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Boom delle ricerche accademiche Italia-Cina. I rischi secondo Merics

Un rapporto del centro studi tedesco rivela che dal 2013 al 2022 sono aumentate del 258% le pubblicazioni tra esperti dei due Paesi. Queste collaborazioni sono sempre più criticate per via dei legami con le Forze armate di Pechino. Le contromisure? Serve uno sforzo Ue

Governi, finanziatori e media stanno facendo sempre più pressione sugli istituti ricerca europei affinché riconsiderino e recidano i loro legami con i partner cinesi nei settori dell’alta tecnologia. Da una parte c’è il rischio di perdere know-how a favore della Cina, della sua strategia di fusione civile-militare per modernizzare la propria difesa e dei suoi sforzi per potenziare l’apparato di sorveglianza. Dall’altra c’è il pericolo di limitare la libertà accademica e la ricerca. È il dilemma, ormai classico, delle società aperte nel mondo attuale applicato. Basti pensare al fatto che la China Initiative, lanciata dal dipartimento della Giustizia nel 2018 durante l’amministrazione di Donald Trump, è stata chiusa dal presidente Joe Biden all’inizio dell’anno scorso dopo fallimenti legali, accuse di maccartismo e timori per l’innovazione.

Ma a maggio dell’anno scorso un’indagine Irpi Media aveva individuato 2994 studi condotti in partnership tra università cinesi ed europee, portati avanti assieme a scienziati e istituzioni direttamente legate all’Esercito popolare di liberazione cinese. La ricerca si era basata su oltre 350.000 studi scientifici concludendo che la cifra di quelli che sviluppano tecnologie con scienziati legati ai militari di Pechino “è probabilmente più alta, dato che non è stato possibile determinare con certezza se alcune delle istituzioni cinesi in analisi siano o meno legate alle forze armate”.

Tuttavia, “tracciare rigide linee invalicabili intorno a interi campi della scienza può anche sacrificare le opportunità”, avverte un rapporto del centro studi tedesco Merics.

Le ricercatrici (Rebecca Arcesati, Francesca Ghiretti e Sylvia Schwaag Serger) hanno evidenziato, tramite i dati dello strumento di ricerca SciVal, che tra il 2013 e il 2022 sono aumentate le co-pubblicazioni tra la Cina e i suoi maggiori partner di cooperazione europei: Regno Unito, Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi, Svezia, Spagna, Svizzera, Danimarca e Belgio. Tra questi, le co-pubblicazioni sono cresciute meno in Francia (del 133%) e più in Italia (del 258%). La Germania è stata il principale partner della Cina nell’Unione europea con 86.000 pubblicazioni congiunte, seguita da Francia (54.000), Italia (36.000) e Paesi Bassi (32.000).

Ciò suggerisce che le recenti tensioni geopolitiche e la rivalità tecnologica potrebbero aver influito sui legami di ricerca tra Stati Uniti e Cina, ma non ancora tra Cina ed Europa. Infatti, tra il 2020 e il 2022, le co-pubblicazioni statunitensi con la Cina sono diminuite di quasi il 7%, mentre hanno continuato ad aumentare per tutti i Paesi dell’Unione europea (a eccezione di Bulgaria e Lituania) e per Norvegia, Svizzera e Regno Unito. Tuttavia, tra il 2013 e il 2022, gli Stati Uniti sono stati il primo partner della Cina, con oltre 520.000 pubblicazioni congiunte, seguiti dal Regno Unito con circa 150.000.

Alcuni Paesi hanno messo in cambio uno o più strumenti: linee guida, screening degli investimenti in entrata, controlli sulle esportazioni, screening del personale per le aree tecnologiche ad alto rischio, struttura di consulenza. L’Italia si limita allo screening degli investimenti in entrata.

Citando il caso tedesco, le esperte scrivono: “I governi devono accettare che la collaborazione con la Cina non può essere priva di rischi, mentre gli scienziati devono accettare che le collaborazioni di ricerca non avvengono nel vuoto e giustificano un intervento governativo proporzionato”. Come agire? “L’apertura della comunità scientifica europea significa che un’adozione disomogenea delle politiche può ostacolarne l’efficacia, semplicemente dirottando i rischi – o le opportunità – verso un altro Paese e le sue istituzioni di ricerca. Una gestione efficace dei rischi nella collaborazione di ricerca con la Cina richiederà un coordinamento, non solo tra i Paesi dell’Unione europea, ma anche con il Regno Unito e altri alleati”.

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