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Prima di parlare di fair share, facciamo il punto su Internet. Scrive Rovizzi (Open Gate Italia)

Di Laura Rovizzi

Senza l’accettazione che l’ecosistema di Internet è un’unica industria, non possiamo avere un dibattito costruttivo sulla fair share o tax. L’intervento di Laura Rovizzi, amministratore delegato di Open Gate Italia

Il dibattito sul cosiddetto fair share, svoltosi negli ultimi 18 mesi tra i vari attori dell’economia digitale, ha catturato l’attenzione degli economisti industriali e degli esperti di regolamentazione. Tuttavia, dovrebbe essere la principale preoccupazione di coloro che hanno il compito di delineare la politica industriale nel settore delle reti digitali dei paesi occidentali, soprattutto in Europa.

Il problema è stato presentato come uno scontro circoscritto sulla suddivisione dei ricavi tra i giganti delle piattaforme digitali globali e gli operatori telefonici locali, responsabili di fornire infrastrutture e connettività ultra-larga ai cittadini e alle imprese.

Ma questa è solo una visione superficiale.

Il vero problema risiede nel “disegno” e nel destino dell’intero ecosistema digitale. Questa necessità di cambiamento giunge in un’era di rapida evoluzione tecnologica (la digitalizzazione delle stesse reti di telecomunicazioni digitali e l’ascesa sempre più significativa dell’intelligenza artificiale predittiva e generativa nella gestione dei dati). Allo stesso tempo, interventi regolamentari, hanno plasmato in modo esogeno lo sviluppo autonomo del mercato. La decisione della Commissione federale per le comunicazioni (Fcc) che, nel 2015, durante la presidenza Obama, ha sancito la cosiddetta neutralità tecnologica di Internet, ha stabilito per la prima volta per l’industria regole che vietano (nonostante la progressiva evoluzione tecnologica) di controllare, analizzare o gestire il traffico da parte dei gestori delle reti.

Questa scelta, seguita e mai abbandonata anche dal regolatore europeo, ha incentivato lo sviluppo esponenziale delle piattaforme di servizi a livello globale e, sebbene l’amministrazione Trump l’abbia poi sospesa nel 2017, dal 19 ottobre scorso la net neutrality è di nuovo sul tavolo dalla Fcc (vedi tabella).

Questo intervento regolamentare ha segnato la crescita e la struttura del mercato dei servizi digitali, e ha contribuito a definire gli equilibri e la catena del valore. La vera domanda ora è come renderla compatibile con la strategia digitale dell’Unione europea per il 2030. L’Europa mira a connessioni superiori a un giga per tutti i cittadini e imprese, ma anche al 75% di aziende europee che utilizzano cloud, Intelligenza artificiale e big data. Reti e servizi devono progredire di pari passo per garantire lo sviluppo digitale.

Tutte le aziende coinvolte in questo dibattito fanno parte dello stesso ecosistema. Tuttavia, finora, il confronto è stato ridotto a una lotta di breve termine per mantenere, in ciascun settore, una fetta di valore, a scapito degli altri, compresi i consumatori finali.

Dato che l’Unione europea intende mantenere la neutralità della rete, è necessario un approccio sistemico che tenga conto degli obiettivi. L’iniziativa di Thierry Breton, commissario al Mercato interno, consentirà di farlo contestualizzandolo nel nuovo Digital Networks Act ridefinendo così la regolamentazione delle reti digitali dell’Unione europea.

Finora hanno pesato differenze e scelte, anche geopolitiche, sulle due sponde dell’Atlantico (ruolo e uso delle piattaforme, crescente esigenza di sicurezza sia sulle reti che servizi pubblici) hanno influito e continueranno e influire. Tuttavia, la crescita digitale dell’Europa, con la sua integrazione di standard e sistemi, è un bene comune strategico. Un’industria digitale e delle comunicazioni più forte e sicura è una forza di sistema contro minacce esterne commerciali e geostrategiche.

È evidente però, almeno agli addetti ai lavori, che all’attuale tasso di investimento, a meno che non ci sia un cambiamento radicale nel quadro regolamentare, l’Europa non raggiungerà gli obiettivi del Decennio Digitale. Occorre una nuova prospettiva. Il vecchio quadro del 1998, quando il problema erano pochi grandi operatori monopolisti, deve coinvolgere oggi tutti gli attori della catena del valore. Senza l’accettazione che l’ecosistema di Internet è un’unica industria, non possiamo avere un dibattito costruttivo sulla fair share o tax.

Il 24 ottobre a León, in Spagna, i ministri dell’Unione europea hanno discusso del futuro delle telecomunicazioni. Il governo italiano ha proposto un approccio sinergico tra tutti gli operatori del mercato per accelerare lo sviluppo delle nuove reti digitali fisse e mobili. La Commissione probabilmente pubblicherà un libro bianco nel 2024, ma i tempi non saranno brevi, il che è un problema per garantire gli investimenti necessari.

In attesa di un nuovo quadro regolamentare, esistono strumenti già disponibili per indirizzare il finanziamento delle reti, specialmente nelle aree meno remunerative o a fallimento di mercato, senza continuare a fare affidamento solo sull’investimento pubblico.

Per esempio, la ridefinizione del Fondo per il servizio universale: è fondamentale coinvolgere tutti gli attori dell’ecosistema digitale focalizzandosi sulle aree critiche specifiche di ciascun Paese (in termini di necessità di investimento in infrastrutture Bul).

In attesa del nuovo Digital Networks Act non c’è bisogno di tavoli e comitati per agire, solo di volontà politica.

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