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Dati e processi di comunicazione che nella crisi mediorientale non vedremo

Di Michele Zizza

L’abilità di contraffare un contenuto digitale è sempre più diffusa e le tecnologie a disposizione aiutano a simulare fatti, identità e competenze. Nella crisi mediorientale, inoltre, non disporremo di molti metadati e flussi e tutto sarà ancora più complesso sia a livello di intelligence che a livello di studio dei processi. L’intervento di Michele Zizza, docente di Culture Digitali all’Università della Tuscia

Mano destra arma, mano sinistra smartphone; esattamente come accadeva nella recente crisi russo-ucraina, o, ancor prima, con l’Isis in Iraq e Siria: questo l’identikit del combattente delle nuove forme di conflitto ibrido che caratterizzeranno i prossimi anni.

Se negli anni ‘20 del secolo scorso i teleoperatori seguivano le truppe al fronte per documentare i conflitti e alimentare la propaganda, nella società ibrida e delle piattaforme, chi combatte diventa parte attiva delle operazioni militari sul campo quanto dello scontro informativo e propagandistico. Un paradigma che riguarda in particolare gli eserciti irregolari, per cui auto-narrazioni online e contribuzione di contenuti multimediali assumono un ruolo determinante. La crisi in Medio Oriente ci offre nuovi spunti da approfondire ma anche consolidate dinamiche di comunicazione che si ripresentano nei conflitti 4.0. Vi sono aspetti specifici, per quel che concerne la comunicazione, in ogni conflitto o evento straordinario. Tali aspetti possono essere caratteristici dell’evento in sé o costituire una prima manifestazione che diventerà, poi, una pratica che ritroveremo in altri eventi.

Guardando al Medio Oriente e sviluppando una comparazione col recente scenario russo-ucraino, non possiamo non tenere conto della crescente balcanizzazione digitale (splinternet) prima di sperimentare qualsiasi analisi dei processi mediali e delle disponibilità tecnologiche, nella società globalizzata e iperconnessa, che rappresentano indubbiamente un ruolo importante nel quadro della crisi attualmente in atto in termini di evoluzione e di possibili esiti.

Nel rapporto “Freedom on the Net 2022” le aree critiche di Europa Orientale e Medio Oriente (salvo Israele per l’area mediorientale), presentano in molti casi la ricorrenza di eventi/condizioni analoghe relativamente a:

  • Arresto di internet;
  • Blocco di siti web stranieri;
  • Blocco delle piattaforme di social media;
  • Adozione di nuove leggi che limitano siti web e contenuti stranieri;
  • Restrizioni sull’uso di tecnologie di elusione (Vpn).

Questa comparazione si integra in uno studio più ampio che valuta anche le infrastrutture, gli strumenti, le competenze e i frame socioculturali necessari a prevenire o affrontare potenziali rischi di insurrezione, attacchi o ingerenze da parte di attori contendenti, nonché a osservare lo sviluppo di specifiche comunità.

Ulteriori riflessioni devono essere riservate alla disponibilità di dati necessari a ricostruire una documentazione reportistica attendibile: qui, purtroppo, emergono le maggiori criticità legate al reperimento dei dati, soprattutto nell’area mediorientale. Qualsiasi operazione di data scraping, infatti, incontra il suo limite nell’accessibilità ai soli dati da sorgenti aperte (open source): questo perché i possessori dei server sono quasi esclusivamente cinesi (Tik ToK – We Chat) e russi (Telegram). Guardando al rapporto “Statcounter 2023” sul territorio palestinese, ad esempio, ci accorgiamo dell’assenza di analitiche relative a queste piattaforme: vengono invece citate e considerate solo quelle dei gruppi Meta e Google, che mettono a disposizione i tabulati per promuovere le analisi. Ovviamente, su queste piattaforme occidentali, le policies rigide non consentono la divulgazione di contenuti a sfondo violento, cosa che non accade su Telegram o Tik Tok. Tali contenuti, particolarmente significativi seppur cruenti, costituiscono un importante tassello nella ricostruzione del panorama mediale sul conflitto: la comunicazione che non vedremo e che la Nato, attraverso lo StratCom Center, questa volta non ci offrirà grazie a una lettura affidabile basata sui dati.

Certo, vedremo la narrazione dei legacy media e delle agenzie internazionali, veicolata attraverso innumerevoli canali informativi; una “selezione” delle dirette testimonianze dei protagonisti coinvolti nella crisi mediorientale; le immagini satellitari; i contenuti digitali visivi (foto e video) che proliferano in rete, impermeabili ad ogni processo di validazione o verifica delle fonti. Non potremo, tuttavia, accedere alla totalità e complessità del materiale informativo necessario alla definizione di un quadro serio e approfondito sulle strategie e la quantità di attività promossa prima, durante e dopo la crisi.

Questa consapevolezza apre a una riflessione sugli attori indirettamente coinvolti nel conflitto. Coloro, infatti, che garantiscono la comunicazione e ne detengono gli “archivi”, contribuiscono al processo di crisi in atto e dovrebbero, dunque, fornire i file per studiare le attività di proselitismo, di strategia e la costruzione di indagini di diritto internazionale, ad esempio. Vi sarà sicuramente un lavoro di open source intelligence ma sarà molto limitato perché sarà complesso definire le reti e le responsabilità.

Anche in relazione a questa consapevolezza è opportuno ricordare a tutti coloro che rincorrono la verità assoluta su ogni singolo episodio, ad esempio il razzo sull’ospedale di Gaza, che non è il momento di esprimere giudizi e opinioni ma è tempo, almeno per gli analisti, di raccogliere dati e informazioni utili a costruire tesi inconfutabili. Ebbene ricordare, a tal proposito, che sono passati 10 anni prima che Colin Powell riconoscesse le fake news che portarono all’invasione dell’Iraq e all’inizio di Desert Storm, mentre sul fronte russo ancora stiamo approfondendo e classificando, a livello internazionale, le attività di disinformazione prodotte dal Cremlino durante la pandemia da Covid-19.

Lo abbiamo ripetuto più volte: le fonti sono tante, i dispositivi di acquisizione (unità di input) sono sempre di più e a questi si associa una produzione esponenziale di dati; l’abilità di contraffare un contenuto digitale è sempre più diffusa e le tecnologie a disposizione aiutano a simulare fatti, identità e competenze. Nella circostanza della crisi mediorientale, inoltre, non disporremo di molti metadati e flussi e tutto sarà ancora più complesso sia a livello di intelligence che a livello di studio dei processi.


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