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La vera posta in gioco dopo l’agguato a Israele. Il commento di De Tomaso

È alta la posta in gioco in Medio Oriente. È alta non solo per Israele, ma per l’intero reticolo delle libertà. Ci vorrebbe un altro gigante del pensiero, come Aron, ad aprirci gli occhi. Il commento di Giuseppe De Tomaso

Poco meno di mezzo secolo fa il sociologo liberale Raymond Aron (1905-1883), l’anti-Sartre dell’intellettualità francese, dà alle stampe un saggio dal titolo più eloquente di un’orazione ciceroniana: “In difesa di un’Europa decadente”. Aron teme che l’azione congiunta tra conformismo occidentale e protagonismo militare sovietico possa pregiudicare il futuro delle libertà politiche ed economiche nel Vecchio Continente. L’Armata Rossa, scrive Aron facendo sue le parole di Charles de Gaulle (1890-1970) pronunciate già nel 1949, è di stanza a due tappe dal Tour de France. E fino a quando, lascia intendere Aron, l’Europa occidentale potrà resistere all’ossessivo pressing di Mosca? Lui non si fa molte illusioni. L’Europa liberale gli appare fiacca e arrendevole, decadente appunto, tutt’altro che orgogliosa della propria storia politica e culturale. Eppure, nel giro di un paio di lustri si verifica l’inatteso, non l’inevitabile. Il comunismo esplode. Il Muro di Berlino crolla. Il modello occidentale si rianima a sorpresa dieci minuti prima del preventivato collasso. Non solo. Alcuni analisti, addirittura, si spingono a pronosticare l’immortalità del sistema politico-economico affermatosi proprio in Europa e nel Nord America.

Sembra trascorsa un’era geologica dagli anni in cui la liberaldemocrazia pareva più inossidabile del titanio. Oggi non è più così. Il numero delle democrazie nel mondo si va erodendo, e molte democrazie nominali in realtà sono democrature sostanziali, ossia autocrazie elettive, una parodia del lascito tocquevilliano. Se nel periodo esaminato da Aron l’Occidente si segnalava innanzitutto per indolenza e malavoglia, oggi tende a distinguersi soprattutto per una diffusa condizione-convinzione autodenigratoria. Lo spirito di autoflagellazione che pervade larghi settori delle classi dirigenti sta per superare il livello di guardia. E si sa, una civiltà che smette di credere in sé stessa, di apprezzare i propri valori fondativi, non è destinata a sopravvivere a lungo, un po’ come accadde all’antica Roma, appagata, forse nauseata dai suoi quasi millenari trionfi.

Per certi versi, oggi le classi colte sono ancora più fredde nei confronti della migliore tradizione politica che portò alla vittoria prima contro la ferocia hitleriana e successivamente contro l’espansionismo moscovita. Sembra quasi che, con il passare del tempo, in linea con la progressiva contrazione del ricordo delle tragedie provocate dalle idee assassine del ventesimo secolo, il partito trasversale mondiale che una volta si è battuto per la vittoria della democrazia, ora stia facendo strada al partito trasversale dell’autoflagellazione sistemica, dell’autoespiazione psicopolitica.

L’aggressione di Hamas a Israele è l’ultima dimostrazione di questa volontà penitenziale, autocritica e autopunitiva che diversi movimenti d’opinione di America ed Europa vogliono imporre ai rispettivi governi. La solidarietà all’aggredito, in molti ambienti, è risultata tutt’altro che corale, se è vero che qualche governo europeo si è ritrovato si è visto costretto a vietare alcune manifestazioni dichiaratamente anti-semitiche. Sì, perché in Occidente non soltanto si lesina sul sostegno alle vittime degli agguati, ma si lasciano passare proclami esplicitamente contrari all’esistenza medesima di uno Stato e di un popolo. E siccome Israele è l’avamposto dell’Occidente in terre che non hanno mai sperimentato i princìpi della tolleranza e del pluralismo, i precetti della separazione dei poteri, la divisione tra sfera laica e sfera religiosa, colpire Israele significa colpire l’Occidente, significa attaccare l’intera costruzione democratica realizzata in parecchie aree del pianeta. Un’osservazione, questa, più assimilabile ad una constatazione fattuale che ad una valutazione individuale. Ma, malgrado tutto, è assai attivo su giornali, tv ed Internet il fronte dei distinguo, delle sottolineature, della solidarietà pelosa a Israele, che poi equivale a un distacco concreto dalle torri poste a difesa delle democrazie.

Già mettere sullo stesso piano democrazie e tirannie dovrebbe costituire motivo di scandalo, di sconcerto e di riprovazione. Ma in Occidente potrebbe accadere, anzi forse sta già accadendo di peggio: accusare le democrazie di ogni nefandezza e, al contempo, giustificare gli autoritarismi per tutte le atrocità da quest’ultimi commesse. E tutto si può dire di Hamas tranne che sia un custode di libertà nei territori in cui detta legge. Intendiamoci, le democrazie non sono perfette, ci mancherebbe. Ma tutti coloro che la offendono non sono mai quasi mai animati dal proposito di chiedere più libertà e meno imperfezioni a tutela di tutti, semmai vogliono più imposizioni, visto che agiscono sbandierando simboli che stanno alla democrazia come una pornostar sta alla castità. Per intenderci. Il mondo islamico è ancora legato a una concezione teocratica del potere, basterebbe solo questa considerazione per non avere dubbi su come e dove schierarsi in caso di dispute tra democrazie e anti-democrazie. Invece, a dispetto di una premessa così elementare, che potrebbe essere esplicitata persino dalle anime culturalmente più modeste o, in un’aula scolastica, dai discenti più imberbi, la tentazione, inarrestabile e fatale, è di arringare le folle mediatiche contro le democrazie, di pretendere atti di contrizione e di scuse su ogni singolo capitolo della storia occidentale, di invocare e proclamare autodafé a più non posso.

Questo fenomeno autodemolitorio è andato in onda sull’Ucraina, la cui causa per la sopravvivenza non vede più all’opera tutti i sostenitori occidentali del primo giorno d’invasione. Ed è iniziato sùbito dopo l’incursione terroristica contro la popolazione civile di Israele. La cartina di tornasole di questo atteggiamento che definire ambiguo suona addirittura irrispettoso verso la veridicità degli accadimenti è rappresentata dal circo mediatico, dove si dà per scontato che democrazie e dispotismi, libertà e costrizioni, pari sono, anzi i secondi modelli sono meno censurabili dei primi.

È alta la posta in gioco in Medio Oriente. È alta non solo per Israele, ma per l’intero reticolo delle libertà. Ci vorrebbe un altro gigante del pensiero, come Aron, ad aprirci gli occhi. Ma le autocritiche e le autocondanne, in Occidente, sono così frequenti, specie ai piani alti della società, da sopraffare le poche voci che non vogliono accusarsi di ogni misfatto e che non vogliono separarsi dal meno peggiore tra gli ordinamenti politici disegnati dall’uomo.



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