente i confini della professionalità accademica estendendo il territorio e il valore della cultura. De Masi non era rintanato dietro la sua cattedra; tutt’altro. Ha saputo usare il prestigioso ruolo di Professore universitario come uno spazio pubblico da cui ha influenzato il dibattito sul cambiamento del Paese e, in particolare, sul destino dei giovani, davvero uno dei temi fondamentali del suo impegno. Per tutti questi motivi rimarrà un punto di riferimento per chiunque abbia avuto la fortuna di incontrarlo e di conoscerlo.


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