Sull’intelligence circolano tanti luoghi comuni, alcuni dei quali veri. Sono però molti di più quelli falsi. E il più falso di tutti è che i Servizi siano capaci di tutto. I Servizi sono necessari soprattutto nelle democrazie. L’intervento di Mario Caligiuri, presidente della Società Italiana di Intelligence, in occasione della consegna del Premio Francesco Cossiga 2023 a Elisabetta Belloni, dal 2021 direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza
Ho letto, qualche mese fa, che in Italia c’è un lampione ogni tre abitanti: il triplo di quelli che si trovano in Germania. Eppure, questa luce notturna così diffusa rischiara relativamente i nostri connazionali nel decifrare i contorni della realtà. Infatti, stando al rapporto sulla disinformazione dell’Unione Europea della settimana scorsa, l’Italia è prima in classifica nella diffusione delle fake news sui social.
Prescindendo che le fake news sono la forma meno dannosa di disinformazione, già sapevamo che il 75% dei nostri connazionali non comprende una frase complessa nella nostra lingua, che è il 26,9% è analfabeta funzionale, cioè sa leggere, scrivere e far di conto ma non sa utilizzare in maniera adeguata a queste abilità. E di questo 26,9%, oltre il 4% è laureato e oltre il 20% diplomato: dati che condizionano pesantemente lo sviluppo dell’economia e la natura della democrazia nel nostro Paese.
La qualità della democrazia è strettamente collegata alla qualità della rappresentanza.
Stamattina siamo alla Camera dei deputati, un luogo simbolo, a consegnare un premio dedicato a Francesco Cossiga.
Ricordare oggi Francesco Cossiga, a oltre 13 anni dalla scomparsa, significa parlare del ruolo decisivo della formazione e selezione delle élite, perché ogni istituzione – pubblica e privata – funziona in maniera prevalente in base a chi la gestisce e a chi la rappresenta. E parlare oggi di Francesco Cossiga, in relazione all’intelligence, significa ribadire la stella polare delle istituzioni: l’interesse nazionale.
L’intelligence, infatti, serve per illuminare le decisioni pubbliche rendendo, quindi, simbolicamente produttive le luci dei lampioni di cui parlavo in apertura d’intervento.
Cossiga aveva il senso delle istituzioni e la capacità di guardare lontano.
Nel primo caso, per rafforzare la democrazia e difendere la sicurezza dello Stato nell’ambito delle alleanze internazionali. Ne sono un esempio le dimissioni da ministro dell’Interno – dopo l’assassinio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse – e l’impegno da presidente del Consiglio per creare le premesse irreversibili per l’installazione dei missili Cruise che secondo alcuni hanno rappresentato la causa principale dell’implosione dell’Unione Sovietica.
Nel secondo caso, Cossiga fu uno dei pochi a comprendere cosa avrebbe significato l’abbattimento della cortina di ferro per il sistema politico italiano, dimostrando una straordinaria capacità profetica.
La stagione delle “picconate”, dell’inascoltato messaggio alle Camere del 1991 – a cui Paolo Savona, insieme a Pasquale Chessa, ha dedicato un libro edito da Rubbettino dal titolo “La grande riforma mancata “– si inserisce in questa visione di necessario cambiamento.
Ma Cossiga fu inascoltato, incompreso, contrastato, deriso.
Parlare oggi di lui significa “voler bene all’Italia”.
Ebbe la capacità di guardare oltre il Muro, comprendendo il cambiamento profondo dell’ordine mondiale con il crollo dell’Unione Sovietica.
Sensibilità, politica e culturale, che evidenziava soprattutto nella dimensione nazionale, cercando di cogliere le ragioni vere della stagione terribile e incandescente del terrorismo politico che da ministro dell’Interno aveva combattuto con estrema durezza e senza quartiere.
Anche in questo è andato oltre.
Da Presidente della Repubblica, nel 1991, propose di concedere la grazia a Renato Curcio, l’ideologo delle Brigate Rosse, come forma di comprensione per chiudere quella stagione feroce.
Un acceso dibattito si sviluppò nel Paese, allora e dopo.
All’epoca Indro Montanelli, gambizzato nel 1977, si dichiarò d’accordo.
Giancarlo Caselli, nel 2020, contestava ancora a Cossiga di aver intrattenuto rapporti epistolari con i terroristi.
Ciò che muoveva il Presidente era la comprensione dei motivi profondi del diffuso disagio sociale di una generazione, per cogliere le ragioni degli “invisibili”, dei “nemici inconfessabili” come li definirono Oreste Scalzone e Paolo Persichetti che dedicarono a Cossiga parole molto attente.
Perché Cossiga voleva capire, davvero, le ragioni delle ingiustizie sociali all’origine di contestazioni estreme, criminali, ingiustificabili. Ragioni che non erano affatto state tutte rimosse. Infatti, ancora oggi, in una certa misura, permangono.
Il disagio sociale potrebbe, attualmente, rappresentare un problema di sicurezza nazionale, qualora si superassero i livelli di guardia.
Quindi è d’interesse dei nostri Servizi, al pari del confronto tra intelligenza umana e intelligenza artificiale che hanno come sfondo il campo di battaglia definitivo, che è quello del controllo della mente delle persone. Così come la disinformazione, emergenza educativa e democratica di questo tempo, a cui si collega la guerra normativa che già prima di scendere in campo decide chi vince e chi perde.
Temi imprescindibili, che dovranno essere affrontati nella riforma dei Servizi che, mi spiegava il Presidente Cossiga, andrebbe fatta possibilmente all’inizio della legislatura e con larghissimo consenso.
Ampliare la cultura dell’intelligence, insieme a quella della sicurezza informatica – così come sta predisponendo Bruno Frattasi, direttore dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale, un’indubbia occasione di innovazione per il Paese – diventa una necessità ampliare la cultura dell’intelligence significa davvero “voler bene all’Italia”.
Compito della Società Italiana di Intelligence – che è presente in tutte le regioni italiane con la presidenza di ogni sezione affidata a professori universitari – è adoperarsi affinché questa disciplina diventi materia di studio accademico. Contemporaneamente intende diffondere la cultura dell’intelligence anche attraverso la pubblicazione di libri e ricerche.
Non a caso, la nostra collana editoriale, pubblicata da Rubbettino, lo scorso maggio in occasione del Salone internazionale del Libro di Torino, ha riscosso il plauso del Capo dello Stato, Sergio Mattarella.
Tra le nostre attività spicca il Premio Francesco Cossiga, assegnato a chi si è distinto nel diffondere in Italia la cultura dell’intelligence. La prima edizione, nel 2020, a Carlo Mosca indimenticabile e spirituale servitore dello Stato. La seconda a Paolo Savona, più volte ministro e attualmente presidente della Consob. La terza, a Franco Gabrielli, ultimo direttore del Sisde e primo direttore dell’Aisi, Autorità delegata del governo Draghi.
In questa occasione assegniamo il premio a Elisabetta Belloni.
Per la prima volta l’intelligence italiana ha al vertice una donna, che è stata anche la prima donna a dirigere la Farnesina. La sua profonda conoscenza dello scenario internazionale assicura ai nostri Servizi una visione consona agli interessi del nostro grande Paese. Non a caso è stato proposto anche il suo nome come possibile Presidente della Repubblica.
In questi due anni alla guida del Dis, si è concretamente adoperata – insieme ai suoi collaboratori – per diffondere in Italia la cultura dell’intelligence fin dalle elementari, non come argomento specialistico ma di natura generale per garantire il benessere dei cittadini e la sicurezza delle istituzioni democratiche.
Sull’intelligence circolano tanti luoghi comuni, alcuni dei quali veri.
Sono però molti di più quelli falsi.
E il più falso di tutti è che i Servizi siano capaci di tutto.
I Servizi sono necessari soprattutto nelle democrazie. E se anche, a volte, agiscono e parlano “sub rosa” per assicurare la necessaria riservatezza; se anche, a volte, si impegnano seguendo le parole evangeliche di Matteo di rivelare o meglio individuare “le cose nascoste fin dalla fondazione del mondo” – che sono poi quelle davanti agli occhi di tutti, che sono poi dei lampanti arcani – i Servizi non sono onniscienti.
E nessuno meglio dell’indiscusso maestro della spy story, John le Carré, è riuscito a spiegarlo in un fulminante dialogo nel romanzo “Il giardiniere tenace”.
Tessa Quayle, protagonista del libro, giovanissima moglie di un diplomatico britannico, aveva scoperto i traffici criminali di aziende che sperimentano farmaci in Africa.
Tessa si rivolge a Tim Donohue, capo dell’intelligence di Sua Maestà in Kenya:
«Tim, credevo che le tue spie sapessero tutto».
«Tessa, solo Dio sa tutto, ma lui lavora per il Mossad».
Auguri a Elisabetta Belloni.