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Fragilità della Nadef e come scongiurare i rischi. Il commento di Guerrieri

Di Paolo Guerrieri

I rischi sono che il debito torni a salire e l’economia a ristagnare. Per scongiurarli, è necessario cambiare strategia ritornando a una gestione prudente della finanza pubblica e rafforzando le politiche per il rilancio della crescita, a partire dagli investimenti e riforme del Pnrr. Il commento di Paolo Guerrieri, Psia, SciencesPo

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Era noto da tempo che la manovra formata dalla Nadef e, a seguire, dalla legge di Bilancio sarebbe stata quest’anno tutt’altro che facile. Sia per le scarsissime risorse a disposizione che per le difficoltà da fronteggiare a livello internazionale, con un netto rallentamento in corso dell’area Euro, un’inflazione troppo lenta nella sua discesa e tassi di interesse destinati a rimanere elevati per buona parte del prossimo anno. Ancora più preoccupanti, per alcuni aspetti, le previsioni per la nostra economia, in vistoso rallentamento quest’anno (0,8%) e destinata a tornare nel prossimo biennio all’anemica crescita degli anni pre-pandemia secondo la maggioranza degli analisti e osservatori. Dimostrando, così, l’inconsistenza di quell’ipotizzato miracolo economico italiano dello scorso biennio 2021-2022, che era stato sbandierato da molti ma era figlio in realtà di misure pubbliche di sostegno davvero generose e disegnate in alcuni casi al di là di qualsiasi razionalità, quali il famoso superbonus del 110%. Ebbene di fronte a simili scenari e a mercati finanziari già nervosi da mesi circa la nostra capacità di tenuta dei conti pubblici, l’obiettivo primario della Nadef avrebbe dovuto essere, da un lato, dare segnali concreti circa la sostenibilità del nostro debito pubblico, e, dall’altro, rinnovare proposte e iniziative per il rilancio della crescita della nostra economia.

I rischi di ristagno e debito in salita

Ma non è questa la strada scelta dal governo, che ha deciso di ricavarsi nuovi spazi di spesa aumentando il deficit pubblico di mezzo punto all’anno nei prossimi tre anni (2024-2026) e, soprattutto, rinviando il processo di rientro dall’enorme stock di debito pubblico a dopo il 2026. Il rapporto debito su Pil rimarrà di fatto bloccato intorno al 140% nei prossimi tre anni, con una riduzione di appena lo 0,6 per cento da qui al 2026, mentre nel Def pubblicato ad aprile era stata prevista una seppur modesta riduzione dell’1,7 per cento. Anche questa stabilizzazione del debito pubblico, tuttavia, è subordinata nella Nadef a una previsione di crescita reale davvero generosa dell’1,2 per cento nel 2024, rispetto a previsioni assai più caute dello 0,8 % del Fmi e della Commissione fino allo 0,4 % di altri Istituti come Prometeia. Certo nulla si può escludere in questa fase di massima incertezza negli andamenti delle maggiori economie. Ma se avranno ragione tutti gli altri e non le previsioni del governo, il mezzo punto di Pil in meno il prossimo anno comporterà un pesante aggiustamento e, quel che è più grave, un aumento del rapporto debito su Pil.

I fragili equilibri della Nadef e il rilancio della crescita

Sono fragili, dunque, gli equilibri su cui poggia la Nadef e vi è un elevato rischio che saltino. Tanto più che già dal prossimo anno rischia di finire l’attuale fase favorevole caratterizzata da un tasso di crescita del Pil nominale superiore al costo del debito e che in assenza di nuovo debito consente di ridurre automaticamente il rapporto debito su PIL. Non deve pertanto sorprendere che di fronte a tutto ciò i mercati finanziari abbiano reagito spingendo il rendimento del Btp a 10 anni sopra il 5 per cento e lo spread fra il Btp e il Bund tedesco verso i 200 punti, dopo gli aumenti degli ultimi mesi. Un livello, quest’ultimo, che è il più alto di tutta l’area Euro, superiore non solo a quelli di Francia e Spagna ma più di mezzo punto al di sopra di quello dei titoli greci. Sul piano finanziario siamo dunque visti come l’anello debole dell’area Euro. Ma queste difficoltà da fronteggiare a breve non vanno lette come una inevitabile condanna della nostra economia ad una nuova stagione di stagnazione. La chiave di volta rimane la crescita e il suo rilancio. Che è la condizione fondamentale non solo per garantire maggiore prosperità nel nostro paese dopo decenni di ristagno ma anche per abbassare il rapporto debito su Pil attraverso l’aumento del denominatore.

Di nuovo la minaccia di un elevato debito e bassa crescita

Certo non si tratta di una sfida nuova visto che sarà necessario spezzare quel circolo vizioso tra elevato debito e bassa crescita che è alla base del nostro declino negli ultimi due decenni e che rischia nei prossimi anni di stringere nuovamente la nostra economia in una morsa inesorabile. È un obiettivo che dovrebbe costituire un’assoluta priorità dell’attuale Governo che rivendica a giusto titolo di avere un orizzonte temporale che copre l’intera attuale legislatura. Ma è un obiettivo ambizioso che richiederebbe un disegno di politica economica complessivo, fatto di un mix di interventi a breve e medio termine, e di un pilastro centrale rappresentato dalle risorse e misure del Pnrr. E qui va osservato che seppur il rilancio della crescita non si esaurisca certo nell’attuazione del Pnrr, la buona riuscita di quest’ultimo rappresenta a questo punto la leva fondamentale per far aumentare il PIL al di là delle anemiche dinamiche del passato. Ed è la stessa Nadef a confermarlo incorporando nelle sue previsioni sulla crescita futura il rispetto delle scadenze e l’implementazione del Pnrr. Ma non sta andando così, purtroppo.

Ritardi e rinvii del Pnrr

Sul rispetto degli investimenti e delle riforme del Pnrr si addensano in realtà dubbi e incertezze crescenti. Riguardo agli investimenti che erano previsti nei primi due anni del programma la loro attivazione è stata davvero modesta. E anche per quest’anno e il prossimo le stime di spesa sono state riviste al ribasso. Il grosso delle spese finirà così per essere rinviato agli ultimi due anni del programma, 2025 e 2026, che a questo punto verranno caricati di impegni oltremodo gravosi. Ancor più preoccupante è il piano di riforme legate al Pnrr. Molte di esse a carattere strutturale sono state ridimensionate e/o di fatto accantonate, come quelle in tema di promozione della concorrenza e rafforzamento della lotta all’evasione fiscale. In molti casi si tratta di riforme disegnate per migliorare il contesto produttivo e accrescere la modestissima dinamica della nostra produttività, che è risultata nettamente inferiore a quella degli altri maggiori Paesi europei negli ultimi due decenni. Rinviare ancora una volta queste misure di riforma sarebbe un grave errore: anche la storica incapacità del nostro paese di spendere i fondi in conto capitale deriva da inefficienze e strozzature che alcune delle misure nell’agenda del Pnrr si prefiggono di correggere. Volendo riassumere, in vista della legge di bilancio da approvare entro fine dicembre ci sarebbe ancora tempo per una correzione di rotta. Si tratta di modificare l’attuale posizione di fragilità della nostra economia, che fronteggia i rischi di un debito che sale e di un rinnovato ristagno. È una condizione di vulnerabilità che va riconosciuto ci esporrebbe a seri problemi se il contesto internazionale ed europeo dovesse peggiorare e sperimentare – come temono molti – nuove turbolenze.



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