Il sultano è alla ricerca di un certo equilibrio, proprio come ha fatto tra Ucraina e Russia. Il direttore dell’ufficio di Ankara del German Marshall Fund spiega: “Né Israele né Hamas si fidano pienamente della Turchia. Ma chi altro c’è?”. Attenzione al confine egiziano della Striscia di Gaza, avverte
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è da anni considerato il “re di Gaza” per non aver mai fatto mancare il proprio sostegno ai 2 milioni di palestinesi in 16 anni di embargo. Ma qualcosa è cambiato negli ultimi tempi. Come tra Ucraina e Russia, la Turchia “è senza dubbio a favore dei palestinesi, ma non è nemmeno apertamente contro Israele”. A fare il paragone, al telefono con Formiche.net, è Özgür Ünlühisarcıklı, direttore dell’ufficio di Ankara del German Marshall Fund. “Si tratta, ovviamente, di un cambiamento notevole rispetto alla precedente posizione della Turchia”, continua. Prima del processo di normalizzazione siglato un anno fa con il ritorno degli ambasciatori legato a “interessi reciproci” come la cooperazione in ambito energetico, “la Turchia era a favore della Palestina e apertamente contro Israele. Ma questa non è più la posizione. Quindi in questo conflitto sta cercando un equilibrio simile a quello sull’Ucraina”, aggiunge.
E così, il primo commento di Erdogan, che pochi giorni prima del conflitto esploso in Medio Oriente aveva annunciato una prossima visita del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu in Turchia, è stato un appello alla moderazione e alla soluzione dei due Stati con la “necessaria” fondazione di uno Stato palestinese. I due leader hanno avuto un breve faccia a faccia lo scorso settembre a New York, in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, per tentare di superare le antiche divergenze e diffidenze. I rapporti tra i due sono “molto, molto negativi”, osserva Ünlühisarcıklı. “Ma naturalmente, da un punto di vista più pragmatico, potrebbero anche accettarsi a vicenda. Non saranno mai amici, non sarà mai per Erdogan una relazione come quella con il presidente russo Vladimir Putin, ma possono capirsi e adattarsi l’un l’altro”, aggiunge.
Molto del futuro delle relazioni tra Israele e Turchia dipenderà, prosegue l’esperto, “da come Israele deciderà di rispondere. Finora, le risposte israeliane da un lato sono state massicce quando si tratta di Gaza, ma moderate quando si tratta di altre situazioni come il Libano. Ma con ogni probabilità Hamas cercherà di diffondere la violenza anche in Cisgiordania. E in quel caso Jihad islamica e Hezbollah potrebbero unirsi scatenando una reazione di Israele nei confronti del Libano con il rischio di un conflitto regionale”, spiega.
E come per la guerra in Ucraina, la Turchia vuole ritagliarsi un ruolo nella mediazione. “Può farlo quando sia Israele sia Hamas decideranno che è nel loro interesse porre fine alla violenza”, commenta Ünlühisarcıklı. “Certo, né Israele né Hamas si fidano pienamente della Turchia. Ma chi altro c’è? Voglio dire, non ci sono troppi Paesi là fuori che godano della fiducia di Hamas e di Israele”, aggiunge.
Un ruolo importante potrebbe averlo Hakan Fidan, ministro degli Esteri e per anni numero uno dei servizi segreti di Ankara, un fedelissimo di Erdogan. Dopo l’esplosione del conflitto si è immediatamente messo in moto: già nelle prime ore dopo l’attacco di Hamas aveva parlato con i colleghi di Stati Uniti, Qatar, Arabia Saudita ed Egitto ma anche Autorità nazionale palestinese e Iran, Paese che più di tutti sostiene apertamente l’offensiva di Hamas. Ieri ha sentito l’omologo italiano Antonio Tajani, che oggi sarà in Egitto. Visto anche il suo trascorso, Fidan “può” avere un ruolo importante. Ma “Israele ha avuto problemi” lui in passato, visto che quando era a capo dell’intelligence è stato creato un quartier generale di Hamas in Turchia con Saleh al-Arouri, il numero due di quella che per gli Stati Uniti e l’Unione europea è un’organizzazione terroristica. Questo precedente “potrebbe essere una spina nel fianco”, osserva Ünlühisarcıklı.
L’esperto si sofferma infine sul blocco di Gaza deciso da Israele, che ha annunciato l’interruzione delle forniture di elettricità, cibo e benzina. Israele potrebbe chiedere all’Egitto di fare lo stesso. Ma “penso che il popolo egiziano non ne sarebbe entusiasta. Potremmo così assistere a una certa instabilità in Egitto. Inoltre, questo causerà pressioni anche sull’Arabia Saudita e sugli Emirati Arabi Uniti”, conclude.