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C’è ancora spazio per il Socialismo? La riflessione di Ciardullo

Ha senso parlare ancora di socialismo nel Terzo Millennio? Stando alle nude cifre, parrebbe di sì. Eppure, guardando invece al panorama politico internazionale, il vento della storia sembra soffiare nella direzione opposta. Il commento di Angelo Ciardullo

Diceva Pietro Nenni: “il socialismo è portare avanti tutti quelli che sono nati indietro”. Oggi di nati (o finiti) indietro ce ne sono tanti, troppi: stando alle stime pubblicate a fine ottobre dall’Istat, gli italiani in condizioni di povertà assoluta sono nel 2022 più di 5,6 milioni, mentre i poveri relativi ammontano a 8,6 milioni. Ha senso dunque parlare ancora di socialismo nel Terzo Millennio? Stando alle nude cifre, parrebbe di sì.

Guardando invece al panorama politico internazionale, il vento della storia sembra soffiare nella direzione opposta. Con la caduta del governo portoghese guidato da Antonio Costa si è spento infatti l’ultimo faro del socialismo europeo. L’inchiesta della Procura generale lusitana sulle presunte tangenti legate all’estrazione del litio nel Paese ha di fatto chiuso una parentesi di otto anni che affonda le proprie radici nella Rivoluzione dei Garofani (l’altro 25 aprile) e nella stagione d’oro dell’Eurosocialismo di Mario Soáres.

Ecco: da oggi tutto questo non c’è più. Certo, se si attraversa il confine con la Spagna, la situazione non sembra poi così drammatica: il Psoe di Pedro Sánchez è ancora vivo e lotta insieme a noi, in un modo o nell’altro. Proprio in questi ultimi giorni, il premier dimissionario è riuscito peraltro a stringere un accordo con gli indipendentisti catalani che (baschi permettendo) gli consentirà di tornare alla Moncloa per la terza volta in sei anni con maggioranze sempre differenti. Ma, anche qui, nulla a che vedere con i fasti dei monocolore socialisti dell’era di Felipe Gonzáles, quando il Psoe era in pratica il grande partito socialista d’Europa.

Ci sarebbe anche Olaf Scholz in Germania. Anche in questo caso, però, stiamo parlando di un Paese governato dal 2005 da una serie di Groβen Koalitionen variamente declinate in semaforo, Giamaica, Kenya e via di questo passo in base all’accostamento politico-cromatico. E poi la socialdemocrazia è cosa un po’ diversa: il suo essere “terza via” tra capitalismo puro e socialismo reale la ha resa nei decenni una vera e propria eresia nell’ambito dell’ortodossia marxista: fino a non troppo tempo fa, essere definito “socialdemocratico” era considerato un insulto imperdonabile. La Germania ha imboccato questa terza via dopo Bad Godesberg (1959), e da allora la percorre con fortune alterne. Non molto meglio va ultimamente nei Paesi del Nord Europa, dove la socialdemocrazia è stata sublimata in quel “modello scandinavo” ammirato in tutto il mondo occidentale.

Di ispirazione socialdemocratica è anche il Pasok greco, nato nel 74 all’indomani della caduta dei colonnelli e divenuto in breve tempo perno della politica nazioale grazie all’impegno del fondatore Andreas Papandreou. Di quel Movimento socialista panellenico – passato poi nelle mani del figlio Giōrgos, terzo esponente della dinastia, e ora guidato dal giovane Nikos Androulakis – rimane oggi una pallida ombra.

Restando in tema di eresie a-marxiste, buone nuove potrebbero arrivare da Oltremanica dove – dopo oltre un decennio di “tempi difficili” di eco dickensiana – i Laburisti stanno lentamente riguadagnando consensi un po’ per merito del nuovo leader Keir Starmer, un po’ per i demeriti dei Conservatori, sfiniti da tredici lunghi anni di governo attraversati da cinque primi ministri: vedremo tra un anno come andrà a finire.

Al di qua della Manica, invece, la situazione è a dir poco drammatica. Nel giro di un quarantennio il Parti socialiste è infatti riuscito a precipitare dalle stelle di François Mitterrand – interprete assoluto della Quinta Repubblica dal 1981 al 1995 – alle stalle di François Hollande, la cui permanenza all’Eliseo è costata ai socialisti un tracollo verticale alle presidenziali del 2017: un misero 6,4% che fece immediatamente urlare alla “fine” del partito. Ma il partito non era ancora morto, era soltanto moribondo: il colpo di grazia arriverà nel 2022, con i 600 mila voti scarsi racimolati al primo turno da Anne Hidalgo. Addio alla Rosa nel Pugno transalpina, dunque: un’eredità politica letteralmente gettata alle ortiche. E, si badi bene, senza passare attraverso terremoti giudiziari come nel caso italiano.

E in Italia, che fine ha fatto il socialismo?

È morto ultracentenario. Sulla lapide c’è scritto “Genova, 14 agosto 1892 – Roma, 12 novembre 1994”, anche se il decesso può essere retrodatato al 17 febbraio 1992, giorno dell’arresto a Milano del “mariuolo” Mario Chiesa che innescò la valanga di Mani Pulite. Un secolo tutt’altro che breve, quello del Psi, vissuto tra alti e bassi, luci e ombre, fratture e ricongiungimenti: dal neutralismo dell’ante-Grande Guerra alla scissione di Livorno, dall’assassinio di Matteotti alla clandestinità durante il fascismo, dalla Resistenza alla Costituente, dalla rottura politica con Saragat a quella elettorale con i comunisti, dalla condanna dei fatti d’Ungheria alla “stanza dei bottoni” di Nenni, dal centro-sinistra organico alla “congiura del Midas”, dalla falce-e-martello al garofano, da Pertini al Colle a Craxi a Chigi, dai nuovi Patti Lateranensi alla crisi di Sigonella, dalla “scala mobile” alla piramide di Panseca, dal patto “della staffetta” a quello “del camper”, dalle monetine del Raphaël a Hammamet, dall’ultimo congresso alla diaspora. Quel poco che ora rimane del Psi è trincerato nella ridotta presidiata dal volenteroso Enzo Maraio.

La storia del Partito socialista italiano meriterebbe un capitolo a sé. E oggi che ricorrono i 29 anni dal suo scioglimento, è forse giunto il momento di porsi (e porre) alcune domande per capire se quella del “Sol dell’Avvenire” è un’ideologia superata da consegnare ai libri di Storia o una piattaforma valoriale attuale da rilanciare nei manuali di politica:

Cosa resta oggi della tradizione storica del socialismo? Ha senso continuare a parlare di Socialismo nel Terzo Millennio? C’è margine per un Partito socialista a vocazione maggioritaria nell’Italia degli anni Venti? Se sì, da quali basi ripartire e con quali prospettive concrete?

Sarebbe interessante aprire un confronto su questi temi.



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