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Economia, politica ed esteri. Il primo anno del governo Meloni

Dalla politica economica, che passa per la stesura della finanziaria, agli equilibri con gli alleati all’interno della coalizione di governo. In particolare con Forza Italia, l’asse può essere funzionale anche in vista delle elezioni europee. In politica estera, Meloni ha rafforzato l’ancoraggio agli Stati Uniti, confermando l’appoggio incondizionato a Tel Aviv

Un anno di Meloni. Tra pochi giorni, domenica per l’esattezza, il governo guidato dalla leader di Fratelli d’Italia si appresta a spegnere la sua prima candelina. Proviamo allora a tracciarne un rapido e provvisorio bilancio sotto tre aspetti in particolare: economia, politica interna e politica estera. Un bilancio dal quale delineare anche le probabili traiettorie future.

Economia

Al netto di riforme strutturali che in Italia latitano da tempo, l’impegno economico più gravoso per un governo è certamente la manovra. Lo scorso anno il governo Meloni ha beneficiato di uno “sconto simpatia” avendo raccolto dalle mani del ministro delle Finanze uscente, Daniele Franco, una finanziaria già di fatto definita nelle sue linee guida. L’ex inquilino di via XX Settembre cedette in corsa al successore Giancarlo Giorgetti il testimone di una legge di bilancio che finì per costare 35 miliardi di euro, con 21 miliardi stanziati in deficit per fronteggiare il caro-energia e l’inflazione innescati dallo scoppio della guerra in Ucraina.

Quest’anno – al netto di una coperta che resta comunque corta, considerati gli atavici problemi di debito con i quali il nostro Paese fa letteralmente i conti da almeno un quarantennio – l’impronta politica si intravede con maggior nitore: per il 2024 l’esecutivo ha varato una manovra da circa 24 miliardi di cui 15-16 in extra-gettito per finanziare la proroga del taglio del cuneo fiscale. Tra i provvedimenti principali, l’accorpamento delle prime due aliquote Irpef, una serie di misure di contrasto alla denatalità e il rinnovo dei contratti nel comparto Difesa e sicurezza: tolto Dio, che non ha certo bisogno di sovvenzioni, della Trinità conservatrice restano dunque in primo piano “patria” e “famiglia”.

Ancora incerto l’ammontare degli introiti in arrivo dalla tassa sugli extraprofitti delle banche, uno dei “pasticciacci brutti” del primo anno di gestione Meloni: prima il proclama lanciato in piena estate senza avvertire gli alleati di Forza Italia, poi la rettifica per placare l’ira funesta di Antonio Tajani (e della famiglia Berlusconi, azionista al 30% di Banca Mediolanum) e trasformare la misura da contributo tout court a opzione alternativa al rafforzamento di capitale.

Le proposte economiche avanzate dal governo sono ovviamente molte di più – basti solo pensare a quelle legate alla modifica della normativa sulla lista del cda delle società quotate, o all’altro “pasticciaccio brutto” sul caro-voli – ma limitiamoci a questo.

Guardando invece al di fuori dei confini nazionali la grande (di)sfida economica per il centrodestra è quella legata all’approvazione del Mes. A più riprese, nel corso di quest’anno, Giorgia Meloni ha ribadito che l’Italia non accetterà “mai” (attenzione agli avverbi) la ratifica della riforma del Meccanismo europeo di stabilità finché a Palazzo Chigi ci sarà lei. Proclama che potrebbe essere smentito già nelle prossime settimane quando – a un mese dalla scadenza dei termini per la ratifica – il governo potrebbe sollecitare il Parlamento a dare il disco verde in cambio di regole più flessibili sul debito da inserire nella riformulazione del Patto di Stabilità attualmente al vaglio delle istituzioni europee. Decisione che rappresenterebbe un sollievo sul piano delle relazioni con i partner Ue (l’Italia è l’unico Paese a non aver ancora provveduto alla ratifica), ma allo stesso tempo un rischio su quello della tenuta della maggioranza, con Matteo Salvini già pronto ad addossare sulla premier la responsabilità di essersi piegata ai diktat di Bruxelles.

Politica interna

I rapporti con il leader leghista ci portano al capitolo politica interna. Consultando la serie storica dei sondaggi degli ultimi dodici mesi, per l’esecutivo in carica si può serenamente parlare di navigazione tranquilla, soprattutto se si guarda ai numeri del suo azionista di maggioranza. Secondo quanto rileva Pagella Politica, infatti, Fratelli d’Italia è riuscita in un sol colpo a non subire cali di consensi – dinamica fisiologica per i partiti che dall’opposizione passano al governo – e addirittura accrescere il proprio gradimento tra gli elettori di 2,7 punti percentuali: una vera e propria luna di miele ad libitum.

Eppure, le fibrillazioni non sono mancate: dall’impasse di Cutro – i cui strascichi si avvertono ancora oggi nel braccio di ferro ingaggiato tra il governo e parte della magistratura – agli innumerevoli distinguo di un Salvini che continua a mal sopportare il ruolo di comprimario nella stanza dei bottoni. Una frizione malcelata che rischia di creare non pochi problemi in vista dell’appuntamento con le Europee del prossimo giugno, come spieghiamo più avanti.

E poi, la scomparsa di Silvio Berlusconi: uno spartiacque nella Storia politica italiana dell’ultimo trentennio, comunque la si pensi. Una fase molto delicata – quella immediatamente successiva alla morte del Cavaliere – nella quale Giorgia Meloni ha scelto di non maramaldeggiare su Forza Italia chiudendo le porte di via della Scrofa a molti transfughi berlusconiani già in predicato di cambiare casacca. Una mossa che ha consentito alla premier di rafforzare l’asse con gli azzurri mantenendo al contempo in vita una forza di interposizione in grado di fungere da cuscinetto nei turbolenti rapporti con il Carroccio. Mossa strategica anche in prospettiva Strasburgo, dove nei prossimi mesi Forza Italia potrebbe costituire per la leader della Fiamma tricolore il biglietto da visita in ottica di possibili intese elettorali con quel Ppe di cui Antonio Tajani è vicepresidente.

Politica estera

Veniamo dunque alla politica estera. Se c’è una cosa sulla quale Giorgia Meloni non ha mai avuto dubbi – a dispetto dell’antiamericanismo (o atlantismo di circostanza) che per lungo tempo ha contraddistinto la destra italiana – è la collocazione del nostro Paese nell’Alleanza atlantica. Lo si è visto nel sostegno mostrato a Kiev fin dal primo giorno dell’aggressione da parte della Russia, lo si è rimarcato all’indomani dell’attacco a sorpresa di Hamas a Israele. Il supporto incondizionato a Tel Aviv consente inoltre alla presidente del Consiglio di allontanare le accuse di antisemitismo che da sempre gettano un’ombra sul suo partito, pronipote politico di quel regime fascista resosi drammaticamente complice degli orrori della Shoah.

Anche nei confronti dell’Africa Meloni si è mostrata sempre molto attenta, con un duplice scopo di fondo: assicurarsi da un lato l’approvvigionamento di gas dopo il reshuffle energetico imposto dal congelamento dei rapporti con Mosca, e cercare dall’altro di frenare (finora invano) i sempre più ingenti flussi di migranti in arrivo sulle nostre coste. Certo, resta ancora un mistero interpretare cosa la premier abbia in mente quando parla di “piano Mattei”: da questo punto di vista, lo slittamento a gennaio della conferenza Italia-Africa inizialmente programmata a novembre non aiuta, ma staremo a vedere.

Altro importante banco di prova sul piano internazionale sarà quello, cui facevamo già accenno, delle Europee: dopo la débâcle degli amici Abascal e Morawiecki nelle elezioni di Spagna e Polonia, Giorgia Meloni rischia infatti di rimanere con il cerino in mano nella liquidazione coatta di quel gruppo dei Conservatori e riformisti europei alla cui guida è stata di recente riconfermata. Forse è un po’ presto per intonarne il de profundis per carità, e tuttavia la questione alleanze resta di fondamentale importanza: escluso a priori un accordo con l’ultradestra sovranista fondata sull’asse Lega-Rassemblement National-AfD, a Fratelli d’Italia non resta infatti che tentare l’avvicinamento con il Ppe di Manfred Weber: ed è qui che l’alleanza con Forza Italia potrà rivelarsi ancora una volta strategica.

 

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