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Cosa manca nella visione Ue di Draghi. La versione di Morelli e Paganini

Di Raffaello Morelli e Pietro Paganini

Draghi chiede giustamente di reagire al declino dell’Unione europea. Ma ciò non può essere un puro atto di volontà. Deve mantenere la coerenza con i principi di libertà, diversità e tolleranza imperniati sulle scelte dei cittadini, che sono la caratteristica innovativa dell’Europa politica. Il commento di Raffaello Morelli e Pietro Paganini

Nei giorni scorsi, in un evento da remoto del Financial Times, Mario Draghi ha enunciato per l’Unione europea una linea operativa attualmente non seguita dalla stessa e neppure rientrante nel dibattito in vista delle elezioni del giugno prossimo. Difatti, Draghi non ha nascosto le sfide geopolitiche, le difficoltà economiche e il ritardo tecnologico dell’Europa. Considerazioni assai realistiche per i problemi sollevati. Al medesimo tempo, tuttavia, questa linea – specie tenendo conto che Draghi presiede il gruppo di lavoro incaricato dall’Unione europea di redigere un rapporto sulla competitività europea deficitaria rispetto a Stati Uniti, Cina, Giappone e Corea del Sud – omette la ragion d’essere caratteristica dell’Europa, tradita a Maastricht e principale causa delle presenti difficoltà. Ed è proprio sul rilancio di tale ragion d’essere che si può fondare il rilancio dell’Unione europea.

L’ Unione europea è nata sulla prospettiva, assai innovativa, di imperniarsi a poco a poco sulle scelte dei suoi cittadini. Dunque, in un’ottica distante dalla logica dello Stato tradizionale, che si fonda sul mero potere e prevede i sudditi al posto dei cittadini. Oggi, il rilancio dell’Unione europea può derivare solo dalla progressiva maturazione dell’affidarsi agli indirizzi dei cittadini (gestiti dopo dai governi), che è stata interrotta a Maastricht dall’illusione di una libertà assicurata per sempre (senza necessità di rinnovarsi affrontando le sfide quotidiane) e anzi destinata a imporsi sulle autocrazie per manifesta superiorità morale e funzionale.

Ma la fisiologia della libertà è un’altra, come prova l’esperienza. Richiede un’evoluzione quotidiana, di continuo tesa a sviluppare gli scambi tra i diversi conviventi, all’interno di ciascun stato e tra i differenti stati anche se con sistemi politici contrapposti (comprese le autocrazie). L’Unione europea lo ha dimenticato ed è ricaduta nelle antiche regole degli Stati dediti soprattutto al far crescere prestigio ed alleanze di comodo tra gruppi dirigenti, senza preoccuparsi delle condizioni dei sudditi. Privandosi della sua ragion d’essere, l’Unione europea ha smesso di far maturare la sua libertà civile, non ha pensato ad affrontare il nuovo, si è involuta come Unione. Draghi accantona questi dati nel delineare le sue considerazioni per risollevare l’Unione europea dal declino.

Draghi sostiene sì che occorre più integrazione per poter esprimere un punto di vista politico e militare. Ma pare non vedere che più integrazione richiede investire i cittadini europei nel far evolvere i trattati. Senza la modifica dei trattati, domandare di investire di più è senza contenuto. Draghi ragiona come le alte burocrazie europee, da anni autoconvinte che l’Unione europea sia già uno stato sovranazionale. Ma la realtà non è affatto questa. L’Unione europea è una costruzione arenata. La realtà è che l’Unione europea si è bloccata con piccoli Paesi in competizione, rimasti all’uso di un modello dissoltosi (“la difesa fornita dagli Stati Uniti, l’export in gran parte verso la Cina, l’energia a buon mercato dalla Russia”, dice lo stesso Draghi).

Proprio perché l’Unione europea si trova in una situazione simile, manca di progettualità concreta l’asserzione di Draghi secondo cui “o l’Europa diviene un’unione più profonda capace di esprimere una politica estera, di difesa e sulle migrazioni, o non sopravviverà in altra forma che come mercato unico”. Infatti, chiedere che l’Unione europea si integri di più basterebbe nell’antico tipo di stato distante dai cittadini. Ma nell’Unione europea effettiva fondata sui cittadini (che ha permesso la costruzione del mercato unico, riuscito primo passo), solo la scelta di far discutere ai cittadini le nuove competenze da affidare all’Unione europea può coerentemente metterla in grado dopo di esprimere una politica estera, di difesa e sulle migrazioni. Ovviamente, le nuove competenze europee porteranno a ridurre l’ambito d’esercizio di sovranità dei singoli Stati ed è appunto questo l’oggetto della scelta dei cittadini, da non lasciare alle élite burocratiche di Strasburgo e Bruxelles.

Draghi solleva una questione vera. Ma lo fa dimenticando le tre implicazioni culturali del progetto europeo: la libertà degli scambi, la diversità tra individui responsabili e la tolleranza anche per le idee opposte. Non è il solo a fare questo errore. È in compagnia degli attuali dirigenti europei. I quali praticano la dissennata politica dell’allargamento dell’Unione europea (tipica manifestazione del vecchio stato tradizionale) a prescindere dalla maturazione culturale dei paesi aspiranti. Confondono il progetto civile europeo con l’allinearsi a una alleanza militare quale la Nato (anche quando segue progetti incoerenti). Hanno difficoltà a distinguere tra guerre per la conquista di territori ritenuti storici (comunque da condannare) e atti di terrorismo con il dichiarato fine di non tollerare l’esistenza di Israele (una indistinzione che ammorba lo stesso Occidente).

Draghi chiede giustamente di reagire al declino dell’Unione europea. Ma ciò non può essere un puro atto di volontà. Deve mantenere la coerenza con i principi di libertà, diversità e tolleranza imperniati sulle scelte dei cittadini, che sono la caratteristica innovativa dell’Europa politica.


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