Il Quirinale “aiuta” le due rivali. Entrambe sono sostenitrici di una linea chiara su Ucraina e Medio Oriente, basata sul sostegno alle democrazie, soprattutto quando sono aggredite dai nuovi aspiranti dominatori
Non era eccessivo il grido d’allarme lanciato giorni fa da Sergio Mattarella sul pericolo di rivivere la tragedia di una guerra mondiale, in una forma forse ancora più devastante di quella scatenata dalla Germania nazista nel 1939. Il Presidente della Repubblica ha espresso il timore che l’Europa e l’Occidente in genere riducano il loro sostegno (politico e militare) alla causa dell’Ucraina invasa dalla Russia e, di conseguenza, agevolino le mire imperiali dello zar moscovita. Se le democrazie euro-atlantiche lasceranno il governo di Kyiv al suo destino, è il senso dell’appello di Mattarella, anche le loro libertà e i loro territori rischieranno di subire limitazioni e incursioni da parte di Stati autocratici come il regime putiniano.
Purtroppo, lascia intendere il Capo dello Stato, più passa il tempo, più si tende a dimenticare la lezione degli anni Trenta, quando l’Europa democratica sottovalutò i progetti espansionistici di Adolf Hitler (1889-1945), pensando di placarne le pretese concedendo e cedendo al dittatore tedesco più di un lembo delle terre su cui egli aveva posato gli occhi e puntato le armi. Ma siccome la fame di conquiste da parte del tiranno germanico era più incontenibile di un assalto di tigri insaziabili, la conseguenza naturale fu lo scoppio della più sanguinosa guerra mai combattuta tra gli uomini. Morale, oggi come ieri: le democrazie, le società aperte non possono e non debbono mai distrarsi, pena la difficoltà, se non l’impossibilità, a difendersi dagli agguati esterni organizzati da aggressori sempre a caccia di nuove prede.
Eppure, non è nemmeno detto che la vigilanza militarmente attiva da parte degli ordinamenti democratici costituisca una sufficiente garanzia per schivare i raid dei nemici vecchi e nuovi. Lo dimostra il micidiale, inatteso attacco subìto da Israele e portato a compimento dagli estremisti palestinesi di Hamas. Chissà quale fatto nuovo abbia spinto l’ala più dura della Palestina a interrompere una tregua (più o meno armata) che pareva destinata a protrarsi nel tempo in attesa, si vaticinava, di una svolta suscettibile di irrobustire i tentativi di distensione pacifica nell’intero Medio Oriente. Una svolta? Sì, forse era nell’aria. Forse gli ultrà di Hamas hanno voluto sabotare il dialogo avviato da tempo tra Israele e Arabia Saudita, dialogo che dovrebbe approdare, nel prossimo anno, alla sottoscrizione di un accordo storico tra Tel Aviv e Riad.
L’Arabia Saudita non è un Paese qualsiasi, ma è di gran lunga il Paese musulmano più ricco che ci sia. Basti pensare che l’Egitto dipende economicamente dai sauditi in lungo e in largo, come accade solo per le colonie. Il Fondo sovrano di Riad è stracarico di miliardi di petrodollari, che l’uomo forte attualmente in carica, bin Salman, avrebbe persino problemi a quantificare. Ma, forse, non è tanto l’incalcolabile “roba” amministrata da bin Salman ad allarmare gli alfieri della conflittualità permanente tra arabi e israeliani, quanto la possibile, probabile futura normalizzazione dei rapporti tra la nazione islamica più integralistica e lo Stato-avanguardia dell’Occidente democratico nell’area storicamente più contesa del pianeta. L’Arabia Saudita, ragionano in molti, è un faro sotto molteplici punti di vista, a cominciare dall’elemento religioso. Traduzione: se anche lei si dovesse convertire all’idea di una durevole convivenza irenica con il governo israeliano, per i terroristi e i rivendicazionisti mai domi sarebbe la fine di ogni sogno di gloria. Di qui forse il loro tentativo di mettere benzina sul percorso delle trattative sotterranee tra Israele e Arabia Saudita. O la va o la spacca.
E comunque, si rafforza sempre la sensazione che le democrazie si trovino sempre di più sotto tiro e che il numero degli Stati liberi si stia inesorabilmente riducendo. Non solo. Sta crescendo la disaffezione verso il sostegno militare a beneficio di chi, come l’Ucraina, sta resistendo in nome della libertà e dell’indipendenza, per sé e anche per gli altri. Non c’è coalizione di governo e di opposizione, in Italia e negli altri Stati europei, in cui maggioranza e minoranza siano compatte nel proprio interno sulla linea da seguire nel conflitto tra Putin e Zelensky. Non si contano i distinguo, le sfumature, a volte le contrarietà all’interno dei singoli partiti, come se fosse accettabile la posizione di chi, nei fatti, accomuna democrazie e dittature, e/o confonde aggrediti e aggressori.
Meno male che Mattarella c’è, e non ricorre a giri di parole, né getta il can per l’aia in merito alle guerre in corso nel mondo. La sua bussola non si presta a equivoci: le democrazie vanno aiutate a difendersi in tutti i modi se davvero teniamo a cuore la pace tra gli Stati. Una linea, quella del Quirinale, che aiuta la maggioranza di governo e, in primis, la presidente del Consiglio, spesso spiazzata dal controcanto salviniano su diversi punti dell’agenda ministeriale, non ultimo il rifornimento bellico per Kyiv. Una linea, sempre quella del Quirinale, che aiuta anche il maggior partito d’opposizione, cioè il Pd, a esprimere, in politica estera, in particolare sull’Ucraina, una posizione inequivocabile, priva di oscillazioni e sbandamenti, quelli che verrebbero giustificati dal timore di dover lasciare ai Cinque Stelle di Giuseppe Conte il pascolo dei voti del cosiddetto fronte pacifista, fronte in realtà assai comprensivo nei confronti delle teorie e dei teorici del Cremlino.
Elly Schlein ha pronunciato parole chiare, di solidarietà concreta verso l’Ucraina, e di condanna pesante nei confronti dei terroristi di Hamas. Non era scontato, anche perché sovente la politica estera, in Italia, si trasforma in un ring per regolare, con colpi bassi e messaggi in codice, i conti rimasti in sospeso nella politica interna. Viceversa, la maturità di una democrazia si misura proprio dal comportamento di ciascun leader verso le questioni interne e internazionali. Sui fatti di casa nostra, la gara (anche aspra) tra opinioni non solo è opportuna, ma costituisce l’essenza di una democrazia. Sui fatti esterni a casa nostra, invece, la stella polare deve restare solo una, per maggioranza e opposizione: schierarsi, in ogni circostanza, al fianco delle democrazie e dei sistemi liberi, soprattutto quando quest’ultimi sono vittime di soprusi e prevaricazioni da parte di chi incute paura nel mondo manifestando continui propositi, cioè spropositi, di dominio. E quando Annibale è alle porte, la politica estera non può rompersi in mille pezzi, come un cristallo.