Si può difendere Dio? Certamente in una prospettiva di fede, possiamo dire che si tratta di un capovolgimento: è piuttosto Dio, che ha creato e regge le sorti del mondo, la più forte difesa per le persone, le famiglie e i popoli che con fede gli si rivolgono, però… La visione di Bendetto Delle Site
Non sono pochi ad aver ironizzato o gridato allo scandalo, sia fuori che all’interno del mondo cattolico, per le parole del presidente del Consiglio dei ministri Giorgia Meloni al Demographic Summit a Budapest, una conferenza sulla natalità alla quale hanno preso parte, oltre al presidente ungherese Viktor Orban, alcuni dei leader dei conservatori europei. La premier italiana ha richiamato una grande battaglia per “difendere le famiglie, le nazioni, l’identità, Dio e tutto ciò che ha costruito questa civiltà”.
Si può difendere Dio? Certamente in una prospettiva di fede, possiamo dire che si tratta di un capovolgimento: è piuttosto Dio, che ha creato e regge le sorti del mondo, la maggiore difesa per le persone, le famiglie e i popoli che con fede gli si rivolgono. “Per il resto, attingete forza nel Signore e nel vigore della sua Potenza. Rivestitevi dell’armatura di Dio”, scrive San Paolo nella lettera agli Efesini, il quale non rinuncia a un linguaggio militaresco, continuando nella lettera: “Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio. Pregate inoltre incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, vigilando a questo scopo con ogni perseveranza”.
E tuttavia la premier italiana, lungi da questo equivoco, pone in realtà tutt’altra questione che non è lecito banalizzare: il posto di Dio nel mondo, il tipo di presenza della fede nello spazio pubblico, il riferimento anche pubblico a Dio come trascendenza che è fondamento della inviolabilità della vita umana, dei diritti indisponibili della persona “immagine di Dio”, della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio riflesso della comunione e Trinità divina, e dei limiti del potere politico-statuale su cui si fonda la civiltà europea e l’Europa fuoriuscita dalla follia totalitaria dopo la seconda guerra mondiale.
Per capire il vero significato delle parole della premier, bisogna tornare alla provocazione che Joseph Ratzinger lanciò alla cultura secolare nel memorabile discorso da lui pronunciato a Subiaco il 1 aprile 2005 (cfr. Joseph Ratzinger, L’Europa di Benedetto nella crisi delle culture, Ed. Cantagalli con prefazione di Marcello Pera): “Nell’epoca dell’illuminismo si è tentato di intendere e definire le norme morali essenziali dicendo che esse sarebbero valide ‘etsi Deus non daretur’, anche nel caso che Dio non esistesse. Nella contrapposizione delle confessioni e nella crisi incombente dell’immagine di Dio, si tentò di tenere i valori essenziali della morale fuori dalle contraddizioni e di cercare per loro un’evidenza che li rendesse indipendenti dalle molteplici divisioni e incertezze delle varie filosofie e confessioni. Così si vollero assicurare le basi della convivenza e, più in generale, le basi dell’umanità. A quell’epoca sembrò possibile, in quanto le grandi convinzioni di fondo create dal cristianesimo in gran parte resistevano e sembravano innegabili. Ma non è più così. La ricerca di una tale rassicurante certezza, che potesse rimanere incontestata al di là di tutte le differenze, è fallita”.
Continua Ratzinger: “Neppure lo sforzo, davvero grandioso, di Kant è stato in grado di creare la necessaria certezza condivisa. Kant aveva negato che Dio possa essere conoscibile nell’ambito della pura ragione, ma nello stesso tempo aveva rappresentato Dio, la libertà e l’immortalità come postulati della ragione pratica, senza la quale, coerentemente, per lui non era possibile alcun agire morale. La situazione odierna del mondo non ci fa forse pensare di nuovo che egli possa aver ragione? Vorrei dirlo con altre parole: il tentativo, portato all’estremo, di plasmare le cose umane facendo completamente a meno di Dio ci conduce sempre di più sull’orlo dell’abisso, verso l’accantonamento totale dell’uomo”.
Da qui, l’invito all’uomo moderno, anche non credente, a iniziare, a tornare a vivere come se Dio esistesse: “Dovremmo allora capovolgere l’assioma degli illuministi e dire: anche chi non riesce a trovare la via dell’accettazione di Dio dovrebbe comunque cercare di vivere e indirizzare la sua vita ‘veluti si Deus daretur’, come se Dio ci fosse. Questo è il consiglio che già Pascal dava agli amici non credenti; è il consiglio che vorremmo dare anche oggi ai nostri amici che non credono. Così nessuno viene limitato nella sua libertà, ma tutte le nostre cose trovano un sostegno e un criterio di cui hanno urgentemente bisogno”.
In poche parole, il tentativo degli illuministi di secolarizzare i valori cristiani, fissandoli nella natura e nella ragione scisse e isolate da Dio, è fallito perché tali valori non si reggono da soli. Non sono più auto-evidenti. Oggi, ad esempio, proprio in nome della dignità della persona, si arriva a sopprimere deliberatamente la vita innocente con l’assenso della legge dello Stato. Occorre allora, secondo Ratzinger, rimettere al centro Dio per rimettere davvero al centro l’uomo.
Come afferma Ernst-Wolfgang Böckenförde nel 1967 nel noto saggio La formazione dello Stato come processo di secolarizzazione, “lo Stato liberale secolarizzato vive di presupposti che non può garantire: da una parte esso può esistere solo se la libertà si regola dall’interno, cioè a partire dalla sostanza morale dell’individuo; dall’altra però se lo Stato cerca di garantire da sé queste forze regolatrici interne esso rinuncia alla propria liberalità”. Nel dialogo fra Ratzinger e il filosofo Jürgen Habermas il primo, come è noto, risolve questo paradosso sostenendo l’urgenza di un costante dialogo fra fede e ragione, l’una gamba dell’altra contro le patologie del razionalismo strumentale da un lato e del fideismo fondamentalistico dall’altro, quindi difendendo il ruolo del Cristianesimo anche nello spazio pubblico e in un mondo plurale.
Come sappiamo da oltre un ventennio l’Europa ha preso tutt’altra strada, nel rifiutare il riferimento nella propria costituzione alle sue radici giudaico-cristiane, e con esse anche il riferimento, accanto, alle radici greco-latine e illuministe, l’Europa sceglie di essere senza radici e pur di rifiutare quel riferimento rinuncia ad avere una costituzione stessa.
Anche secondo la dottrina cattolica tradizionale, non rappresenta né uno scandalo né una contraddizione affermare che l’uomo moderno ha detronizzato Dio, lo sottintende Papa Pio XI nell’enciclica Quas Primas in cui alla regalità spirituale associa la regalità sociale di Cristo, che spetta al cristiano edificare quaggiù consacrando a Dio sé stesso e il mondo.
Nella lettera enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI, dove si affrontano molti dei problemi economici che attanagliano il mondo globalizzato in cerca di uno sviluppo che non sia solo crescita del Pil, il papa bavarese lo ribadisce in questi termini: “Dio è il garante del vero sviluppo dell’uomo, in quanto, avendolo creato a sua immagine, ne fonda altresì la trascendente dignità e ne alimenta il costitutivo anelito ad ‘essere di più’. L’uomo non è un atomo sperduto in un universo casuale, ma è una creatura di Dio, a cui Egli ha voluto donare un’anima immortale e che ha da sempre amato. Se l’uomo fosse solo frutto o del caso o della necessità, oppure se dovesse ridurre le sue aspirazioni all’orizzonte ristretto delle situazioni in cui vive, se tutto fosse solo storia e cultura, e l’uomo non avesse una natura destinata a trascendersi in una vita soprannaturale, si potrebbe parlare di incremento o di evoluzione, ma non di sviluppo. Quando lo Stato promuove, insegna, o addirittura impone, forme di ateismo pratico, sottrae ai suoi cittadini la forza morale e spirituale indispensabile per impegnarsi nello sviluppo umano integrale e impedisce loro di avanzare con rinnovato dinamismo nel proprio impegno per una più generosa risposta umana all’amore divino. Capita anche che i Paesi economicamente sviluppati o quelli emergenti esportino nei Paesi poveri, nel contesto dei loro rapporti culturali, commerciali e politici, questa visione riduttiva della persona e del suo destino. È il danno che il «supersviluppo» procura allo sviluppo autentico, quando è accompagnato dal «sottosviluppo morale»”.
La premier italiana, insomma, da uomo politico ha posto la questione del riferimento a Dio, ignorarla o deriderla significa restare in superficie su una questione aperta che riguarda le nostre fondamenta, una questione che potrebbe avere risvolti inediti, soprattutto in una Europa che dopo il voto europeo del giugno 2024 potrebbe essere guidata da una maggioranza composta da popolari e conservatori e in cui l’Italia giocherebbe un ruolo chiave.