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L’ordine del tempo, se un asteroide arrivasse stanotte e altri modi per dirsi la verità

Presentato a Venezia “L’ordine del Tempo” di Liliana Cavani che mette in scena l’angoscia dell’Apocalisse e il bisogno di relazioni più autentiche. Chiara Buoncristiani racconta il film per Formiche.net

L’autenticità dei legami e la verità di chi siamo, ma anche i compromessi, il taciuto, la collusione quotidiana per il quieto vivere. Se un asteroide arrivasse stanotte distruggendo il genere umano sarebbe l’Apocalisse ovvero la fine del tempo a nostra disposizione. Se non avessimo più tempo cosa capiremmo all’improvviso su noi stessi e sulle nostre vite? Questo è l’interrogativo de “L’ordine del tempo”, ultimo film di Liliana Cavani, presentato fuori concorso all’Ottantesima Mostra del Cinema di Venezia.

A dare “figurabilità” a questa domanda è qualcosa di molto concreto, ma anche allusivo e metaforico. Là dove l’immaginazione è fondo oscuro per la scoperta. Questo enorme “sasso” che corre alla velocità della luce è un “themata”, direbbe lo storico della scienza G. Holton. Qualcosa che ci ricorda che non siamo mai stati padroni a casa nostra. Tanto più quando credevamo di essere ormai capaci di orchestrare noi ogni cosa. Come ricorda anche un altro film di questo periodo, “Oppenheimer”, la nostra dipendenza dalla potenza distruttrice della natura/cultura ci costringe sempre di più a fare scelte etiche e di responsabilità verso noi stessi e chi ci circonda.

Una responsabilità esistenziale che sembra apparire all’improvviso, ma c’era da un tempo precedente. Come una stella, spiega il protagonista del film alla donna che ha preso e lasciato per tutta una vita. Anche se vedi solo adesso quella che osservi oggi è la stella di un milione di anni fa. La consapevolezza, come la possibilità di poter simbolizzare, arriva solo dopo. E non c’è altro modo per far esperienza sensibile di quella stella, se non quello di guardare il cielo da quaggiù, secondo il tempo dell’orologio: Chronos.

Proprio in un dialogo di questo tipo sono immerse all’inizio del film mamma e figlia, in una casa sulla riva del Circeo. Parlano della differenza tra Chronos, il tempo ordinato dell’orologio, e Kairos – il momento dell’esperienza vissuta che si apre al significato – nella prima scena ci sono intrecci esistenziali, scopriamo durante il film, che sono trame affettive complesse. A questo gruppo di protagonisti benestanti e ben inseriti in una vita borghese piena di “buone relazioni” non è mancato nulla se non, forse, la possibilità di cogliere il Kairos al momento opportuno. Le coppie che vediamo sulla scena scoprono che alle proprie relazioni è mancata la possibilità di confessarsi le passioni più eccentriche e meno convenienti. Ed è interessante che Cavani affidi ai figli adolescenti la possibilità di non spaventarsi di fronte alle contraddizioni da integrare: sono loro ad aiutare i genitori a tollerare i tradimenti e le false armonie, consentendo loro di transitare verso un assetto più autentico.

In psicoanalisi si parla di apres coup, un tempo ulteriore che dà forma a un passato di cui non si era potuto fare esperienza, dando senso a quello che era avvenuto, ma anche producendo qualcosa che in quella certa forma prima non era mai venuto al mondo. Ad esempio, il coraggio di essere se stessi anche quando è un po’ più scomodo.
Tratto dall’omonimo saggio del fisico Carlo Rovelli, uscito nel 2017, il film costruisce intorno alla percezione umana del tempo – trattata da Rovelli nel libro – un dramma corale, quasi una pièce teatrale, che si svolge in un’unica giornata e interamente all’interno di una villa sul mare. E sembra ricordarci che l’amore si nutre del Tempo, ma in una connessione che è in grado di destrutturarlo. Menzione speciale a Leonard Cohen che fa da colonna sonora.



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