Un decennio fa il leader cinese Xi lanciava la sua iniziativa-faro che oggi sembra aver perso smalto. Inoltre, presto potrebbe dover fare a meno dell’Italia, primo e unico Paese del G7 ad avervi aderito con il governo Conte. Per il futuro, occhio alla parte “green”
Dieci anni fa, nel corso di una visita in Kazakistan, il leader cinese Xi Jinping lanciava la sua iniziativa-faro: l’infrastruttura geopolitica denominata “Belt and Road Initiative”. “Promuovere l’amicizia tra le persone e creare un futuro migliore” era il titolo del suo discorso tenuto alla Nazarbayev University di Astana. Cinque anni e mezzo più tardi l’Italia sarebbe diventata il primo e unico Paese del G7 ad aderire al progetto per collegare la Cina al Medio Oriente e all’Europa.
Oggi l’iniziativa, in Italia più nota come Via della Seta, compie dieci anni. Il governo Meloni sembra deciso a non rinnovare il memorandum d’intesa siglato dal governo Conte I. Anche alla luce della ricorrenza e della rilevanza dell’Italia, l’uscita sta avvenendo in modo silenzioso. Nella recente missione in Cina di Antonio Tajani, vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri italiano, entrambe le parti hanno voluto evidenziare che il partenariato strategico che unisce i due Paesi dal 2004 è più forte del memorandum.
Ma a che punto è la Via della Seta? Jacob Mardell, esperto di Cina già al centro studi tedesco Merics e oggi coordinatore editoriale di n-ost, ha analizzato la situazione in cinque punti.
L’idea non è morta
“La Belt and Road è un termine di marketing, un marchio che racchiude le ambizioni globali della Cina e una serie di attività economiche all’estero. Come concetto, è ancora attuale”. Quando Xi Jinping ha lanciato la sua ultima raffica di nuovi progetti – Global Development Initiative (Gdi), Global Security Initiative (Gsi), Global Civilization Initiative (Gci) – si è parlato di un superamento della Bri. Non è stato così: un paio di anni fa, abbiamo superato il picco dell’hype per la Bri, come faceva notare su queste colonne Alessandro Aresu, saggista e poi consulente di Palazzo Chigi con il governo Draghi. Tuttavia il brand Bri è ancora presente in tutte le comunicazioni ufficiali e a maggior ragione in quest’anno celebrativo. E ancora di più quando si tratta di usare un elemento di aggancio con alcune realtà geostrategiche — per esempio il Golfo, ambiente in cui la Cina sta rafforzando la sua presenza.
“La Gdi riguarda l’influenza nelle Nazioni Unite, la Gsi la Nato, la Gci la democrazia liberale. La Bri serve a vendere la presenza economica della Cina come un bene pubblico globale”, spiega Mardell.
È tutta una questione di aziende
Le banche di Stat concedono molti meno prestiti come un tempo, ma le imprese statali cinesi sono sicuramente ancora presenti nell’economia globale. “La società madre della China Road and Bridge Corporation — spiega l’esperto del Merics — è al terzo posto nella classifica dei migliori appaltatori internazionali e ci sono altre 89 società cinesi nella stessa top 250. Durante i miei viaggi, ho visto molti esempi di costruzioni cinesi che si avvalgono di finanziamenti internazionali, di investimenti di altre aziende e di aziende cinesi nell’ambito di un modello di partenariato pubblico-privato”. E ancora: “Siamo molto preoccupati per le trappole del debito e per i grandi prestiti delle banche cinesi, ma Pechino si presenta prima di tutto come un costruttore. Addirittura, i progetti costruiti con i fondi dell’Unione europea sono considerati parte della Bri”. La narrazione del Partito Comunista Cinese è ampia e articolata: propaganda su più livelli, alterazione della realtà e disinformazione sono gli strumenti che accompagnano l’azione politica di Pechino — sia internamente che a livello internazionale. La Bri gode anche di queste azioni tattico-strategiche.
Il soft power
“People-to-people è la quinta priorità di cooperazione delineata nel documento Visions and Actions del 2015, la cosa più simile a un progetto della Bri. Si tratta di aziende cinesi, ma si è sempre trattato di aziende cinesi, invece la vera novità della Bri è stata l’attenzione ai cuori e alle menti”, spiega Mardell. Tuttavia, la versione dei comunicati stampa di questi progetti sembra ancora molto migliore della realtà: “Nessuno ha sentito parlare di vari dei progetti sul campo. Il luogo comune secondo cui la Cina non è brava nel soft power è ancora vero. La grande, grande domanda è se questo cambierà”.
La Bri perderà slancio?
Con l’economia cinese in crisi, la narrazione numero uno della Cina – la storia della sua crescita miracolosa – è minacciata. Effetti di immagine legati a questo rallentamento, che si preannuncia strutturale, potrebbero ricadere su molti dei contesti e delle iniziative in cui la Cina è attiva (per esempio, i Brics saranno ancora attrattivi senza la spinta economica cinese? Una Cina economicamente meno forte avrà ancora le capacità magnetiche nei confronti del Global South, oppure subirà il sorpasso indiano?). La stanchezza per la Bri si è già manifestata in alcuni luoghi. Se la crescita degli Stati Uniti supererà quella della Cina, o Nuova Delhi sarà interessata a incrementare il suo ruolo globale, lo spirito della Via della Seta ne risentirà.
Cresce la Via della Seta verde
“Xi Jinping ha detto che la Cina avrebbe smesso di produrre carbone all’estero diversi anni fa. Non è così”, sottolinea Mardell. “Però sta costruendo più progetti di energia rinnovabile. Una bella sorpresa: è questa la direzione in cui si sta muovendo il mondo, no? L’aspetto più interessante è quanto sia inevitabile il finanziamento internazionale della Via della Seta Verde”. Il tema della transizione energetica è attualmente attraente per una serie di Paesi. Questi potrebbero trovare nella Cina ancora una sponda,e la Bri potrebbe avere un percorso di rinnovamento dopo il primo decennio. Ma come dimostrato dalla linea di fondo uscita dal recente Africa Climate Summit, sebbene si ricerchino nuovi e maggiori investimenti, alla Cina viene chiesta in modo sempre più pressante accountability riguardo alle proprie attività — sia come responsabile di emissioni, sia come prestatore finanziario.
Chi ci sarà al vertice decennale?
La Cina ha annunciato che 90 Paesi hanno già confermato la loro partecipazione alla conferenza per il decennale, che si terrà in ottobre. Il terzo Forum per la Cooperazione Internazionale sulla Belt and Road (Brf) sarà ospitato a Pechino, ma secondo quanto riportato dai media, i leader stranieri che hanno confermato per ora la presenza sono due: il presidente serbo, Aleksandar Vucic, e il presidente argentino, Alberto Fernandez. Di certo altri si aggiungeranno. Il Cremlino ha fatto sapere che anche il presidente russo, Vladimir Putin, è stato invitato: Putin dovrebbe essere in Cina in quel periodo, e dunque la sua presenza è più o meno sicura. Il ministero degli esteri cinese ha ricordato in questi giorni che Pechino ha firmato documenti di cooperazione sulla Belt and Road con più di 150 Paesi e oltre 30 organizzazioni internazionali. “Nell’arco dell’ultimo decennio, la cooperazione sulla Belt and Road ha ottenuto risultati fruttuosi”, ha dichiarato di recente la portavoce del ministero, in una conferenza stampa in cui ha fatto un recap della situazione, aggiungendo che sono stati avviati più di 3.000 progetti di cooperazione e sono stati mobilitati quasi 1.000 miliardi di dollari di investimenti.