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Medio Oriente, una nuova zona intermedia tra Usa e Cina?

Di Leonardo Bruni e Amanda Chen

Durante la TOChina Summer School 2023, il professor She Gangzheng della Tsinghua University  ha analizzato l’evoluzione e la continuità della politica cinese in Medio Oriente. Dopo una panoramica storica, She ha spiegato le motivazioni alla base del crescente interesse di Pechino per la regione, prima fra tutte la Belt & Road Initiative

L’impressionante successo ottenuto a marzo dalla Cina nel mediare il ripristino dei rapporti diplomatici tra Iran e Arabia Saudita, insieme all’adesione della Repubblica Islamica all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, ha attirato l’attenzione sulla crescente influenza cinese nel Medio Oriente, sollevando preoccupazioni che questa regione possa diventare un nuovo terreno di scontro tra Cina e Stati Uniti.

Questi temi e le dinamiche delle relazioni sino-mediorientali sono state al centro della lezione conclusiva della diciassettesima edizione della TOChina Summer School tenuta da She Gangzheng, professore associato presso l’Università Tsinghua. She ha esaminato l’evoluzione storica dell’approccio della Repubblica Popolare nei confronti degli stati mediorientali e le sue implicazioni sull’attuale panorama globale.

Guardando indietro alla Guerra Fredda, She ha spiegato che la politica estera cinese nei confronti del Medio Oriente è mutata radicalmente negli ultimi ottant’anni. Ciononostante, il professore ha enfatizzato che sono rimasti anche notevoli elementi di continuità, in quanto è sempre stata subordinata alle priorità interne e globali della grand strategy di Pechino.

Negli anni ’60 la Cina adottò un approccio secondo cui “combattere con due pugni”, con l’obiettivo di contrastare sia gli Stati Uniti che l’Unione Sovietica. Tuttavia, questa strategia fallì totalmente in Medio Oriente poiché nella logica della Guerra Fredda nessuno dei paesi nella regione era disposto ad irritare le superpotenze.

Successivamente, Pechino si allineò con Washington in chiave antisovietica negli anni ‘70. Di conseguenza la Cina cercò di normalizzare le sue relazioni con tutte le nazioni mediorientali avverse all’espansionismo sovietico, tra cui Israele, Egitto e Arabia Saudita, indipendentemente dalla loro orientazione politica e ideologica. Dopo la caduta dell’Urss, la Repubblica Popolare si concentrò sullo sviluppo economico interno. Pertanto, la politica estera cinese, sia a livello globale che regionale, privilegiò il commercio e la cooperazione economica cercando di minimizzare eventuali divergenze politiche.

È in questo contesto che venne annunciata la Nuova Via della Seta nel 2013. Per il professore, questa iniziativa globale aveva inizialmente una natura strettamente economica, mirando principalmente a promuovere le esportazioni cinesi verso nuovi mercati in Europa e a garantire l’approvvigionamento di risorse primarie dall’Africa. Vennero considerate tre rotte per collegare la Cina a questi continenti: una settentrionale attraverso la Russia utilizzando la ferrovia transiberiana, una meridionale attraverso l’Oceano Indiano e una centrale attraverso il Medio Oriente. Sebbene quest’ultimo “corridoio centrale” inizialmente ricevette scarso interesse a causa dei conflitti nella regione, oggi è considerato il più promettente dato le incertezze nelle relazioni sino-russe dopo l’invasione dell’Ucraina, e il rischio che la rotta meridionale venga ostruita dall’India.

Queste considerazioni geografiche, unite all’importanza della regione per la sicurezza energetica e alla crescita degli investimenti cinesi, hanno suscitato un forte interesse da parte di Pechino nel promuovere la stabilità in Medio Oriente. Ciò ha fatto sorgere l’ipotesi tra numerosi esperti che la Cina potrebbe decidere di impegnarsi militarmente nella regione. Pur non escludendo tale possibilità, She non ritiene che la Cina sia incline ad adottare un approccio “occidentale”, ma sembra piuttosto intenzionata a instaurare una nuova architettura di sicurezza regionale guidata da attori locali e basata sulla riconciliazione.

Inoltre, il professore sostiene che Pechino desideri mantenere una certa distanza così da preservare un ampio margine di manovra ed evitare di essere trascinata in conflitti indesiderati. L’invio di truppe comporterebbe anche notevoli danni reputazionali poiché violerebbe il principio di non interferenza da sempre propugnato da Pechino.

Tornando alla storia, She sostiene che nel contesto della crescente rivalità tra Stati Uniti e Cina, le lezioni della Guerra Fredda sono particolarmente utili per l’analisi delle dinamiche attuali delle relazioni sino-mediorientali. Gli Stati della regione, soprattutto quelli appartenenti al Consiglio di Cooperazione del Golfo, sono profondamente consapevoli dei propri mezzi e stanno diventando sempre più proattivi e indipendenti nell’orientare le proprie politiche estere verso Pechino, persino di fronte alle pressioni dall’alleato storico americano.

Secondo il professore, la spinta verso una maggiore autonomia da parte degli attori regionali è stata agevolata dall’avvento dell’era digitale. I recenti progressi nella tecnologia militare hanno consentito ai governi del Medio Oriente di acquistare carri armati e aerei americani per consolidare le loro alleanze con Washington, e, contemporaneamente, procurarsi droni cinesi che si rivelano più economici ed efficaci per le sfide di sicurezza che devono affrontare. She ha fatto questo esempio di complementarità per sostenere la tesi che le politiche estere della Cina e degli Stati Uniti non presentano gravi contraddizioni al di fuori dell’Indo-Pacifico.

Tutto ciò dimostra come, a differenza della “vecchia” Guerra Fredda in cui i legami militari con una superpotenza rappresentavano l’adesione a un determinato schieramento ideologico, i paesi del Medio Oriente dispongono ora di una maggiore capacità di perseguire i propri interessi nazionali e di diversificare le loro relazioni strategiche. Secondo She, in futuro le dinamiche regionali saranno in gran parte guidate dalle potenze regionali e dalle interazioni fra di loro. Se questa tendenza si confermasse, potremmo assistere all’emergere di una nuova “zona intermedia” (un concetto creato da Mao Zedong per descrivere le regioni del mondo che si collocano in una posizione intermedia tra le sfere di influenza delle superpotenze). In questo tipo di aree, Cina, Stati Uniti e altre grandi potenze potrebbero competere non militarmente, ma piuttosto nel fornire sostegno alla loro sicurezza e opportunità economiche.


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