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Lotta al fumo e approccio internazionale. A che punto è l’Oms?

Nel corso della sua storia, l’Organizzazione mondiale della sanità ha sempre appoggiato interventi e approcci a politiche di salute pubblica orientati alla riduzione del danno, soprattutto nell’ambito della lotta a quei comportamenti nocivi come l’abuso di alcol e l’uso di droghe. Tuttavia, pur riconoscendo la dipendenza dalla nicotina come una “forte dipendenza”, l’Oms non sembra voler applicare questo principio nella lotta al fumo, nonostante le evidenze scientifiche

Sulla carta, alla sua origine, la Convenzione Quadro sul Controllo del Tabacco ha fatto proprio il principio di riduzione del rischio, considerandolo all’articolo 1 e definendo la lotta al tabagismo come “una serie di strategie di riduzione dell’offerta, della domanda e dei danni del tabacco che mirano a migliorare la salute di una popolazione eliminandone o riducendone il consumo”. Più recentemente, nel 2015, l’rganiz ha dichiarato che “lo sviluppo di nuovi prodotti del tabacco che sono meno tossici o che creano meno dipendenza potrebbe essere una componente di un approccio globale per ridurre i decessi e le malattie legate al tabacco, in particolare tra i consumatori di tabacco che non sono disposti a smettere o non sono in grado di interrompere la loro dipendenza”.

Negli ultimi anni, però, l’orientamento dell’Oms e dell’FCTC è cambiato radicalmente, arrivando a promuovere una totale equiparazione tra sigarette e prodotti senza combustione, suggerendo agli Stati aderenti alla Convenzione di regolarli al pari delle sigarette combuste o addirittura di vietarne la produzione, la commercializzazione, l’import e l’export, nonostante l’Oms stessa riconosca che essi riducano l’esposizione alle sostanze dannose rispetto alle sigarette tradizionali.

Infatti, nel recente rapporto “Comprehensive report on research and evidence on novel and emerging tobacco products”, l’Organizzazione afferma che “studi indipendenti dimostrano che le temperature raggiunte dai prodotti a tabacco riscaldato non sono sufficienti per dare origine alla combustione”, e che molte sostanze tossiche presenti nel tabacco combusto siano “presenti a livelli significativamente più bassi nell’aerosol di Htp”.

Nel medesimo rapporto, tra le evidenze che giustificherebbero una complessiva equiparazione dei prodotti senza combustione ai prodotti tradizionali, l’Oms cita il fatto che “i danni alle cellule e al materiale genetico siano più significativi dopo l’esposizione all’aerosol degli Htp rispetto all’esposizione all’aria”.

L’Organizzazione sembra focalizzata sull’evidenza che i nuovi prodotti mantengano un profilo di rischio assoluto, piuttosto che sul determinare il loro rischio relativo, ossia paragonato a quello delle sigarette. Sulla base di questo assunto di partenza, le raccomandazioni dell’Organizzazione suggeriscono di regolare in modo sempre più restrittivo i prodotti senza combustione, equiparandoli alle sigarette nonostante le evidenze sulla ridotta tossicità, e nonostante il fatto che la larghissima maggioranza dei fumatori in tutto il mondo fumi ancora sigarette convenzionali (secondo i dati Eurostat solo il 2% le e-cig), senza sostanziali segni di calo.

L’Oms, storicamente, ha appoggiato interventi e approcci alle politiche di salute pubblica volti alla riduzione del danno, quando gli stessi sono stati indirizzati a combattere comportamenti dannosi come abuso di alcol e l’uso di droghe. Tuttavia, pur riconoscendo la dipendenza dalla nicotina, dichiarata come una “forte dipendenza” che interessa oltre un miliardo di persone in tutto il mondo, l’Oms non sembra voler applicare questo principio nella lotta al fumo, nonostante le evidenze scientifiche.


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