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Contro il progressismo, popolarismo e non armi spuntate. Scrive Chiapello

Di Giancarlo Chiapello

Giancarlo Chiapello, segreteria nazionale Popolari/Italia Popolare, prende spunto da un articolo di Galli della Loggia sul Corriere della Sera per riflettere sul progressismo dei nostri tempi e aprire una riflessione centrata sulla critica del bipolarismo

L’articolo di Galli della Loggia apparso sul Corriere della Sera dal titolo “L’errore di buttare via l’idea di natura (e di storia)” ha il grande pregio di inquadrare un problema assai rilevante, il progressismo dei nostri tempi e innescare una riflessione centrata sulla critica del bipolarismo che l’autore di fatto difende contrapponendo un semplice conservatorismo, dentro cui, se lo si considera più del metodo che dovrebbe essere, poi si trova di tutto.

Appare totalmente condivisibile affermare “a differenza, insomma, delle precedenti ideologie di progresso, le quali miravano innanzi tutti a trasformare i rapporti sociali e politici, il progressismo attuale mira a qualcosa di completamente diverso: a sovvertire innanzi tutto il mondo dei valori e i rapporti personali tra gli individui. Lo sta facendo prendendo di mira due capisaldi di quello che potrebbe chiamarsi il pensiero corrente, l’opinione dei più, che fino a pochissimo tempo fa ancora, bene o male, servivano a definire culturalmente l’universo dell’Occidente: l’idea di natura e di storia. Secondo il punto di vista progressista che tiene oggi il campo la natura esisterebbe ormai solo come qualcosa da superare, un limite arcaico da gettarci dietro le spalle: concettualmente e se possibile praticamente”.

Visto dal punto di vista della visione sociale cristiana i cattolici non possono che trovarsi contrari ad una simile ideologia che, per usare un’espressione dell’Enciclica Populorum Progressio di San Paolo VI, non considera che “ciò che conta per noi è l’uomo, ogni uomo, ogni gruppo d’uomini, fino a comprendere l’umanità intera” e richiamando la Laudato Si di papa Francesco, “l’ecologia umana implica anche qualcosa di molto profondo: la necessaria relazione della vita dell’essere umano con la legge morale inscritta nella sua propria natura, relazione indispensabile per poter creare un ambiente più dignitoso. Affermava Benedetto XVI che esiste una “ecologia dell’uomo” perché “anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere”.

In questa linea, bisogna riconoscere che il nostro corpo ci pone in una relazione diretta con l’ambiente e con gli altri esseri viventi. L’accettazione del proprio corpo come dono di Dio è necessaria per accogliere e accettare il mondo intero come dono del Padre e casa comune; invece una logica di dominio sul proprio corpo si trasforma in una logica a volte sottile di dominio sul creato”. Alla fine la chiarezza della posizione la troviamo riassunta nella Lettera ai Romani di San Paolo: “Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto”.

Si tratta di intransigenza? No, bensì di coerenza con la Verità, che è requisito necessario per dialogare o anche disputare, riprendendo le riflessioni di un attento domenicano come Adrien Candiard, di difesa della società aperta rispetto al rischio di una ottusa, “misologa” per riprendere Platone (cfr. Paolo Ercolani, Figli di un Dio minore. Dalla società aperta alla società ottusa, 2019) e del senso del limite della politica, come insegnava Mino Martinazzoli, che il progressismo ha perso (finendo col rischiare addirittura di influenzare, quasi arianamente, una cosiderazione di Gesù come un rigido “teologo”) ma che, alla fine non si ritrovano mantenendo una semplificazione bipolare col conservatorismo, addirittura caratterizzato da una costruzione artefatta come l’occidentalismo, ma riandando ai più generativi e originali pensieri politici, capaci di comprensione della complessità come, per i cattolici, è quel popolarismo che, radicato nell’idea della democrazia cristiana, ha caratterizzato i padri fondatori di quell’Europa la cui centralità si radica nel principio di realtà e ha contribuito a definire la laicità non contrapposta ai pastori se guardiamo alla lezione di uomini come Sturzo, Frassati, La Pira, Marvelli, Minzoni, Moro, ecc.: se i cattolici continuassero ad accogliere tale frattura innaturale progressismo/conservatorismo, essa continuerebbe a passare dentro le comunità ecclesiali, mantendole divise diabolicamente e la politica, non tornerebbe ad essere, per esse che hanno bisogno perciò di un nuovo protagonismo dichiaratamente politico, un utile frangiflutti contro le colonizzazioni ideologiche. Anzi, si corre il rischio che l’una sopravviva grazie all’altra trovando nell’avversaria la sua ragion d’essere impedendo l’urgente rigenerazione.

La formula l’ha fornita papa Francesco nel suo messaggio al Ppe, quindi mirando con precisione ad una identità, ossia pluralismo interno e unità sui valori etici primari e punti importanti della Dottrina sociale cristiana. Un punto di partenza sono i numeri stessi dei cattolici: secondo i dati Istat, mentre in Germania, con il problema di un sinodo che non segue le indicazioni del pontefice ma ha una dimensione progressista, la Chiesa perde mezzo milione di fedeli all’anno, un disastro, in Italia un italiano su cinque va a Messa, ossia c’è un popolo straordinario, 12 milioni di fedeli in una società così liquida ed omologante sono, di fatto, dei veri “dissidenti” che hanno nel loro Dna la costruzione del buon governo del Paese almeno fino alle soglie del 2000 e possono riprovarci, soprattutto visto ciò che è venuto dopo se si supera il catenaccio interno dei difensori delle fratture, dei cattoconsulenti e delle contrapposizioni e si torna a ricostruire relazioni di popolo.

Si può dire che la battaglia all’ideologia progressista, transumanista, si fa con il ritorno alla realtà, al pensiero, all’identità, neanche attraverso il tatticismo politico da “Seconda repubblica” che inserirebbe un centro cosiddetto plurale, ossia senza definizione che non sarebbe figlio del centrismo popolare e democristiano, che rappresentava la posizione di una visione, bensì di quel terzo partito di Depretis, Pepoli, La Marmora, Ricasoli, così ben descritto da Ferdinando Petruccelli della Gattina nel suo best-seller del 1862 il cui titolo dovrebbe dire molto anche ad alcuni di oggi, “I moribondi del Palazzo Carignano”: “Il terzo partito è una frazione della sinistra: esso stesso frazionato in quattro gradazioni di colore diverso: contrariamente alla natura delle cose miste le quali in generale non sono né carne né pesce, il terzo partito vuole essere a sua volte carne e pesce… esso vuol tenersi pronto per tutti gli avvenimenti”.

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