Presentato il policy paper di Irdi per il Luiss Policy Observatory. Dalla tavola rotonda è emersa l’urgenza di correre ai ripari, visto che il nostro è l’unico Paese G7, assieme alla Germania, a non avere un simile organismo che assista il capo del governo. Tanti gli interrogativi, ma intanto (almeno) se ne parla
Italia e Germania sono gli unici Stati membri del G7 a non avere un Consiglio per la sicurezza nazionale. Ma Berlino, a differenza di Roma, ha almeno recentemente pubblicato una strategia di sicurezza nazionale, definendo i propri interessi nazionali. L’urgenza di correre ai ripari è emersa dalla tavola rotonda organizzata dal Luiss Policy Observatory, diretto da Domenico Lombardi e co-diretto dal professor Giovanni Orsina, per la presentazione del documento “Minacce sistematiche e risposte whole of government: un Consiglio per la sicurezza per l’Italia”? di Beniamino Irdi, Head of Strategic and International Affairs presso Deloitte Legal Italia.
Sanità, informazione, cyber-spazio e ingerenza esterne sono soltanto alcuni dei volti non tradizionali della sicurezza nazionale che la pandemia da Covid-19 e la guerra in Ucraina hanno riportato all’attenzione dei governi e degli organismi internazionali. A ciò si sommano strategie di penetrazione e influenza basate su campagne ibride, che sfruttano l’intera superficie d’attacco dei sistemi democratici e le immunità dei loro avversari colpendo soggetti molteplici, eterogenei, distanti e non comunicanti. E ancora, il ruolo lo sviluppo delle telecomunicazioni, che ha annullato le distanze fisiche e moltiplicato l’effetto della disinformazione, aumentando così la portata sistemica delle minacce ibride. In questo contesto è necessario “un punto di fusione costante e permanente delle diverse dimensioni della sicurezza, che agevoli la formazione di una direttrice di governo armonica”, si legge nell’abstract della proposta di istituzione di un Consiglio per la sicurezza nazionale presso la Presidenza del Consiglio. Opinione molto diffusa attorno al tavolo è che lo scenario attuale delle minacce, che spesso colgono di sorpresa le vittime come dimostra l’attacco di Hamas del 7 ottobre nel Sud di Israele, imponga il superamento dell’approccio emergenziale.
Uno dei modelli di riferimento è quello degli Stati Uniti, dove il Consiglio per la sicurezza nazionale è stato istituto nel 1947 durante l’amministrazione Truman per presentare e valutare tutte le informazioni al presidente e per dare seguito alle sue decisioni. Dell’esperienza americana sembra essere apprezzato in particolare l’elemento della “squadra”, piuttosto che di una burocrazia, che assiste il capo del governo, forte anche di un forte legame di fiducia.
La differenza dell’architettura istituzionale tra Stati Uniti e Italia rappresenta uno degli interrogativi sull’adozione del modello anche nel nostro Paese. Non è l’unico. C’è quello del superamento degli organismi già presenti, come il Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica, il Comitato politico strategico e il Nucleo interministeriale situazione e pianificazione, il Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica. C’è quello del personale, della sua formazione, della sua provenienza (se non civile, da quale amministrazione e con quale rapporto con quest’ultima?) del suo trattamento economico (basti pensare al fatto che una delle priorità durante il processo di istituzione dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale è stata l’equiparazione dei salari a quelli della Banca d’Italia). C’è quello del dibattito politico e del legame tra questa proposta e l’ipotizzata riforma del comparto intelligence. C’è anche il dilemma del prima la strategia di sicurezza nazionale (di cui si è discusso a luglio anche in sede di Consiglio supremo di difesa) o prima il Consiglio per la sicurezza nazionale?
Intanto, però, se ne parla. E alimentare il dibattito non può che essere una buona notizia.