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La revisione della normativa sugli imballaggi, un caso da studiare

La proposta di revisione della direttiva imballaggi (Ppwr) avrebbe dovuto limitarsi a promuovere il riuso creando quel quadro giuridico necessario a sviluppare le condizioni infrastrutturali e ambientali utili a renderlo economicamente praticabile ed efficace in termini ambientali. Su questi aspetti, invece, il Ppwr è ampiamente carente. L’intervento di Massimo Medugno (Assocarta)

La revisione della normativa sugli imballaggi a livello è diventata oggetto di discussioni, spesso supportate la analisi LCA, con documenti che si incrociano e in cui campeggiano titoli vistosi (ad esempio “documento di fact-checking sulla posizione del governo e dell’industria italiana contro il regolamento Ue su imballaggi e rifiuti da imballaggio”) in cui la sostanza del testo, spesso, non trova corrispondenza.

Ovviamente come appassionato della materia (anzi “diretto interessato”) cerco di seguire l’evoluzione in dettaglio.
In questo sforzo è utile un document “Supporting the co-decision process of the Ppwr: Environmental analysis of Reuse scenarios” predisposto dal Joint Research Centre (JRC) Sustainable Resource Directorate – Unit D.3 prodotto durante l’esame della proposta a livello di Parlamento europeo.

La lettura del documento è abbastanza esemplificativa del dibattito e di un processo normativo che avrebbe meritato maggiore attenzione nei suoi presupposti. Va fatta prima, a beneficio della chiarezza, una premessa.

La revisione della normativa sugli imballaggi è diventata l’arena dello scontro tra riuso e riciclo, pratiche entrambi da incoraggiare. I “contendenti” vogliono dimostrare inequivocabilmente il miglior impatto ambientale di una soluzione verso l’altra. Sotto un profilo generale sia il riciclo sia il riuso sono processi che possono garantire impatti ambientali molto diversi a seconda delle condizioni nei quali vengo attuati: da quelle infrastrutturali (raccolta, selezione, trasporti, ricondizionamento, impianti di lavaggio…), a quelle ambientali (comportamenti degli operatori, comportamenti dei consumatori, processi informativi…), a quelle legate alle specifiche situazioni ove il consumo del prodotto e l’eventuale riciclo o riuso dell’imballaggio vengono effettuati.

La proposta di revisione della direttiva imballaggi (Ppwr) avrebbe dovuto limitarsi a promuovere il riuso creando quel quadro giuridico necessario a sviluppare le condizioni infrastrutturali e ambientali utili a renderlo economicamente praticabile ed efficace in termini ambientali, a prescindere dalle miriadi di possibili condizioni reali e pratiche ove oggi vengono impiegati quegli imballaggi e prodotti mono uso che il riuso dovrebbe sostituire. Su questi aspetti, invece, il Ppwr è ampiamente carente.

Infatti, non disciplina i numeri di riutilizzi, la distanza massima per il ricondizionamento, riciclabilità degli imballaggi riutilizzabili, garanzie di prestazione, igiene e sicurezza. Spesso rimanda su questi aspetti ad atti delegati). Introduce, invece, da subito misure drastiche con divieti ai prodotti mono uso in svariati contesti, con obiettivi molto alti di riuso in svariati settori) e discriminanti (in quanto divieti e obiettivi che prescindono da ogni condizione infrastrutturale e ambientale). Inoltre prescindono dai risultati raggiunti sul riciclo, dalla natura e dai materiali degli imballaggi mono uso, come se la miglior efficacia ambientale del riuso fosse già garantita ed assodata.

Torniamo al documento del JRC (certamente fonte autorevole). Esso riesce a dimostrare inequivocabilmente il miglior impatto ambientale del riuso verso il riciclo? Si potrebbe rispondere alla domanda con un secco “no” andando dritti alla conclusione. Meglio però affidarsi allo stesso JRC. Nella slide 3, si elencano i numerosi parametri rilevanti (numero di riutilizzi, distanze di trasporto, numero di articoli trasportati, condizioni di lavaggio – energia, detersivo e consumo di acqua, risciacquo, rilavaggio, mix energetico, gestione dei rifiuti a fine vita, contenuti di materiale riciclato) sui quali è necessario fare delle assunzioni, delle ipotesi, per poter produrre dei risultati di impatto.

Sempre nella slide n. 3, si indica che tali assunzioni derivando da una letteratura scientifica di riferimento (senza indicarla) o addirittura da dati raccolti/verificati in loco (visitando la mensa del “JRC canteen”, cioè la mensa). A commento di ogni scenario (slide nn. 9, 13, 17), lo studio chiarisce che le assunzioni fatte (sul comportamento dei consumatori, sulle pratiche di lavaggio, sui trasporti, sul numero di riusi…) inevitabilmente condizionano in modo cruciale i risultati. Rispetto ai limiti dello stesso studio (slide n. 22) si evidenziano proprio le tante “ipotesi chiave” utilizzate (che richiedono attenta valutazione/interpretazione), ovvero quelle sulla massa degli articoli, la logistica, le pratiche e i tipi di lavaggio, il numero di riutilizzi.

Infine, nel trarre le conclusioni più rilevanti (slide n. 23) si evidenzia come sia importante ottimizzare i parametri che guidano le prestazioni ambientali affinché il riuso sia più vantaggioso, che il comportamento degli utenti gioca un ruolo chiave nelle prestazioni ambientali (il consumatore è ben lungi dall’essere stato educato al riuso), che il numero previsto di riutilizzi e il numero di lavaggi sono tra i parametri più rilevanti nell’influenzare i risultati (che il Ppwr non disciplina), che le pratiche di lavaggio e risciacquo (ad esempio, acqua calda/fredda durante il risciacquo)) possono influenzare in larga misura alcuni impatti del riuso.

Resta solo una chiara e unica evidenza. Non si possono più basare obiettivi e divieti stringenti sulla base di un quadro conoscitivo così incerto. Una lezione da tener presente in generale e non solo per la revisione della direttiva imballaggi.


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