Il ruolo crescente delle politiche energetiche e climatiche nella cooperazione Ue-Usa. I temi che lastricano la strada per la Cop28. La funzione del G7 a guida italiana. Un approfondimento a tutto campo al Live Talk di Formiche.net con il senior director del Global Energy Center dell’Atlantic Council e il presidente del ramo Italia del World Energy Council
Mai come in questi ultimi anni le questioni energetiche e climatiche si sono intrecciate con – e hanno rimodellato – le relazioni internazionali. Dalla guerra di aggressione russa contro l’Ucraina e la spinta al distaccamento europea, alla corsa per l’accesso alle materie prime critiche che sottendono alla transizione ecologica. Su questo sfondo, la relazione transatlantica acquisisce ancora più importanza: la convergenza tra Unione europea e Stati Uniti può flettere le sorti della corsa verso il net zero. Ma le sfide non mancano.
Queste le premesse dell’ultimo Live Talk di Formiche.net, a cui hanno partecipato Landon Derentz, senior Director del Global Energy Center dell’Atlantic Council, e Marco Margheri, Presidente del ramo Italia del World Energy Council, nonché membro del Board of Directors del think tank washingtoniano. Due ospiti di rilievo con uno sguardo d’eccezione in materia di energia, la lente attraverso cui hanno analizzato lo stato della relazione transatlantica, la strada verso la Cop28 di Dubai e il ruolo del G7 a guida italiana.
L’ENERGIA ATTRAVERSO L’ATLANTICO
La cooperazione transatlantica in materia di energia e clima ha una storia profonda, ha esordito Derentz: le conversazioni in materia si svolgono da decenni e il coordinamento su questi temi si estende anche oltre, nel contesto della sicurezza e della cooperazione energetica, che poi sono alla base di una più ampia stabilità economica e politica. Su questa direttrice si muove lo sforzo parallelo di Ue e Usa, con iniziative come RePowerEU e l’Inflation Reduction Act, che stanno versando miliardi di dollari nella costruzione di un’economia tanto pulita quanto resiliente agli shock esterni. “Oggi, però, questo avviene nel contesto della necessità di una piattaforma stabile e forte di accesso alle forniture energetiche.C’è davvero una sintonia in termini di politica europea e statunitense: si guardi al Consiglio per l’energia Ue-Usa, dove questi temi sono emersi ai livelli più alti dei rispettivi governi. Questo sta portando, credo, alla risposta più coesa ad alcune delle questioni politiche più impegnative del nostro tempo in materia di clima ed energia”, ha commentato Derentz.
Gli ha fatto eco Margheri, che è partito evidenziando come guerra e pandemia abbiano costretto Washington e le capitali europee ad adattare, consolidare e rendere più solida la piattaforma delle relazioni transatlantiche per affrontare tre nuove sfide. La prima è la diversificazione, con gli Usa che si sono trasformati da partner energetico a fornitore strategico di energia per i principali Paesi europei, mentre l’Italia si allontana da Mosca “grazie alle sue infrastrutture, compreso il corridoio meridionale del gas, ma anche grazie alle relazioni storiche che l’Eni ha costruito in Africa attraverso il Mediterraneo”. La seconda sfida è la ristrutturazione delle catene di approvvigionamento critiche, come quelle per le materie prime, che Margheri ha definito la “strozzatura critica per la transizione energetica”. In questo frangente i partner transatlantici “stanno imparando che devono lavorare insieme con il Sud globale e con i partner chiave, compresa la Cina, se vogliono avere una proposta di valore comune per la transizione”.
Infine, la terza sfida-chiave è quella della tecnologia, in un momento in cui l’Agenzia Internazionale dell’Energia ricorda che il 50% delle riduzioni di emissioni incorporate nel loro scenario net zero provengono da tecnologie che attualmente non sono sul mercato. La domanda energetica è alle stelle in aree critiche del mondo, come l’India, e pone il tema dello sviluppo economico e sociale in Africa, ricorda Margheri: “come possiamo affrontare tutto questo se i partner transatlantici non collaborano, a partire dalla nostra tecnologia?” Cattura e sequestro della CO2, i nuovi biocarburanti avanzati, il nuovo nucleare, l’energia da fusione, tutte soluzioni fondamentali che oggi sono basate sull’infrastruttura delle relazioni transatlantiche, “formatasi nei decenni in un contesto completamente diverso, ma che ora deve essere all’altezza della sfida”.
LA STRADA VERSO LA COP28
I temi risuonano con chi osserva le dinamiche in vista della Conferenza Onu sul clima, che si aprirà il 30 novembre a Dubai. Il filo conduttore della scorsa edizione era la differenza tra i Paesi del Nord e del Sud globali, il risultato principale è stato l’impegno dei primi ad aiutare i secondi nel mitigare i danni del riscaldamento globale e supportare la loro transizione, ha ricordato Margheri, evidenziando il ruolo dell’Atlantic Council nell’impegnarsi formalmente come piattaforma di facilitazione del dialogo. “Penso che la sfida principale del 2023 sia leggermente diversa e che sia davvero nelle corde di ciò che gli Stati del Golfo e gli Emirati ci stanno dicendo: facciamo sul serio. Siamo concreti. Avviamo una serie di iniziative”.
Le priorità perseguibili sono l’obiettivo, e in quest’ottica è evidente la sfida del processo multilaterale. “Politicamente, dobbiamo coinvolgere tutti gli attori e trovare il giusto equilibrio tra confronto e cooperazione”, perché senza la partecipazione globale non c’è scenario net zero che tenga. “E questo equivale alla sfida che abbiamo nel settore privato: anche lì serve avere tutti gli attori presenti al tavolo, con impegni, enfasi ed entusiasmo per il modello di transizione, ma con realismo e cooperazione intersettoriale. Credo che l’idea che la conversazione sul clima possa avvenire in maniera svincolata dalla realtà sia tramontata da tempo”.
Anche Derentz ha visto negli Emirati un Paese impegnato nella fase attuativa. “Ovviamente si tratta di un Paese produttore di petrolio, ma è anche un’economia nucleare vivace e in crescita, come cresce anche nel settore delle energie rinnovabili”. L’apparente contraddizione tra idrocarburi e cleantech è sfatata dalla necessità di rispondere alle richieste del qui e ora: “prendere e implementare tecnologie note e operative”, nonché necessarie, come il gas naturale, anche oltre l’orizzonte del 2050, “e renderle economiche anche per il Sud globale”. L’esperto dell’Atlantic Council è certo che alla Cop28 si vedranno maturare gli sforzi di collaborazione ancorati nel partenariato transatlantico, che hanno già dimostrato la capacità di influenzare la governance e abbinarla a fonti di denaro. “Ci aspettiamo uno slancio tangibile, nonché finanziamenti e risorse per la trasformazione, sia per quanto riguarda l’energia pulita che per il metano”.
IL CONFRONTO USA-CINA
La relazione tra le due superpotenze, che sono anche i due emettitori di CO2 più importanti al mondo, ha ripercussioni immediate sulle chances di portare a compimento la transizione globale. Occorre una visione olistica delle relazioni bilaterali, ha rimarcato Derentz. “Molte conversazioni a Washington in questo momento si concentrano su questo: perseguiamo il de-risking o il decoupling dalla Cina?” Non si può ignorare che Pechino detiene l’80% della capacità di raffinazione del litio e un pari controllo su tutti gli aspetti della catena del valore del solare. “Dobbiamo riflettere sul modo in cui ci avviciniamo a Paesi come la Cina per favorire e portare avanti la transizione energetica in modo economico. Ma dobbiamo anche fare attenzione alle implicazioni in materia di sicurezza energetica, a non investire eccessivamente in un solo Paese e creare una dipendenza che forse non è del tutto speculare a quella a cui abbiamo assistito con l’Europa e la Russia, ma certamente è una relazione complicata che ha anche un sottofondo di avversità.
Dal canto suo, l’esperto statunitense vede “uno slancio verso il de-risking” e la “costruzione responsabile” di legami con la Cina. Un concetto lanciato e portato negli Usa dall’Ue, ha rilanciato Margheri: “la prima volta che ci siamo allontanati dal paradosso di Henry Kissinger, da Bruxelles che non ha nemmeno un numero di telefono da chiamare a Jake Sullivan e Janet Yellen che adottano un concetto sviluppato strategicamente dalla Commissione Europea”. In ultima analisi, de-risking significa prendere atto del fatto che “non c’è transizione energetica, non c’è transizione digitale, se la Cina non è a bordo, sia in termini di impegno per un modello di sviluppo migliore a livello nazionale, sia in termini di impegno per un contributo coeso per lavorare alle catene di approvvigionamento globali, che non deve creare condizioni di monopolio e condizioni di criticità come abbiamo sperimentato in passato”. Contemporaneamente, ha continuato il rappresentante del Wec, de-risking significa anche individuare sinergie tra Ue e Usa. L’Ira e le mosse europee mostrano che ci sono possibilità per riportare competenze e posti di lavoro all’interno dell’alveo transatlantico: come dimostra un’azienda come Enel, costruendo una gigafactory in Oklahoma.
Il discorso non può prescindere da come si approccia il Sud globale e l’Africa sub-sahariana in particolare, regioni-chiave che forniscono i minerali critici. “Ancora una volta, non dobbiamo vedere le cose in modo ideologico. Dobbiamo collaborare con nuovi strumenti, come il Partenariato per gli investimenti infrastrutturali globali negli Stati Uniti e il Global Gateway in Europa, per offrire al Sud globale un percorso transatlantico per lo sviluppo delle loro industrie, che non deve essere necessariamente alternativo ma può integrare e mitigare la presa cinese” – che non sempre si è dimostrata efficace e fruttuosa per i Paesi africani. “Qui il governo italiano sta giocando un ruolo importante, in virtù dell’attenzione storica alla rotta meridionale e l’attuale enfasi sulla collaborazione con i Paesi africani per un nuovo modello di cooperazione”.
IL RUOLO DELL’ITALIA
La presidenza italiana del G7 nel 2024 è foriera di “enormi opportunità”, ha detto Derentz. “C’è molta compatibilità tra le priorità italiane per come le ho viste finora e gli interessi del partenariato transatlantico”. Soprattutto guardando agli sforzi per ottenere energia e decarbonizzazione non come una questione isolata, ma considerando le ripercussioni su temi come migrazione e sicurezza alimentare. Conversazioni “ancorate in uno spazio in cui l’Italia ha molta esperienza”, ha evidenziato lo statunitense, guardando alla posizione geografica e a come Roma ha gestito le sfide degli ultimi due anni in termini di sicurezza energetica grazie alle relazioni di partenariato con il Nord Africa e i Paesi del Mediterraneo. Oltre all’attenzione continua sull’invasione russa dell’Ucraina, al G7 “si assisterà a una nuova enfasi sull’importanza del Sud globale che ritengo sia davvero opportuna”. Una transizione energetica di successo porta a una crescita economica in senso lato, ha concluso.
Margheri ha infine evidenziato come fuori dai confini italiani sia riconosciuta la partecipazione, l’entusiasmo e l’energia del Belpaese in campo multilaterale, “un insieme di sforzi costanti attraverso i diversi governi e le evoluzioni politiche”. Il G7 sembra confermare, fin dall’inizio dei lavori preparatori, l’enfasi riconosciuta alla guida italiana, come emerso durante il viaggio del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni a Washington e il suo incontro con il Presidente Joe Biden. “L’Italia, a mio avviso, è nella posizione ideale per portare al G7 almeno due grandi questioni”: da un lato la risposta concreta da dare all’Ucraina, pensando alla ricostruzione e un ombrello strategico di sicurezza più ampio con forti implicazioni energetiche e climatiche, dall’altro la spinta affinché il G7 non sia percepito come una torre d’avorio ma un volano inclusivo di cambiamento. “La credibilità dell’Italia, ancora una volta, con i suoi sforzi sull’Africa – come il Piano Mattei che il governo sta lavorando per implementare – sarà, credo, un motore fondamentale” per un dialogo più ampio con il Sud globale, foriero del suo sviluppo.