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Divorzio all’italiana (viva). Renzi e Calenda si dividono in Senato

Cosa succederà adesso? Intanto bisognerà capire se, in vista delle elezioni europee, gli ex casti connubi saranno in grado di gettarsi alle spalle un quantitativo di stracci notevole. E poi…

Questa volta potrebbe essere vero. Italia Viva e Azione divorziano sul serio. Dopo due rinvii in tre settimane, la Giunta del regolamento del Senato presieduta da Ignazio La Russa ha chiuso salomonicamente una separazione che rischiava di diventare più drammatica di quella di Totti e Blasi: Italia Viva mantiene il gruppo, Azione passa al Gruppo Misto.

E chi siede e presiede nel Gruppo Misto? Nientemeno che gli “odiati” compagni dell’Alleanza Verdi-Sinistra a causa dei quali Carlo Calenda decise di mandare in fumo l’alleanza elettorale stretta con Enrico Letta e suggellata con un bacio sulla guancia dell’ex segretario Dem a beneficio di teleobiettivi. Che tiri (letteralmente) mancini gioca ogni tanto, il Fato.

A nulla sono valsi gli accorati appelli all’unità dei più volenterosi come Marattin e Costa: “questo divorzio s’ha da fare, ora o mai più”, vien da dire parafrasando I Promessi Sposi il giorno dopo il 395° anniversario di quel 7 novembre 1628 dal quale Alessandro Manzoni fa partire le disavventure di Renzo (con la “o”) e Lucia. Sette saranno dunque i senatori renziani che rimarranno all’interno gruppo a Palazzo Madama, già ridenominato “Italia Viva-Il Centro-Renew Europe”: Renzi, Paita, Borghi, Scalfarotto, Fregolent, Musolino, Sbirolloni. Quattro invece gli esuli che trasmigreranno armi e bagagli nella terra di nessuno del Misto: Calenda, Gelmini, Lombardo, Versace.

La ratifica dovrebbe avvenire già domani, mentre nei prossimi giorni lo strappo dovrebbe consumarsi anche a Montecitorio, seppur a parti invertite: lì, infatti, sono i calendiani a essere in maggioranza di 12 contro 9 (a cui andrebbero però sottratti i due battitori liberi Rosato e Bonetti, fuoriusciti in polemica con il leader di Iv e pronti a collaborare con il segretario di Azione). Numeri che – deroga permettendo – consentirebbero a entrambi i partiti di costituire i rispettivi gruppi autonomi. Anche in questo caso, tuttavia, i problemi non mancano dal momento che la Giunta ha disposto un approfondimento di indagine per capire quale regolamento applicare al caso. Nel frattempo, il presidente della Camera Lorenzo Fontana fa sapere che il nodo gordiano verrà sciolto «prestissimo».

Meno soldi (i famigerati 400 mila euro dovrebbero restare nelle casse di Italia Viva), meno visibilità, ma anche meno liti. Con questo spirito, Carlo Calenda saluta come una benedizione la decisione del presidente del Senato: Habemus Papam – commenta, ancora a caldo – sono contento: prima si chiude questa storia, meglio è”. A chi lo dice.

Si avvia così ai titoli di coda una telenovela (copyright Renzi) iniziata un anno e mezzo fa con l’annuncio della nascita di quel Terzo Polo soffocato in culla dagli opposti egotismi del leader azionista e del senatore di Rignano a pochi mesi dal promettente 7,7% raccolto alle politiche e subito mandato in fumo alle Regionali seguenti.

Cosa succederà adesso? Innanzitutto bisognerà capire se, in vista delle Europee, gli ex casti connubi saranno in grado di gettarsi alle spalle un quantitativo di stracci che neanche la Venere di Michelangelo Pistoletto. Dal canto proprio, comunque, Renzi rimane fermamente convinto che il suo Centro riuscirà a scavallare senza grossi patemi la soglia di sbarramento del 4%. Eppure, il rischio che la pattuglia macroniana di Renew Europe rimanga senza delegati italiani a Strasburgo c’è, eccome se c’è. Ma cosa importa? Nunc est bibendum, direbbe Orazio. Domani si vedrà.

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