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Prima volta per una delegazione israeliana a Riad. Passi avanti verso la normalizzazione?

Di Gabriele Carrer ed Emanuele Rossi

Questa settimana la riunione Unesco ha offerto l’occasione di un ulteriore passo avanti dopo quello di un anno fa sui cieli aperti. Diplomazie al lavoro, anche sul format

Lunedì è atterrata in Arabia Saudita la prima delegazione ufficiale del governo israeliano. L’occasione è un incontro a Riad del Comitato per il patrimonio mondiale dell’Unesco. L’anno scorso era circolata l’idea di una partecipazione di Eli Cohen e Yoav Kisch, ministri rispettivamente degli Esteri e dell’Educazione, ma secondo i media israeliani gli Stati Uniti avrebbero suggerito prudenza in quell’occasione.

Le cose sono cambiate abbastanza in fretta, e quest’anno la partecipazione sembra rappresentare un ulteriore passo verso la normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Israele e Arabia Saudita, su cui gli Stati Uniti puntano parte delle rimodulate policy mediorientali.

Un esempio di come le cose stiano procedendo in senso ampio attorno a questa scommessa di normalizzazione è la presentazione, guidata dal presidente americano Joe Biden, del Corridoio economico India-Medioriente-Europa, che ha proprio nei due Paesi mediorientali due snodi fondamentali. Il Corridoio, presentato a margine del recente summit G20 di Nuova Delhi e a cui partecipano altri Paesi alleati e partner (tra questi l’Italia), si basa sul concetto geostrategico noto come “costrutto indo-abramitico”, dove Riad e Gerusalemme sono i cardini — teoricamente con Roma — di quel contesto socio-culturale abramitico che connette al fondo l’Indo Mediterraneo.

La prima volta di una delegazione ufficiale del governo israeliano in visita in Arabia Saudita per l’evento Unesco fa il paio con la decisione di un anno fa da parte di Riad di consentire a tutti i voli commerciali da e per Israele di utilizzare lo spazio aereo del Regno. Ulteriore dimostrazione di come questi collegamenti fisici/infrastrutturali siano parte dello schema di normalizzazione e connessione politico-culturale dalla dimensione storica. Chiaramente l’Unesco è uno spazio perfetto per proseguire il processo, che è complicato proprio dal peso storico e da divisioni ideologiche e per questo non può essere troppo violento. D’altra parte comunque ci sono tutti gli interessi a farlo procedere.

Le diplomazie e gli altri canali di contatto tra Gerusalemme e Riad sono attivi. Nessuno si spinge a ipotizzare una data ma tutti guardano con attenzione all’avvicinarsi delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti fissate per il 5 novembre dell’anno prossimo. Il peso e le ambizioni politiche dell’Arabia Saudita suggeriscono che alla fine la strada scelta sarà quella di un formato bilaterale, o al massimo trilaterale con gli Stati Uniti, piuttosto che un formato Negev (che coinvolge che Bahrein, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Marocco) o gli Accordi di Abramo (negoziati dagli Stati Uniti e firmati da Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Israele, Marocco e Sudan).

Il punto sta nel gioco di equilibri attorno ai tre attori principali. L’amministrazione Biden ha un rapporto controverso con Riad (il presidente in campagna elettorale aveva definito “un paria” il factotum del regno, l’erede al trono e primo ministro Mohammed bin Salman addossandogli di fatto la responsabilità della macabra vicenda Kashoggi) e con Gerusalemme. Non è una novità che il democratico alla Casa Bianca non abbia un rapporto personale eccellente con il leader che ha segnato la storia recente israeliana, Benjamin Netanyahu, e a maggior ragione adesso che il governo israeliano è su posizioni sioniste radicali (tanto per dare la misura, Netanyahu non è mai stato ospitato alla Casa Bianca dalla presidenza e sembra che avrà il primo bilaterale con il presidente a latere dell’Assemblea generale Onu, programmata per fine mese a New York).

Tuttavia, per primo Washington tanto quanto Riad e Gerusalemme, sembrano propensi a superare le divergenze visto l’ottica strategica della normalizzazione. Rimodellare le relazioni tra Israele e Arabia Saudita — senza eccessivamente tralasciare la questione palestinese — serve a creare un precedente storico-culturale che potrebbe smuovere altre parti del mondo arabo sulla stessa direzione. Inoltre diventa un imperativo funzionale a programmazioni di lunga gittata, come appunto il corridoio indo-mediterraneo su cui si muovono direttamente altre potenze come l’India e indirettamente ne tocca altre come la Cina (perché il piano rappresenta un’alternativa all’infrastruttura geopolitica Obor/Bri).

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