Pubblichiamo la prefazione di Massimiliano Capitanio, componente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, al libro “Algoritmi, sicurezza ed etica dell’innovazione – La persona al centro della transizione digitale” di Alessandro Alongi e Fabio Pompei
L’Italia non è (ancora) un paese digitale. Basti pensare che, prima dell’approvazione del decreto Covid del settembre 2020, i certificati di nascita e di morte, in tutti i Comuni italiani, dovevano essere stampati, per legge, con stampanti ad aghi su fogli A3+. La sola mancata digitalizzazione della pubblica amministrazione fa perdere all’Italia qualcosa come 25 miliardi di euro ogni anno. Del resto, a oggi, la patente non è digitale, non lo è la carta di identità, ma nemmeno la tessera elettorale. Non parliamo, poi, del passaporto e dell’odissea per ottenerlo.
Eppure, la trasformazione digitale ha parzialmente rivoluzionato numerosi settori cruciali della nostra società, quali i trasporti, l’energia, la sanità, l’istruzione e la finanza, ma anche il settore dei media e dell’informazione. Durante la pandemia, senza digitalizzazione, non sarebbero stati possibili lavoro agile e didattica a distanza.
Scuola e lavoro sono diritti costituzionali, e la digitalizzazione rende questi diritti più accessibili. È sufficiente questo, e molto altro, per sostenere incondizionatamente i processi di dematerializzazione e semplificazione che sono alla base del passaggio dall’analogico al digitale?
La dipendenza dalle tecnologie può essere un rischio come giustamente ci interrogano gli autori di questo volume?
Fa bene questo libro a mettere “la persona al centro della transizione digitale”. Di fronte al predominio della tecnica e della tecnologia, è quanto mai urgente affiancare delle riflessioni sui risvolti etici di questa epoca digitale.
Il paragone è presto fatto. L’avvento dell’automobile è stato rivoluzionario, nessuno vorrebbe tornare all’epoca dei carri trainati dai cavalli. Eppure, guidare un’auto richiede un corso di formazione e una patente, ma soprattutto la consapevolezza legata ai rischi per sé e per gli altri.
I navigatori del web o i giustamente amanti della tecnologia hanno questa consapevolezza? Ce l’hanno le imprese che gravitano attorno a questo business? Lo sviluppo tecnologico non può chiudere gli occhi davanti ai costanti furti di dati, di brevetti, di fronte alle truffe, ai più disparati reati digitali, al dilagare della disinformazione, all’evoluzione della criminalità organizzata, alle nuove dipendenze patologiche.
Fanno bene gli autori a evidenziare che la sicurezza trattata in questo libro non riguarda solo la vulnerabilità delle infrastrutture di comunicazione, ma anche delle dinamiche sociali che ne sono veicolate, talvolta con effetti distorsivi e dannosi per la società. Negli ultimi anni, ad esempio, si è osservato un aumento preoccupante della violenza verbale, di dinamiche discriminatorie all’interno degli ambienti digitali e di incremento della polarizzazione delle posizioni. Nei casi più gravi si può addirittura parlare di veri e propri discorsi d’odio.
Quando si arriva a invocare l’inserimento dell’identità digitale in Costituzione lo si fa anche perché oggi, quotidianamente, si violano i principi fondamentali di tutela della persona, del rispetto della dignità umana e del principio di non discriminazione. Per contrastare questa situazione, l’autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha adottato regolamenti e delibere che promuovono il rispetto della persona, in linea con quanto gli autori denunciano nelle pagine che seguono. Si pensi, a titolo esemplificativo, al “Regolamento recante disposizioni in materia di rispetto della dignità umana e del principio di non discriminazione di contrasto all’hate speech” del maggio 2019, a cui si è recentemente affiancato il “Regolamento in materia di tutela dei diritti fondamentali della persona ai sensi dell’articolo 30 del Decreto Legislativo 8 novembre 2023, n. 208 (Testo unico dei servizi di media audiovisivi)” del febbraio 2023. Quest’ultimo è un presidio necessario per prevenire questo genere di reati commessi attraverso i servizi media e che permette all’autorità di un imporre sanzioni fino a 600.000 euro, in caso di inosservanza dei divieti.
Anche la legge, avvedendosi finalmente del problema, ha dotato l’autorità di nuovi poteri di intervento nei confronti dei fornitori di piattaforme online, al fine di contrastare le espressioni di odio nel mondo digitale. In particolare, il Capo II del Titolo V del già citato TUSMA, rafforza le tutele nei confronti dei minori per proteggerli da quei contenuti che possono nuocere al loro sviluppo fisico, mentale o morale. In generale, viene contenuta l’istigazione alla violenza sulle piattaforme di condivisione video.
Insieme alle importanti innovazioni apportate all’intero settore del diritto d’autore, grazie al recepimento della direttiva “Copyright” con le modifiche alla legge 22 aprile 1941 n. 633, queste sono soltanto alcune delle recenti competenze acquisite da Agcom nel contesto di un ecosistema digitale, che cambia e pervade sempre di più la nostra quotidianità. Si tratta di argomenti che ravvivano la necessità di rendere sicuro, tutelante e vivibile il web. La sfera della sicurezza, dunque, non è soltanto l’adozione di misure finalizzate alla protezione delle informazioni personali online, attraverso l’utilizzo di password robuste, sistemi crittografici e protezione antivirus (che rimangono comunque fondamentali), c’è molto di più.
Gli autori, nel loro testo, affrontano con chiarezza cosa voglia dire vivere in un ambiente digitale “a misura d’uomo”, adottando una serie di approcci e politiche per porre realmente al centro le persone e i loro diritti nel contesto digitale.
Nonostante l’esigenza di regolamentare in modo nuovo il mondo del web sia diventata sempre più evidente, trovare un sistema di diritti e doveri per lo spazio virtuale rimane un compito complesso. L’idea che Internet dovesse rimanere un territorio privo di regole si è dimostrata fallace, anche a causa dei tentativi di autoregolamentazione che hanno avuto scarso successo. Nonostante la veemenza dei toni con cui nel 1996 venne pubblicata la Dichiarazione di indipendenza del cyberspazio è evidente, infatti, che non si è realizzata una “civiltà della mente” improntata agli ideali di libertà e autodeterminazione né uno «spazio sociale globale […] indipendente». È ormai chiara, sia a livello conscio che inconsapevole, la necessità di pensare a un sistema che tuteli adeguatamente i diritti fondamentali nel più grande spazio di confronto che a oggi l’umanità abbia mai conosciuto.
In questo solco sembrano molto promettenti i progressi compiuti recentemente dall’Europarlamento, con l’architettura di una serie di norme finalizzate a regolamentare l’intelligenza artificiale, con precisi obblighi per i fornitori e gli operatori dei sistemi di IA basati sul livello di pericolosità che tale tecnologia può comportare. È in questo senso che si muove l’Artificial Intelligence Act, il progetto di normativa sull’intelligenza artificiale proposto dalla Commissione europea nell’aprile del 2021. Appena le nuove regole entreranno in vigore, saranno vietati i sistemi di IA che rappresentano un livello di rischio inaccettabile per la sicurezza delle persone. Un esempio di tali sistemi è quello utilizzato per attribuire il cosiddetto “punteggio sociale”, che classifica le persone in base al loro comportamento sociale o alle loro caratteristiche personali. Saranno inoltre banditi i sistemi di IA che potrebbero essere utilizzati in modo intrusivo e discriminatorio, quali ad esempio quelli di identificazione biometrica remota “in tempo reale” in luoghi pubblici accessibili al pubblico, oppure quelli utilizzati “a posteriori” senza previa autorizzazione giudiziaria, a meno che non sia strettamente necessario per investigare un reato grave specifico. Verranno inoltre introdotti obblighi per i provider di sistemi di IA generativa e di modelli base dell’IA, tra cui quello alla trasparenza, che prevederà tra le altre cose la messa in chiaro, nell’output finale, che questo è stato generato con l’IA. Tutti temi peraltro approfonditi in questo libro.
Queste nuove norme rappresentano un importante passo avanti nella regolamentazione dell’IA e, in generale, dei nuovi aspetti tecnologici che incidono maggiormente nella nostra quotidianità, con il duplice obiettivo da un lato di proteggere i diritti e la sicurezza delle persone e, dall’altro, di prevenire l’abuso e l’utilizzo scorretto dell’innovazione.
Tuttavia, il carattere transfrontaliero della rete complica la definizione di queste regole, fattore che costringe a una continua ricerca del giusto equilibrio tra l’adozione di regole chiare e la promozione dell’innovazione e della libertà online.
Sono convinto che la sicurezza dell’ambiente digitale nonché un’adeguata educazione all’utilizzo consapevole delle risorse che la rete ci mette a disposizione, debba diventare una priorità nel dibattito pubblico e nelle politiche istituzionali, e questo libro offre una prospettiva approfondita e informata in quella direzione.
Quando mi feci promotore della legge 92/2019 che ha reintrodotto l’educazione civica obbligatoria e curricolare nelle scuole avevamo l’ambizione di aiutare i nostri giovani a crescere come cittadini e non solo come meri consumatori. È qui la differenza sostanziale per rispondere a “cosa possiamo fare con le tecnologie” piuttosto che “cosa possono farci le tecnologie”.