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Politiche sul fumo. I casi di Cina, India e Turchia

Le evidenze scientifiche oggi disponibili sui prodotti alternativi alle sigarette tradizionali, come le e-cig o i dispisitivi Heat not burn, sono state valutate positivamente da diversi enti regolatori a livello internazionale, come il National Health Service inglese e la Fda americana. Eppure, ci sono alcuni Paesi nel mondo che hanno vietato la commercializzazione o l’uso dei dispositivi alternativi

Relativamente al fumo elettronico, per quanto riguarda la disciplina normativa in patria, la Cina rappresenta uno dei Paesi con la regolazione più stringente a livello globale. Negli ultimi mesi del 2021, la Cina ha modificato la legge sul monopolio del tabacco includendo anche le sigarette elettroniche. La mossa ha significato che i prodotti del vaping e i loro produttori si attengono oggi alla rigorosa regolamentazione governativa prevista anche per le sigarette. Inoltre, oggi le sigarette elettroniche in Cina non possono essere vendute online o avere aromi diversi dal tabacco.

Se a livello nazionale la Cina continua a preferire la linea dura sul fumo elettronico, relativamente ai mercati esteri la sua filosofia è sostanzialmente diversa. Circa il 90% dei prodotti da svapo a livello globale sono infatti fabbricati in Cina.

L’espansione del Paese nel settore del vaping è stata resa possibile dalla “Nuova via della seta”, un’iniziativa plaudita anche dall’OMS per “avere integrato la salute nei suoi partenariati economici”.

Ad oggi, l’Oms non ha mai espresso alcuna critica alla Cina per il suo ruolo nella promozione del consumo di questi prodotti all’estero, né per le dimensioni del fenomeno del fumo in patria. Al contrario, nonostante il suo record mondiale per numero di fumatori, la Cina rappresenta uno dei principali “modelli” dell’Oms per quanto riguarda le politiche di contrasto al fumo, con un punteggio medio di 7,5 su 10 per la conformità degli strumenti normativi a quelli dell’Oms stessa.

Anche l’India, nonostante i suoi 274 milioni di individui fumatori, ha adottato una politica molto restrittiva sui nuovi prodotti, vietando dal 2019 la produzione, la distribuzione e la vendita di e-cigarette e prodotti alternativi al tabacco combusto. Il provvedimento stride con la decisione del Paese di entrare nel business del fumo elettronico: la produzione e la vendita di nicotina, destinata all’esportazione, è oggi di proprietà della società ITC Limited, precedentemente nota come India Tobacco Company, di cui il governo possiede parte delle quote azionarie. Nonostante questo, l’ex ministro della Salute indiano, Harsh Vardhan, nel 2021 ha ottenuto un riconoscimento speciale dall’Organizzazione Mondiale della Sanità in occasione della Giornata mondiale senza tabacco per “la sua preziosa leadership nell’accelerare gli sforzi per il controllo del tabacco in India”.

L’India non è stata il primo Paese a vietare le sigarette elettroniche. Pochi mesi prima, era stata la Turchia di Erdoğan ad adottare la stessa decisione, suscitando molto clamore, considerato che la prevalenza dei fumatori in Turchia è pari al 40,4% tra gli uomini e al 18,2% tra le donne. Una scelta simile, poi, è stata fatta anche da Brasile, Venezuela, Messico, Singapore, Thailandia e Panama.


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