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Aprire una (nuova) faglia nel governo non conviene. Tre indizi per il giallo Giambruno

Se il clima all’interno della maggioranza non si rasserena, con una manovra ancora tutta da mettere in sicurezza, l’affaire Giambruno potrebbe produrre a stretto giro la sua prima vittima eccellente: il governo stesso

Dice un adagio attribuito ad Agatha Christie: “Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova”. In effetti, a guardare gli sviluppi delle ultime ore, l’affaire Giambruno sta assumendo i contorni del giallo.

Giorgia Meloni è irrequieta, non riesce a darsi pace per quanto è accaduto. Impossibile che nessuno dentro Mediaset sapesse quello che Antonio Ricci stava per tirare fuori dal cilindro. Ma Mediaset vuol dire Berlusconi, e Berlusconi vuol dire Forza Italia: ergo – conclude l’equazione meloniana – il mandante dell’operazione Striscia è politico. C’è qualcuno che vuole colpirla, ne è certa. E il Bruto della situazione è quoque il partito contro cui la premier ha scelto di non infierire all’indomani della scomparsa del Cavaliere. Bel ringraziamento.

A nulla sono valse le rassicurazioni di Antonio Tajani. Ancor meno le parole di stima nei confronti del suo operato espressi da Marina Berlusconi nell’ultima fatica letteraria dell’instancabile Bruno Vespa (che chissà dove li trova, quei “cinque minuti” per scrivere).

Tre indizi fanno una prova, dunque. E proprio tre sono gli indizi che portano a credere come, dalle parti di via della Scrofa, i sospetti si concentrino su Forza Italia. Procediamo in ordine cronologico. Uno: lunedì mattina, a tre ore dal consiglio dei ministri, il decreto con cui il forzista Pichetto intende prorogare il regime tutelato nel mercato energetico sparisce all’improvviso dall’ordine del giorno. Cosa è successo? È successo che il meloniano Fitto si è messo di traverso perché – dopo mesi di estenuanti trattative con Bruxelles – non vuole rischiare di aprire nuovi contenziosi con la Commissione europea. Ma un indizio è solo un indizio.

Due: lunedì pomeriggio Palazzo Chigi fa trapelare alle agenzie di stampa “l’irritazione” della premier per la nomina di Giuliano Amato alla guida del comitato sull’intelligenza artificiale decisa – si badi – cinque giorni prima. Da chi? Da Alberto Barachini, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’Editoria ma soprattutto giornalista di lungo corso nelle reti del Biscione nonché uomo di fiducia della famiglia Berlusconi. Appreso dell’ira funesta della premier, Barachini ha preso in fretta e furia il telefono e – cospargendosi il capo di cenere – ha chiesto umilmente perdono per il “disguido comunicativo”. Ma due indizi sono una coincidenza.

Tre: lunedì sera, Meloni convoca a sorpresa a Palazzo Chigi un vertice di maggioranza sulla giustizia. Vuole sapere come procede il cronoprogramma, e che si dice di bello sulla prescrizione tanto cara a Forza Italia, che infatti sogna di tornare ai fasti della legge Cirielli. Risultato: tutto congelato fino a quando non si trova un compromesso tra i partiti di maggioranza. Compromesso alla fine raggiunto, ma nel frattempo il segnale è stato lanciato, forte e chiaro: non scherzate col fuoco. Tre indizi fanno una prova.

Attenzione però, perché quest’aria di reciproco sospetto e ventilata rappresaglia rischia di aprire un nuovo fronte all’interno della maggioranza, come se già non bastasse quello (sempre aperto) tra la leader di Fratelli d’Italia e Matteo Salvini il quale – guarda caso – mercoledì mattina era l’unico ministro assente durante le comunicazioni della premier al Senato in vista del Consiglio europeo: era a Genova per l’assemblea dell’Anci, si dirà. Anche Meloni era attesa su quel palco il giorno prima – si obietterà per tutta risposta – eppure ha preferito mandare un videomessaggio.

Aprire una nuova faglia nel governo – con una manovra ancora tutta da mettere in sicurezza, peraltro – rischia seriamente di compromettere la navigazione dell’esecutivo e interrompere il percorso delle riforme che il centrodestra sta con grande fatica cercando di far decollare, dal fisco alla giustizia passando per l’autonomia differenziata e il premierato. “La maggioranza è compatta, fatevene una ragione”, dice Giorgia Meloni rivolgendosi verso i banchi delle opposizioni di Palazzo Madama. Sarà. Ma se il clima all’interno della maggioranza non si rasserena, l’affaire Giambruno potrebbe produrre a stretto giro la sua prima vittima eccellente: il governo stesso. Citando i Dieci piccoli indiani di Agatha Christie, a quel punto si direbbe: “E poi non rimase nessuno”.



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