Stazioni di polizia ma non solo. Le tecniche di Pechino cambiano in base al target. Per affrontare la minaccia serve una cultura diffusa della sicurezza nazionale, spiega Antonio Teti, docente di cyber intelligence, cyber security, IT governance e big data all’Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara
Davanti alla minaccia dello spionaggio cinese serve “una nuova forma mentis da parte della popolazione” che abbia come obiettivo “una cultura della sicurezza nazionale”. A spiegarlo a Formiche.net è Antonio Teti, docente di cyber intelligence, cyber security, IT governance e big data all’Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara. Entro il primo trimestre 2024 uscirà il suo volume “China Intelligence. Tecniche, strumenti e metodologie di spionaggio e controspionaggio della Repubblica Popolare Cinese” edito da Rubbettino.
Quali sono le principali attività di spionaggio cinese all’estero?
Le operazioni di spionaggio cinese sono incentrate soprattutto sulla raccolta di informazioni inerenti le tecnologie innovative, la propaganda e la disinformazione. Sono condotte per mezzo dei cittadini cinesi che risiedono all’estero per motivi di lavoro o di studio. Per esempio, gli studenti che si recano all’estero per motivi di studio possono rappresentare uno straordinario strumento di raccolta di informazioni inerenti le tecnologie avanzate, soprattutto se sono inseriti in gruppi di studio e di ricerca nelle università. Sulla base di una indagine condotta negli Stati Uniti, ammonterebbero a più di 35 le università cinesi (in cui sono coinvolti docenti e ricercatori di strutture accademiche) coinvolte in casi di spionaggio estero.
Come opera l’intelligence cinese?
Le metodologie adottate dalle principali agenzie di intelligence cinesi per le attività di “research, acquisition and analysis of information”, ovvero il ministero della Sicurezza di Stato e il ministero della Sicurezza Pubblica, sono condotte sulla base dell’adozione di tre modalità di raccolta: ricerca e acquisizione di informazioni tecnologiche; acquisto di società straniere operanti in settori strategici per mezzo di aziende cinesi controllate dallo Stato; acquisizione di informazioni per la conduzione di attività di condizionamento psicologico e propaganda in paesi stranieri. Va evidenziato che la filosofia di ricerca e raccolta di informazioni condotta da Pechino, è quella della scrupolosa “collezione” di molti piccoli pezzi di conoscenza che assumono un senso unicamente attraverso la loro aggregazione. Si tratta di un processo lento e alle volte anche noioso, ma che riflette le tradizionali caratteristiche cinesi di pazienza e tenacia, nonché la secolare usanza cinese del “guanxi”, ovvero la coltivazione e l’uso di reti personali per influenzare gli eventi e impegnarsi in molteplici iniziative. Oltre alla collaborazione dei cinesi oltre confine, Pechino conduce in maniera consistente attività di reclutamento di agenti e fonti di altre nazionalità, facendo leva soprattutto sulla corresponsione di denaro per la fornitura di informazioni.
Quali sono le principali attività in Italia?
Secondo un rapporto stilato dalla Ong spagnola Safeguard Defenders nel 2022, il governo di Pechino dopo aver creato una rete di ben 102 stazioni di polizia in Paesi diversi, avrebbe condotto un’operazione denominata “Fox Hunt” che aveva l’obiettivo di spiare i dissidenti politici cinesi per costringerli a rientrate in Cina. Gli accordi stipulati con i diversi governi per l’attivazione delle police station prevedevano, in realtà, che le stazioni funzionassero da strutture di supporto dei cittadini cinesi residenti all’estero per il disbrigo di pratiche amministrative diverse, come il rinnovo della patente e del passaporto. L’accordo stipulato con l’Italia risale al 2015, ed è stato siglato all’interno di un accordo bilaterale, tra il governo italiano e il ministero della Pubblica sicurezza cinese. L’accordo prevedeva la creazione di unità di pattugliamento congiunte tra le forze di polizia italiane e cinesi nelle città in cui era registrata una maggiore presenza di cittadini cinesi. Sembra che anche in Svizzera, in funzione di una notizia diffusa nel 2020, la presenza delle stazioni di polizia cinese abbia creato qualche problema. Sempre nel 2015 era stato siglato tra i due governi un “accordo di riammissione” in cui erano definiti degli schemi di rimpatrio di cittadini cinesi presenti nel paese elvetico. L’accordo tra Pechino e Berna, secretato dal governo svizzero, prevedeva l’accettazione della libera circolazione degli agenti del ministero della Pubblica sicurezza cinese all’interno del Paese, e senza alcuna sorveglianza. La Svizzera avrebbe anche accettato di mantenere segreta l’identità degli agenti in visita. A questi ultimi sarebbe altresì consentito di incontrare i cittadini cinesi residenti in Svizzera e di sottoporli a specifici “colloqui”. Altro esempio è quello consumatosi negli Stati Uniti ad aprile scorso. Gli agenti della divisione del controspionaggio dell’Fbi hanno arrestato a New York due cittadini cinesi, Lu Jianwang e Chen Jinping, con l’accusa di aver attivato e gestito illegalmente una stazione di polizia a New York che aveva il compito di condurre attività di propaganda e campagne di disinformazione a danno dei dissidenti cinesi. Sempre secondo l’agenzia federale statunitense, sarebbero Sono stai identificati altri 34 agenti del ministero della Pubblica sicurezza cinese, appartenenti a una cyber task force d’elite, denominata “912 Special Project Working Group” e operante dalla Cina, che avrebbe condotto delle attività di molestie indirizzate contro dissidenti cinesi negli Stati Uniti per mezzo di profili fake presenti su Twitter/X e alcune categorie di troll. Oltre alle attività sopraindicate, il gruppo si occupava anche del reclutamento di simpatizzanti del governo di Pechino da utilizzare come fonti di informazione.
A che cosa sono riconducibili queste differenze?
Più che di differenze parlerei di differenti target. In alcuni Paesi, come per esempio gli Stati Uniti, le attività di spionaggio sono soprattutto incentrate sulla ricerca di informazioni nel campo delle tecnologie innovative nel settore dell’industria e in quello energetico. Un interesse particolare è stato registrato nel settore della produzione di semiconduttori. Naturalmente anche il settore della difesa assume un ruolo rilevante sul piano del reperimento di informazioni. Non vanno dimenticate le operazioni di propaganda e la disinformazione, che rappresentano da sempre delle azioni fondamentali per le strutture di intelligence di Pechino. Sul piano della politica internazionale, diffondere informazioni che possano mettere in risalto l’operato positivo di un governo o il suo ruolo in campo economico o sociale, rappresenta un elemento di indiscusso accrescimento del valore del governo in carica. Allo stesso tempo, criticare o danneggiare con informazioni manipolate un governo straniero “nemico”, può risultare essenziale per la conduzione di specifiche azioni sul piano geopolitico. La grande forza della Cina, sula piano della conduzione di attività di intelligence, risiede non solo nella possibilità di poter disporre di un numero impressionante di persone che per motivi di studio, ricerca, lavoro, si recano all’estero e che possono potenzialmente trasformarsi in “fonti di informazione”, ma anche su quello della norma sull’intelligence nazionale, varata nel 2017, e che consente al governo di Pechino di richiedere ai cittadini cinesi e alle aziende del Paese e residenti all’estero, di collaborare con le strutture di intelligence nazionali.
Come affrontare queste minacce?
È possibile farlo con il potenziamento delle strutture cyber delle agenzie di intelligence nazionali. Personalmente, ritengo sia giunto il momento di “reingegnerizzare” alcune specifiche strutture del comparto cyber delle rispettive strutture di intelligence, soprattutto sul piano dell’incremento dell’organico.
In che modo?
Oggigiorno, e in misura crescente, una parte consistente di attività di spionaggio e controspionaggio vengono condotte all’interno del mondo virtuale. Solo per citare alcune: cyber intelligence, virtual human intelligence, cyber influence, cyber propaganda. Si tratta di tecniche e metodologie in grado di consentire la conduzione di attività finanche proattive, ovvero pensate non solo per contrastare, ma anche per prevenire le operazioni di cyber spionaggio condotte da agenzie di intelligence straniere. Tutto ciò impone necessariamente un incremento esponenziale di personale specializzato per la conduzione di tali attività, poiché il corretto utilizzo delle tecnologie digitali, soprattutto nell’intelligence, obbliga l’impiego di operatori specializzati nell’uso di diverse applicazioni software e di metodologie specifiche che possono variare in funzione del target e della mission.
Per affrontare queste minacce è importante anche il coinvolgimento dell’intera società?
Ovviamente. I continui e frenetici eventi geopolitici che si susseguono a livello planetario, sono in grado di produrre persino imprevedibili modificazioni sul piano degli accordi e delle collaborazioni tra i diversi paesi. L’intelligence non è più un’attività di esclusivo interesse dei servizi segreti, così come è stata concepita dalla politica e dall’immaginario collettivo per diversi decenni. Il lavoro svolto dalle agenzie di intelligence, seppur straordinario e ben condotto, non è più sufficiente a garantire la totale sicurezza nazionale e soprattutto il contrasto ai pericoli crescenti che si annidano in settori sempre più complessi da gestire, come quello dell’economia, dell’industria, del commercio e della tutela degli interessi nazionali, senza escludere, e non ultimo per importanza, la stessa stabilità politica di una nazione. È indispensabile l’adozione di una nuova forma mentis da parte della popolazione, finalizzata all’acquisizione di una cultura della sicurezza nazionale, unica strada in grado di garantire la tutela di quegli interessi nazionali che possano assicurare una forma di benessere sociale alle future generazioni.