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Riuscirà Tusk a ricucire con l’Ue? Le elezioni in Polonia lette da Coratella (Ecfr)

Di Teresa Coratella

I risultati elettorali polacchi segnano una nuova svolta politica per Varsavia, come anche una nuova fase di sfide politiche, interne ed esterne. Se Tusk riuscirà a fondare un governo, allora dovrà mantenere in equilibrio la corposa coalizione e dare della Polonia una nuova immagine in Europa. L’analisi di Teresa Coratella, program manager all’Ecfr di Roma

Con una partecipazione pari al 74,36% degli aventi diritto al voto, le elezioni polacche del 15 ottobre rappresentano un evento chiave nella storia della Polonia democratica, a prescindere dalla natura della futura formazione di governo. Dopo anni di declino graduale della partecipazione cittadina, che raggiunse l’apice nel 2005 con il 40,57% dei voti, ritroviamo oggi in Polonia uno spirito elettorale rinnovato, superiore perfino al 1989, quando il 62,7% dei polacchi si recò alle urne per contribuire alla svolta democratica del paese.

Con il 100% dei voti scrutinati, la situazione è chiara: Diritto e giustizia del premier Mateusz Morawiecki (PiS) è il primo partito in Polonia, con il 35,40% dei voti ricevuti e 196 dei seggi parlamentari assegnati, ma non sarà in grado di formare alcuna coalizione di governo in quanto incapace di raggiungere i 231 seggi necessari per avere la maggioranza nella Camera bassa del Parlamento polacco. Dall’altra parte, la Coalizione Cittadina guidata da Donald Tusk (Koalicja Obywatelska) con il 30,70% dei voti e dopo 8 anni di opposizione, in caso di alleanza di governo con la Terza Via, 14,40% dei voti, e la Nuova Sinistra, 8,61%, avrebbe 249 seggi e 67 senatori. Ossia una maggioranza stabile.

Finiscono così 8 anni di governo sovranista, anti-Europa, xenofobo e conservatore, del PiS –  con una perdita di circa l’8% dei voti rispetto alle elezioni del 2019. Tuttavia, non finisce l’incertezza politica. Sta ora infatti al presidente della Repubblica Adrzej Duda, nelle file del PiS e con mandato presidenziale in scadenza nel 2025, a conferire il mandato per la formazione di governo, con due possibili scenari. Primo, il conferimento del mandato al PiS, in quanto primo partito, con l’obiettivo di ostacolare e rallentare la formazione del nuovo esecutivo; secondo, affidare del mandato direttamente a Tusk, ossia accettazione del risultato elettorale e presa di coscienza pubblica dell’impossibilità del PiS a creare alcun tipo di governo.

Un terzo scenario aleggia, un vero colpo di scena politico – tuttavia poco plausibile – che vedrebbe il PiS raccogliere parlamentari eletti tra le file degli altri partiti in modo da poter raggiungere il numero dei seggi necessario.Ma oltre alla sconfitta elettorale, il PiS deve affrontare quella della fiducia e reputazione. I 4 referendum inseriti nella tornata elettorale dal partito di Jaroslaw Kaczynski, tra cui quello sull’accoglienza dei migranti, non hanno raggiunto il 50% dei voti necessari per essere scrutinati: un evidente segno del disinteresse dei cittadini polacchi per dei quesiti referendari sin da subito considerati strumentali e politicizzati, finalizzati a convincere gli elettori più oltranzisti del PiS a recarsi alle urne.

La Polonia ha sempre rappresentato un unicum politico tra gli stati membri dell’Ue una volta parte del blocco ex-sovietico, grazie anche alla vicinanza territoriale con la Germania, per decenni sponsor politico ed economico di Varsavia nelle relazioni con Bruxelles e Washington. E proprio la Germania, dipinta come paese nemico durante i due mandati governativi a guida PiS, potrebbe essere il trampolino per rilanciare il ruolo della Polonia in Europa e per rivitalizzare l’ormai congelato Triangolo di Weimar tra Varsavia, Parigi e Berlino.

Negli ultimi anni non solo abbiamo assistito ad un graduale deterioramento dello stato di diritto e dei principi democratici, ma anche a un evidente isolamento della Polonia in Europa, certamente non ai livelli dell’Ungheria, ma comunque di forte impatto, se si considera la storia del paese e l’importanza di Varsavia come locomotiva economica in seno all’UE. Tra i sintomi più visibili di tale isolamento, l’allontanamento da Bruxelles e Washington, la vicinanza con Budapest, rapporti inesistenti con Parigi, il congelamento delle relazioni con Berlino e, recentemente, la provocazione politica a Kyiv su grano e rifornimenti militari.

Con queste elezioni, inizia una nuova svolta politica del paese come anche una nuova fase di sfide politiche, interne ed esterne. Interne, perché Tusk dovrà guidare una coalizione composta da circa 6-7 partiti; perché dovrà mantenere il consenso politico alto fino alle elezioni europee, passando per quelle regionali, e non sprecare il capitale politico accumulato, compito non facile se pensiamo a quanto sforzo impiegherà il PiS per indebolire il nuovo governo; perché il suo operato sarà sotto lo scrutinio dei 3 milioni e 700.000 elettori che hanno scelto PiS. Esterno perché non sarà facile, malgrado l’alto profilo europeo di Tusk, porre finalmente fine alla minaccia di Polexit e ricostruire i rapporti deteriorati.

Val la pena infine notare, che Roma attende gli sviluppi in Polonia per diversi motivi. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha sempre avuto in Morawiecki un alleato naturale in Europa, malgrado la recente crisi sulla questione migranti. PiS e Fratelli d’Italia siedono insieme nel partito dei Riformisti e Conservatori, di cui detengono presidenza e vice presidenza nell’Europarlamento. Malgrado l’attuale risultato elettorale, è improbabile che il PiS subisca un tale declino da non raggiungere risultati importanti in vista delle elezioni europee, rimanendo dunque un alleato prezioso in Europa. Qui la necessaria scelta di Meloni circa il futuro del proprio partito, e del paese, in Europa.



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