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La Russia che scricchiola e il fattore demografico. L’analisi di Braghini

Di Fabrizio Braghini

Possono il peso demografico e le spinte autonomiste dei popoli non slavi portare al collasso della Federazione russa, così come avvenne per l’Unione sovietica? L’analista di politiche europee e di Difesa, Fabrizio Braghini, riflette sulle dinamiche di ieri e di oggi dell’“impero esploso”, a partire dall’omonimo libro del 1979 di Hèléne Carrére d’Encausse

Destò scalpore nel 1979 l’uscita di un testo, tuttora attuale: L’Empire éclaté, “l’impero esploso”, di Hèléne Carrére d’Encausse, recentemente scomparsa, che anticipò di diversi anni la dissoluzione dell’Unione sovietica.

L’autrice, la prima studiosa a guidare la prestigiosa Académie française, docente a Sciences Po e al Collegio d’Europa, con un’analisi rigorosa e prudente di carattere più descrittivo che previsionale, mise in risalto come il pericolo per la sopravvivenza di medio-lungo termine dello Stato sovietico proveniva innanzitutto dalla crescita demografica delle repubbliche asiatiche e musulmane rispetto al declino russo, e dal risveglio delle numerose nazioni non russe. La stessa si scherniva affermando che non erano idee sue, essendo tutto già scritto.

Carrère d’Encausse mise in luce la contraddizione tra l’utopia sovietica e i grandi mezzi coercitivi concentrati nelle mani della minoranza russa. È un fatto che lo squilibrio demografico tra slavi e asiatici generò contraddizioni politiche che resero la questione nazionale il più urgente dei problemi dell’Urss. Tra i meriti del saggio si può ricordare l’annullamento del mito secondo il quale il comunismo aveva risolto la questione delle nazionalità che aveva imperversato durante l’impero zarista e lo stalinismo.

Il saggio dopo anni aprì un dibattito critico negli ambienti accademici in Francia. Si affermò che la dissoluzione dell’Urss non avvenne per ragioni demografiche nelle periferie orientali ma a livello centrale con l’implosione del sistema politico ed economico sovietico, e l’indipendenza dei Paesi dell’est europeo che non appartenevano all’Urss, a partire dalla Polonia. Nel giro di poco tempo il movimento separatista fu seguito dalle Repubbliche europee integrate all’Unione sovietica e da quelle asiatiche.

Il rapporto tra demografia e collasso

Il censimento del 1970 mise in luce due diverse tendenze: il declino della popolazione russa, con i russi che rappresentavano il secondo gruppo nazionale nelle singole repubbliche, e l’esistenza di due mondi demografici, con la zona di declino rappresentata dalle repubbliche occidentali a bassa crescita rispetto al triplicarsi della popolazione nel Caucaso, in Ucraina e nell’Asia centrale, con il conseguente aumento del divario tra il gruppo slavo baltico e quello orientale, tra il potere il centrale e le periferie.

All’epoca, si prevedeva che i cinquanta milioni di musulmani dell’Urss sarebbero diventati ottanta, un blocco coeso per cultura e religione, al di là delle divisioni territoriali, che rappresentava un quinto della popolazione sovietica. Veniva messa in questione la preminenza del popolo russo, quindi di cultura europea, che anche oggi costituisce il perno della Federazione russa ed è sovra-rappresentato rispetto alle altre nazionalità nel potere politico centrale che prevale sulle differenziate competenze delle repubbliche, nelle Forze armate e nella guida dell’economia. Questa distorsione ritorna ne L’Empire éclaté con la preveggenza che “avrebbe per forza di cose creato un problema di legittimità del potere politico”.

I privilegi di cui gode ancora il cittadino russo d’Europa erano mal tollerati da nazionalità che rivendicavano una vera autonomia ed eguaglianza di diritti, mentre si sviluppava una coscienza della propria storia, delle tradizioni, della propria lingua. La complessità della struttura istituzionale sovietica

Si assistette, a partire dagli anni Settanta, a un ritorno della fede ebraica ortodossa e islamica nella nuova generazione, unita a un crescente sentimento nazionale identitario. È interessante osservare il fallimento russo di promuovere l’ideale di homo sovieticus per imporre una nuova società umana senza differenze etiche, linguistiche e culturali, quale strumento di uniformizzazione e centralizzazione del potere. Successe invece l’opposto con la resistenza alla standardizzazione sovietica e al suo assorbimento in un comunismo islamizzato da parte della popolazione di origine musulmana, che ha conservato il forte carattere identitario e religioso dell’homo musulmanus.

L’autrice concludeva che i crescenti squilibri demografici, al pari dello sviluppo culturale dei popoli allogeni o non russi, agiscono contro l’integrazione e rimettono in dubbio tutta la politica nazionale sovietica.

Post-Empire e sua attualità

Negli ultimi anni Carrère d’Encausse – di cui il presidente francese Macron ne ha di recente celebrato l’eredità culturale – ribadì che non fu l’Occidente a sconfiggere l’Urss e a liberare il suo popolo, ma a deciderlo fu lo stesso potere sovietico, con Boris Eltsin e Mikhail Gorbaciov. Ricordava la sintonia nell’analisi con Aleksandr Solzhenitsyn sul fatto che la Russia aveva troppi territori ed era incontrollabile, e gli incontri con Vladimir Putin al quale disse che la guerra in Ucraina avrebbe segnato l’inizio della sua fine.

L’Empire éclaté rappresentò senza dubbio una novità e un testo di riferimento per comprendere dall’interno le vicende della Russia e i prodromi della dissoluzione del Paese negli anni Novanta, con l’indipendenza dei Paesi baltici, caucasici e “-stan” e il ridimensionamento della Federazione russa.

È proprio il precedente risveglio delle “cento” nazionalità, con l’affermarsi di istanze autonomiste, che viene ripreso oggi come uno tra i fattori determinanti circa le prospettive di una disgregazione della Federazione russa post in Ucraina e di una ricomposizione dell’Eurasia settentrionale. Si tratta di un processo probabilmente irreversibile che rappresentava, allora come oggi, un elemento di insicurezza all’interno della Federazione russa, con evidenti riflessi sui Paesi confinanti e sull’evoluzione degli equilibri internazionali.

La costante dell’elemento insicurezza e le ragioni di fondo di quel periodo non cambiano e si può affermare che restano valide, con le tensioni internazionali per il conflitto in Ucraina e quelle interne alla Russia che rimangono nell’ombra e sono difficilmente decifrabili per l’incertezza di fattori contrastanti. Il potere moscovita si è attualmente trincerato facendo leva su una propaganda vetero imperiale e restrizioni alla libertà di espressione per fronteggiare difficoltà interne, che rendono ardua un’emancipazione della società e un ritorno alla “normalità” dei decenni precedenti.

Si aggiungano a questo fosco quadro le tensioni latenti e mai sopite con i Paesi confinanti e l’evocazione di storiche rivendicazioni territoriali, e si ritorna alla questione demografica della Carrère d’Encausse con l’accentuarsi degli squilibri tra la declinante popolazione russa e la preponderanza cinese, dell’indebolimento del controllo russo sulle regioni orientali e la crescente influenza della Cina, come il recente accordo per l’accesso alle merci cinesi alle rotte del Pacifico a partire da Vladivostok.



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