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Vi spiego la strategia di Meloni per mantenere il consenso. L’analisi di Carone

Parlare poco, evitare di esporsi se non in occasioni istituzionali e a corredo di meeting internazionali, in contesti più sicuri in cui riuscire a mantenere il controllo. Uno stile distante dalla Giorgia Meloni degli ultimi nove anni, ma identico a quello assunto nella campagna elettorale del 2022. L’analisi di Martina Carone, analista YouTrend e docente al master di primo livello promosso dall’Università di Padova e YouTrend in “Social media, opinione pubblica e marketing politico elettorale” giunto alla seconda edizione

L’estate è già finita, e un anno se ne va. E, dopo un anno dalle elezioni che lanciarono il governo Meloni, non mancano i bilanci.

Dal punto di vista dell’attività di governo, ma anche dal punto di vista della comunicazione. Giorgia Meloni è passata in dieci anni dall’essere fondatrice di una formazione politica in aperta contrapposizione con tutto l’establishment che inneggiava alla sobrietà all’essere la prima presidente del Consiglio donna; la sua ascesa ha fatto riflettere (e, ad altri, incusso timore) dal punto di vista degli effetti sulla stabilità e sulla credibilità del governo italiano e dalla trasformazione di una leader di un partito passato dal 2% al 25% (e che oggi si attesta intorno al 30% dei consensi) in soli dieci anni.

Un aspetto in cui – lo abbiamo imparato negli ultimi anni – anche lo stile comunicativo fa la sua parte. Abbiamo assistito, in un anno, a diversi momenti topici, a nuove sperimentazioni, a diverse prime volte: ma, nonostante questo, gli spostamenti nelle opinioni degli italiani sono stati pochi. L’ultima supermedia di Youtrend ci dice da mesi che le variazioni dei consensi sono pressoché minime, nell’ordine dello zero virgola, e comunque non rilevanti dopo un anno in cui FdI resta sempre stabile al primo posto dei partiti più apprezzati, seguito – ma non insidiato – da Pd e M5S.

E, in effetti, sia dal punto di vista politico che da quello del dibattito pubblico, Giorgia Meloni non è impensierita dall’opposizione: il Pd in questi mesi ha affrontato tempi duri, come le amministrative, da cui è uscita piuttosto indebolita, e – seppur essendo rinvigorita dalle primarie e dall’elezione dell’anti-Meloni – Elly Shlein, fatica ad imporsi e guarda le Europee in vista con un mix tra aspettative e preoccupazioni.

In effetti, il risultato che le opposizioni faranno a giugno 2024 non sembra crucciare Meloni, che deve guardare più i panni sporchi in casa propria: in questi mesi è sembrata doversi “difendere” più dagli alleati e colleghi di partito che, in pieno periodo di insediamento e di avvio dei lavori, non hanno risparmiato alla premier l’incombenza di gestire gaffes, scivoloni, polemiche.

Da quelle più politiche (come i confronti sulla giustizia e al ministro Nordio, la non-conferenza di Cutro e la gestione dell’immigrazione e degli sbarchi, o le dichiarazioni di Giovanni Donzelli e Andrea Delmastro delle Vedove sul caso Cospito) a quelle più mediatiche (come le dichiarazioni di Ignazio la Russa sulle Foibe e le dichiarazioni dei ministri Lollobrigida – “i poveri mangiano meglio dei ricchi” – e Sangiuliano – “proverò a leggere i libri” candidati al Premio Strega, pur avendo già votato fino a quelle del giornalista Giambruno, compagno di Meloni, sullo stupro di Palermo), a quelle che rivelano le strategie messe in atto dai colleghi di governo, come Matteo Salvini, a suo agio in una campagna elettorale avviata diversi mesi prima del voto europeo. Tanto rumore, tanti episodi, ma che nella maggior parte dei casi si risolvono – almeno nella percezione che i cittadini hanno di Giorgia Meloni – in uno shakespeariano much ado about nothing: un Sondaggio Quorum/YouTrend per Skytg24 rileva infatti che dopo l’estate i giudizi negativi sul governo toccano una nuova percentuale record (55%), Eppure, la fiducia nella premier resta stabile al 37%.

E la sua strategia per mantenere questo consenso sembra ormai chiara: parlare poco, evitare di esporsi se non in occasioni istituzionali e a corredo di meeting internazionali, in contesti più sicuri in cui riuscire a mantenere il controllo.

Uno stile decisamente distante dalla Giorgia Meloni degli ultimi nove anni, ma identico a quello assunto nella campagna elettorale del 2022, in cui la sua comunicazione era già sobria, istituzionale, orientata a rassicurare e a mostrarsi, come il suo slogan, pronta.

Lei, evidentemente, ha provato ad esserlo, spesso anche riuscendo ad arginare – a conti fatti – l’impatto delle vicende e delle gaffes. I suoi colleghi – sicuramente i loro consulenti in comunicazione – forse lo sono stati un po’ meno…

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